
Parole, gesti e contenuti: la forza del pontificato di Bergoglio sembra inarrivabile. In lui abbiamo visto la magnificenza del Signore
Questo è stato fatto dal Signore: una meraviglia ai nostri occhi
Sal 117
Ho visto le meraviglie del Signore, ho visto quelle scarpe, quell’inchino, ho sentito quelle parole, ho visto quella borsa, ho visto quel sorriso. Ho compreso il dono di Dio per gli uomini di questo tempo, flagellato dalle crisi, dal cambiamento climatico, dalla pandemia, dalle guerre terribili, ho visto persone tornare a sorridere grazie al vangelo, annunciato nella gioia e non nella tristezza autoflagellante. Questo è stato Francesco per tutti, credenti e non credenti, una meraviglia ai nostri occhi, come dice il Salmo.
Tutto iniziò dall’elezione

La meraviglia iniziò proprio il giorno dell’elezione. Ero nella sala d’attesa di un ospedale, mentre la tv trasmetteva da Piazza San Pietro. Tutti aspettavamo che apparisse il papa appena eletto. Non ero stato tra i sorpresi. Avevo messo il card. Jorge Bergoglio, allora arcivescovo a Buenos Aires, nella terna dei miei favoriti, in un giochino che, con alcuni amici, avevamo praticato durante il conclave.
Ne avevo sentito parlare, l’avevo incontrato, fuggevolmente, nella capitale argentina, nel 2005, quando io e mia moglie portammo il saluto dell’Italia all’assemblea nazionale dell’Azione Cattolica Argentina.

Ad un certo punto, alla tv vaticana, che cura in esclusiva, le riprese d’Oltretevere,, sfugge un’immagine: si vede chiaramente la parte bassa della tonaca bianca, con delle scarpe nere. Attenti, non le scarpe rosse tipiche dell’abbigliamento papale, ma semplici scarpe nere, scarponcini quasi, con i lacci. Fu una specie di folgorazione, confermata qualche minuto dopo dalla visione di papa Francesco, con la semplice tonaca bianca, senza la mozzetta rossa e la stola dell’apostolo Pietro.
Quei gesti pieni di significato
E poi quel “buonasera” che dette immediatamente il senso di un pontificato segnato dalla vicinanza con tutti, nessuno escluso, e dalla simpatia. Ci fu poi la richiesta di benedizione per lui… tutti aspettavamo di essere benedetti e invece il papa ci chiedeva di farlo noi a lui… vescovo e popolo, popolo e vescovo. Quei segni furono l’ouverture di un pontificato, fatto di parole ma anche di gesti: la scelta di una ordinaria automobile per muoversi dentro Roma, invece delle pesanti Mercedes di rappresentanza, quella borsa nera che si portava da solo, quel sorriso… e poi il luoghi visitati. Lampedusa e Lesbo, i cimiteri del mare, le carceri, gli ospedali… il colonnato aperto per ospitare i senza tetto.

Ma anche un pontificato pieno di contenuti: la gioia del vangelo, il cammino sinodale con tanti laici che finalmente hanno riacquistato responsabilità, un itinerario comune con presbiteri e vescovi, in un confronto franco e sincero, l’ambiente, la consapevolezza che siamo tutti fratelli, la dimensione della speranza, sottratta a tanti, rassegnati alla presenza pervasiva del male e della corruzione.
Le persone al centro e non invisibili

Infine, la continua insistenza sulle persone trattate come scarto, che diventano invisibili vittime della nostra indifferenza… quante meraviglie, quanto lavoro ancora da fare per rendere concreto il sogno di una chiesa, felicemente sconvolta dalla gioia del vangelo, aperta a tutti, capace di uscire dalle mura delle parrocchie.
Il disincanto dei romani, che da millenni hanno visto papi e imperatori aggirarsi nelle strade della loro città, fa dire loro che morto un papa se ne fa un altro… E’ vero, ma sarà difficile stare alla pari dell’uomo venuto dalla fine del mondo. Grazie, papa Francesco, in te abbiamo visto le meraviglie del Signore.