Per risolvere quei problemi abbiamo bisogno di un pane che vada ben al di là delle nostre capacità: quello della Fede in Dio
Elia s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». Si coricò e si addormentò sotto la ginestra.
Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia!». Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò.
Tornò per la seconda volta l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». Si alzò, mangiò e bevve.
Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb.
L’episodio raccontato dal Libro dei Re è molto vicino all’esperienza che stiamo vivendo in questi giorni: Elia è abbattuto, nonostante il suo impegno, i suoi sforzi, tutto sta andando a carte e quarantotto, la regina gli sta dando la caccia. I profeti di Baal si sono ripresi dalla sconfitta bruciante subita sul Monte Carmelo, e lui sente di non farcela più. Basta, inutile insistere.
Non vi pare di stare nella stessa condizione? Terra Santa, Iran, Ucraina, Russia, Trump. E poi il cambiamento climatico, le violenze, le carceri, gli incendi. No, non siamo migliori dei nostri padri. Ogni momento temiamo che ci arrivi la notizia terribile da uno dei questi fronti e che la faccia finita con il nostro mondo, le nostre piccolezze.
Come con Beckett ma più impauriti
Leggevo di un paragone tra la nostra condizione e quella dei protagonisti di Aspettando Godot di Samuel Beckett. Con la netta differenza che noi viviamo questi momenti con angoscia, come Elia, mentre i personaggi di Beckett sono assolutamente irresponsabili, si divertono. Elia è consapevole del fallimento, se ne carica tutta la responsabilità. Non ha il coraggio di guardare in faccia Dio che l’aveva mandato a cambiare le cose.
Ma non viene abbandonato: pur davanti al suo fallimento, Dio gli mette a disposizione il nutrimento, non lo disprezza, anzi lo incoraggia. Alzati e mangia, gli dice l’angelo, che ancora insiste. Sembra una specie di psicoterapia per un depresso…
Elia fa la scelta: accetta l’offerta di Dio, mangia il pane, beve l’acqua e si addormenta, riprende le forze che gli occorrono e che Dio gli mette a disposizione. L’angelo, il messaggero di Dio, è chiaro: è troppo lungo per te il cammino, se pretendi di affrontarlo da solo. Mangia questo pane, ti accompagnerà per quaranta giorni e quaranta notti fino al Monte di Dio, l’Oreb.
Il nutrimento per non scoraggiarsi
Il significato dell’episodio è chiarissimo: l’uomo ha di fronte a sé problemi che spesso ci paiono insormontabili. Non sappiamo come far finire le guerre, come far cessare le violenze, come evitare le disparità, come impedire gli imbrogli e le sopraffazioni. Meglio dormire, allora: è la tentazione di Amleto. Affrontare le aspre situazioni della vita o invece dormire, pensando che sia tutto un sogno. Elia sceglie di nutrirsi e così di vivere.
Ma per risolvere quei problemi abbiamo bisogno di un pane che vada ben al di là delle nostre capacità. L’evangelista Giovanni riprenderà il tema di Elia e del pane che gli viene offerto dall’angelo per affrontare i 40 giorni, l’esistenza che pare spesso senza metà, senza significato.
Il senso ce lo dà quel pane spezzato da Gesù, quel corpo che siamo invitati a mangiare e che siamo invitati a diventare, perché tutti ne possano mangiare. Senza quel pane non si vive: soltanto quel pane dà la vita eterna e restituisce senso all’esistente. Non aspettiamo un Godot che non verrà: abbiamo ricevuto il pane e dobbiamo decidere di mangiarlo. Di capire il suo messaggio, e camminare fino all’Oreb.
(Foto di copertina © DepositPhotos.com).