Il memorabile dialogo tra Gesù e Pilato e l'esempio che danno in questi giorni i Carabinieri nel celebrare la Virgo Fidelis
Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Gv 18, 37
Il dialogo tra Gesù e Pilato nel vangelo di Giovanni costituisce uno dei capolavori della letteratura mondiale. Si confrontano due modi totalmente diversi di pensare: da una parte c’è il procuratore romano, che ha di fronte un uomo di cui riconosce la sostanziale innocenza, ma non è capace di andare al di là di quelle che sono le semplici apparenze dell’esistenza.
Dall’altra c’è un uomo, un giudeo, un essere inferiore per un romano, Che però è capace di leggere nell’animo di Pilato. E gli pone le domande più forti, quelle essenziali per la costruzione di una personalità equilibrata. Il dilemma sta nella parola “re”. Chi è il re per Pilato? Il re è Tiberio Cesare, è il suo imperatore, dalla cui parola dipende ogni cosa.
Basterebbe un atto…
E’ sufficiente un atto, un semplice rescritto imperiale e la sua posizione in Giudea cambierebbe immediatamente. Pilato non vede l’ora di abbandonare quella terra difficile e complicata. I capi del Sinedrio sanno perfettamente questa cosa e lo minacciano: non abbiamo altro re che Cesare, gli urlano contro. Ecco allora la domanda che Pilato pone a Gesù: Dunque Tu sei re? Gesù gli spiega che cosa voglia dire per lui essere re.
Significa non essere sottoposto a condizionamenti, significa testimoniare la verità a qualunque costo, perché è la verità che costituisce la libertà di un uomo. Basterebbe guardarsi attorno per rendersi conto di quanto sia vero, quante volte non siamo adeguati alla nostra libertà: non siamo dei re. Spesso non è la verità a guidare la nostra esistenza ma altri ragionamenti, altri condizionamenti, tradizioni, modi di fare.
Cosa significa essere davvero “Re”
Quante volte di fronte ad una novità ci rifugiamo dietro all’espressione si è fatto sempre così, come se il ripetersi infinito di determinati comportamenti sia di per sé stesso la garanzia che è l’unico modo per far bene. Eppure sappiamo, anche dalla nostra esperienza diretta, che per ottenere dei miglioramenti bisogna, a volte, avere il coraggio di cambiare. Perciò bisogna scoprire la verità. È la sfida che ha di fronte Pilato.
Egli conosce la verità dell’innocenza di Gesù, Cerca, con qualche sotterfugio, di salvargli la vita, anche a costo di sottoporlo a torture inenarrabili, come la flagellazione. Addirittura ricorre alla prassi giudaica della liberazione di un prigioniero durante la festa di Pasqua… Ma nessuna di queste scorciatoie lo libera dalla menzogna.
Quelle mani lavate nel catino sono il segno definitivo della nostra frequente abitudine a voltare il capo dall’altra parte, a chiudere gli occhi davanti ai drammi dell’umanità, a non essere “re” della nostra vita, a sottostare ai piccoli sotterfugi, ai tentennamenti, all’incapacità di essere fedeli ai nostri stessi principi.
Il catino e la testa voltata
in questi giorni i carabinieri hanno festeggiato la loro patrona, la Vergine Maria che invocano con il nome di Virgo Fidelis.
Il richiamo della festa dell’Arma ci fa comprendere esattamente la nostra condizione: dobbiamo aspirare ad essere fedeli alla verità perché soltanto così potremmo essere davvero noi stessi, davvero liberi, davvero “re”. Pilato non ce la fa, cede al ricatto dei capi dei Giudei, cede alle minacce, cede alla paura, viene meno ai suoi doveri.
La sua condanna sta in quelle parole: io non trovo in lui nessuna colpa.
Pilato non è re neppure di sé stesso e fa una cosa che non avrebbe voluto fare, pronuncia la condanna di Gesù alla croce, quando invece, per i doveri del suo stato di magistrato romano, avrebbe voluto salvarlo. Noi dobbiamo cercare di essere re della nostra vita, essere fedeli a noi stessi, ai nostri ideali, ai nostri impegni.