Il pane per mangiare, il pane per ricordarci di agire in nome di Dio

Creare "finestre di luce" come Suger in architettura, tali da poter accogliere la parte migliore di noi che operi a servizio del prossimo

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova

Gv 6,5-6

Questa domanda di Gesù mi ha sempre incuriosito. È come se volesse in qualche maniera prendere in giro i suoi discepoli, sfidarli, in qualche modo. Lo stesso Giovanni evidenzia che Gesù sapeva benissimo quello che stava per fare. Avrebbe moltiplicato i pani. Qual è il contesto del versetto?

Gesù sta predicando lungo le rive del Lago di Tiberiade e una grande folla lo segue. Ad un certo punto sale sul monte, quello che oggi siamo abituati a chiamare Monte delle Beatitudini, e volge lo sguardo sulla folla. Vicino a lui c’è uno dei discepoli, Filippo.  A lui chiede: dove andiamo a comprare il pane per dare da mangiare a queste persone? In altri racconti evangelici c’è anche la risposta, traboccante di buon senso: rimanda a casa questa gente. 

La vocazione a risolvere questioni

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Ritengo che Giovanni abbia riportato l’espressione di Gesù, per farci comprendere ancora meglio chi sia il Cristo: la prova cui veniamo sottoposti sta nell’esercitarsi a risolvere le questioni che riguardano l’umanità a non considerarle irrisolvibili. E’ quello che ci capita tante volte. Avvertiamo problematiche, situazioni che non appaiono facilmente risolvibili e quindi la tentazione è quella di lasciar stare, di non preoccuparsi. Di rinviare a qualcun altro, che arriverà dopo, il compito di porvi riparo.

Da questo piccolo versetto dobbiamo imparare che tutte le capacità, che ci sono state donate fin dal momento in cui siamo venuti al mondo, non servono a farci più belli, più potenti. Ma servono invece a risolvere le questioni, i problemi, i grandi drammi che ci circondano.

Le soluzioni che non vediamo

Ricordo la frase di un manager che sottolineava come non ci fossero problemi irrisolvibili quanto invece soluzioni che non riusciamo a vedere. D’altronde, se guardassimo la storia dell’uomo, vedremmo quante volte la creatività è riuscita ad affrontare questioni che altrimenti sarebbero state insormontabili. 

La singolarità dell’intelligenza umana sta appunto nell’inventare cose nuove, nel riuscire a trovare le soluzioni, fino a quel momento neppure immaginate, a problemi apparentemente irrisolvibili. All’inizio del secolo XII, in Francia, Suger, l’abate di Saint Denis, la basilica dove venivano seppelliti i re di Francia, a nord di Parigi, si era stancato del buio in cui si svolgevano le liturgie nelle chiese, che oggi chiamiamo romaniche. In effetti più che edifici di culto sembrano castelli. Molte erano state costruite proprio con lo scopo di difendere la popolazione dal nemico, che da un momento all’altro poteva devastare i territori.

La luce nelle chiese romaniche

Ma la Francia stava cominciando a vivere un periodo di pace e Suger finalmente poteva disporre dei capitali regi, svincolati dall’assillo delle commesse belliche. La chiesa poteva essere ampliata e lui la voleva piena di luce. Ci dovevano essere delle pareti luminose ad accogliere i fedeli e a mostrare a tutti la luce di Dio. Ma come reggere i pesanti tetti in pietra con il vetro?

Suger e i suoi mastri costruttori intuirono che il problema era risolvibile, spostando tutto il peso all’esterno dell’edificio, con il sistema degli archi rampanti. Le pareti non sopportavano più il peso del tetto e potevano ospitare larghe finestre, che Suger fece riempire di vetri a rappresentare la vita e a mostrare come ogni attività umana fosse innervata dalla luce di Dio.

I veri intenti: verso gli altri

Pensate se potessimo riuscire a fare come Suger. Se potessimo avere a disposizione gli enormi finanziamenti per gli sforzi bellici, per affrontare, invece, le grandi sfide della malnutrizione, del cambiamento climatico, della salute… E’ un sogno? O invece è proprio l’inganno delle armi ad impedire il progresso dell’uomo?

Già nel 1963, dopo la terribile esperienza delle crisi di Cuba, con il mondo sull’orlo della guerra nucleare, Giovanni XXIII aveva individuato, nell’enciclica Pacem in Terris, che la corsa agli armamenti generava paura negli altri. E non sicurezza come invece si diceva. E questo purtroppo è ancora drammaticamente vero oggi.