
Cerchiamo di essere cittadini del cielo, cioè conformi all’esperienza di Gesù, soprattutto conformandoci a quello che ci ha insegnato
La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra. La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso
Fil 3, 19-21
Sembrano parole di un predicatore di altri tempi, quando sui palchi innalzati all’interno delle chiese o nelle piazze si tenevano i quaresimali. C’è ancora qualcuno della mia età che se li ricorda: colpivano la fantasia degli astanti con parole terribili, che promettevano le fiamme dell’inferno ai peccatori. E ricorrendo ad una retorica cui oggi non siamo più abituati.
In realtà, quando Paolo si rivolge ai cristiani di Filippi sta descrivendo una situazione di forte conflitto interno alla comunità macedone, tra i giudeizzanti e i giudeocristiani, impegnati in una disputa sul rispetto delle regole tradizionali della religione ebraica.
Cos’è il “ventre”

Il ventre di cui parla Paolo è l’insieme delle norme sui cibi e così via sulle vergogne. Tutto però è riassunto dalla conclusione del periodo: non pensano che alle cose della terra. Mi pare che l’osservazione di Paolo ai Filippesi non abbia perso di attualità.
Troppo spesso può accadere infatti che le preoccupazioni della vita quotidiana possano farci perdere di vista la dignità vera del nostro essere. Quella che Paolo definisce una cittadinanza celeste, fondata sulle qualità essenziali dell’essere umano.
Sono quelle che, nel linguaggio tradizionale dell’insegnamento cattolico, si chiamano virtù, caratteristiche che fanno sì che gli uomini siano davvero tali. Il catechismo le divide in due gruppi, le quattro cardinali. Che fanno cioè da cardine alla vita umana, senza le quali la vita crolla, come una porta scardinata, (fortezza, temperanza, prudenza e giustizia).
E tre teologali (fede, speranza e carità) che, dono di Dio, consentono di arrivare a lui.
Quello di Tarso e quello di Napoli

Ricordate la sapienza del grande Totò in Uomini e caporali? Ecco, in quel film si percepisce esattamente cosa vuole dire Paolo.
Possiamo essere uomini oppure scendere di livello fino a comportarci come infidi caporali, attenti soltanto alle regole, pronti a piegarli agli interessi più vili, ed incapaci di comprendere il dramma che comporta la vita umana. E che richiede la solidarietà attiva di ognuno, fino al dono della propria vita. Abbiamo tanti esempi, la chiesa li chiama “santi”, in un linguaggio moderno potrebbero essere definiti “giusti”.
Sono quelle persone che sono riuscite a conformarsi quanto più possibile alla vita che Gesù ha condotto sulla terra. E’ quella vita, sono quei comportamenti, quelle parole, quelle scelte ad indicarci la strada da seguire pur con le tante contraddizioni dell’esistenza e soprattutto con i limiti della nostra condizione concreta.
Il “meme” ai filippesi

Paolo lo ricorda ai cristiani di Filippi: soltanto grazie alla misericordia di Dio potremo risplendere della nostra umanità, sfuggendo alla trappola del ventre, dei ragionamenti causistici, che ci illudono di essere noi i padroni veri della nostra esistenza, purché obbediamo alle regole, che poi pieghiamo continuamente per i nostri interessi.
Cerchiamo di essere cittadini del cielo, cioè conformi all’esperienza di Gesù.