
Nella Lettera ai Romani viene messo in evidenza come le sofferenze rendano più forti ed aprano alla speranza. Quando le affrontiamo impariamo ad essere degni della nostra umanità
saldi nella speranza della gloria di Dio.
E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza.
Rm 5, 3-4
La speranza è caratteristica fondante della visione dell’uomo secondo la tradizione biblica, al contrario di tutte le altre culture, generalmente fataliste, in cui la speranza è un disvalore, il disvalore sommo.
Nonostante le tante difficoltà della vita, le contraddizioni che sperimentiamo ogni giorno, le alienazioni che ci impediscono di essere quello che dovremmo essere, abbiamo sempre speranza in un Dio che salva, che non abbandona, che non ci dimentica.
L’abbandono e la dimenticanza: proprio qualche giorno fa, una persona che conoscevo da bambino, un residente del centro storico, è stato trovato morto nella sua abitazione, abbandonato e dimenticato non soltanto dai suoi parenti ma anche dal vicinato, dagli amici, dai conoscenti… E’ un rischio troppo presente nella nostra epoca, che offre tanti strumenti di comunicazione ma che nel contempo, contraddittoriamente, illude che quei contatti digitali possano sostituire le relazioni interpersonali, per le quali soltanto siamo costituiti.
Saldi nella speranza

Parola, sguardi, gesti sono fatti per essere uditi, visti, avvertiti, in maniera ben diversa dai pixel di uno schermo. Ma, nonostante tutto questo, che potrebbe spingerci a ritenere ormai condannato l’intero genere umano, i cristiani rimangono “saldi nella speranza”, come scrive Paolo ai Romani diventati seguaci di Gesù. Addirittura Paolo fa scorgere nelle tribolazioni, nelle prove della vita, una fonte di risorse.
Quando le affrontiamo impariamo ad avere pazienza, a diventare più degni della nostra umanità, ad acquistare quella virtù che ci rende sempre più uomini.
La virtù infatti è il fondamento della vita umana, è quello che rende un uomo tale: ce lo spiega l’etimologia della parola che, in latino, deriva direttamente dal valore militare, virtus. Valoroso è il soldato che è capace di fronteggiare impavido il pericolo, che non fugge, che non tradisce. Il lessico militare è profondamente inserito nella lingua latina, poi diventata, per tanti secoli, la lingua della vita cristiana, che ne ha mutuato immagini e significato, anche se in una dimensione totalmente pacifica.
La tempesta di neve

Le tribolazioni sono prove che ci aiutano a diventare pazienti, a comprendere il limite della nostra vita, e a sperimentare la necessità che non possiamo fare tutto da soli, che abbiamo bisogno degli altri, che abbiamo bisogno di essere salvati, soprattutto dalla solitudine e dall’abbandono.
Il rischio della nostra esistenza è pensare di essere onnipotenti. Lev Tolstoj descrive la presa di consapevolezza del limite in un racconto intitolato La tempesta di neve, in cui è sufficiente una nevicata, un evento assolutamente naturale, per perdere completamente l’orientamento nella steppa, avvolta dalla tempesta, e quindi sperimentare l’incapacità di decidere della propria vita, senza l’intervento di qualcuno che ci salvi.
E’ accaduto anche con la pandemia. Ricordate? Perché sembra che nessuno ricordi la paura di morire soffocati in un letto d’ospedale, senza che nessuno sapesse come intervenire. Sono passati pochissimi anni e abbiamo dimenticato tutto.

L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono, dice il Salmo 49 al versetto 13. Ecco perché le tribolazioni, che di per sé sono un male, possono diventare occasione di miglioramento di sé, di acquisizione di pazienza che produce speranza, nonostante tutto sembri dire il contrario.
E’ il senso della fatica del pellegrinaggio: pensate a quanti, ancora oggi, prendono la strada verso i santuari, a piedi, faticando. Quella fatica, quella tribolazione, producono pazienza e speranza nella metà da raggiungere. Il valore dimostrato a sé stessi è provatela speranza. Che io non sia confuso in eterno conclude il grande inno del Te Deum.