Il Vangelo di Marco pone il tema dell'irrefrenabile tendenza umana a detenere la forza prevaricando i più piccoli. L'insegnamento di due capisaldi della letteratura come I Promessi Sposi di Manzoni e l'Idiota di Dostoevskij
“Di che cosa stavate discutendo per la strada?”. Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”.
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.
Mc 9, 34-37
Chi conta di più? Chi è il più potente? A chi tocca questo e a chi tocca quest’altro? Anche nei Vangeli emerge l’irrefrenabile tendenza umana ad essere potenti, a detenere la forza, ad illudersi che questo sia il modo per stare al sicuro, fin quando non arriva un virus o la decisione folle di un pazzo, più potente di noi. Sembra una malattia da cui non ci si può salvare, riguarda anche coloro che sono stati insieme con Gesù per tanto tempo e quindi dovrebbero averne respirato idee e pensieri.
L’episodio è collocato in un momento di forte tensione. Gesù sta andando a Gerusalemme, verso quella città che lo acclamerà e lo ucciderà, in quei giorni che cambiarono il mondo. Quelli che gli vanno dietro non se ne preoccupano e discutono su chi debba essere il più grande tra di loro. E’ chiaro che l’evangelista Marco, nel riportare l’episodio, risponde ad una domanda della comunità a cui è legato. La tentazione del potere è diffusa anche all’interno della comunità dei Cristiani e ne esprime una forte contro-testimonianza.
Gesù risponde con un artificio retorico molto semplice: prende un bambino, lo mette in mezzo al gruppo dei suoi discepoli e dice: ecco che cosa vuol dire accogliere Cristo. Essere cristiani, conformi a Cristo, vuol dire accogliere i più piccoli, servire coloro che hanno bisogno, non cercare posti di potere.
La lezione dei “Promessi Sposi”
Mentre leggevo queste righe del vangelo di Marco, ho ripensato a due letture. La prima è l’incontro tra l’Innominato e il cardinale Federico Borromeo, nei Promessi sposi di Alessandro Manzoni. Ricordate i fatti: l’Innominato, che non ha nome tanto tremenda è la sua fama di farabutto e di violento senza scrupoli, ha rapito quella povera ragazza di Lucia, su commissione di don Rodrigo e con la complicità di Gertrude, la monaca di Monza.
Contro quella “piccola” si sono coalizzati tre potenti, forti del loro potere violento. Si sono scagliati contro una giovane donna che non può difendersi, che può soltanto fare appello a Dio. Ed è proprio l’appello di Lucia a Dio, che sconvolge i pensieri dell’Innominato. Lucia non lo maledice, nonostante il rapimento subito, le sue paure e il timore di che cosa possa accaderle. Gli fa balenare dinanzi una possibilità di cambiamento per una vita, di cui l’Innominato è già stanco: Dio perdona tante cose per un’opera di bene.
Le parole di Lucia spostano la montagna del male
Queste parole semplici travolgono l’Innominato, lo portano sull’orlo del suicidio. Una lotta terribile accade in quella notte nella coscienza dell’Innominato. E’ il suono delle campane a salvarlo: sono quelle del borgo che si trova vicino al castello. Annunciano l’arrivo del Cardinale Federico in visita pastorale. E, come spinto da un bisogno irrefrenabile, va ad incontrarlo e lì ha un’altra sorpresa: si aspetta di essere rimproverato, di essere cacciato via, di essere trattato come meritano tutti coloro che si comportano come lui e invece trova un uomo che lo abbraccia, lo accoglie, addirittura rimprovera sé stesso perché dice che sarebbe dovuto andare lui a cercarlo, piuttosto che aspettarlo nel paese.
Si sono rovesciate le parti, come Gesù chiede di fare ai suoi discepoli. Il potente non è l’Innominato, non è Rodrigo, non è Gertrude. Potente è Lucia che con le sue semplici parole sposta la montagna del male che sovrastava l’Innominato.
La logica distorta dell’Idiota di Dostoevski
Dostoevskij crea un personaggio straordinario in quello che, probabilmente, è il più grande romanzo della letteratura russa: lo chiama l’Idiota ed immagina un alter Christus, un nuovo Cristo che percorre le strade degli uomini del XIX secolo in Russia. Ebbene, di fronte a questo cavaliere del bene, della bontà, dell’accoglienza, della disponibilità, gli altri lo considerano come un idiota. Chi è bravo e fa il bene, chi rifiuta sotterfugi e violenze, chi è sempre disponibile è un idiota.
Non possiamo essere cristiani se accettiamo la logica del mondo basata sulla violenza, sulla forza, sulla sopraffazione. La logica di Gesù è quella del servizio al più piccolo, al più debole, all’abbandonato, al senza tetto, a chi soffre… Se accogliete uno di questi piccoli voi accogliete me. Seguiamo la logica di Gesù, anche se gli altri ci definiscono idioti, o invece accettiamo la logica della violenza e della potenza?