La libertà umana di accettare o rifiutare l'invito divino. E l'importanza dell'intelligenza nel capire la verità. Come nel caso dell'invito al banchetto che però scegliamo di rifiutare
Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate l’inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza».
Le parole del Libro dei Proverbi risalgono al V secolo avanti Cristo e disegnano un’immagine che Gesù stesso utilizzerà più volte nel suo insegnamento: Dio prepara un banchetto per gli uomini, a questi ultimi spetta soltanto accettare l’invito e approfittare del pasto. Semplice, no? No, affatto.
La maggior parte delle volte, secondo la sapienza biblica, l’invito viene rifiutato, rimandato, snobbato, soprattutto da quelli che vengono invitati direttamente. Tanto che poi si fanno entrare al banchetto tutti coloro che, secondo il nostro giudizio, dovrebbero esserne tenuti fuori.
Gli invitati che rifiutano
Frequentemente nelle parabole di Gesù, in quei racconti pedagogici che avevano lo scopo di far ragionare l’ascoltatore, si legge che gli invitati rifiutano, accampando scuse, addirittura minacciando l’ospite di sopraffarlo con la violenza. È il mistero della vita umana nel suo rapporto con Dio.
Nell’antichità greco romana tutto ciò non era possibile: la vita umana era decretata dal fato, cui nemmeno Giove poteva opporsi. Se c’è un banchetto nella tua vita, quel banchetto ti tocca, non sei tu a sceglierlo. Invece nella tradizione giudaico-cristiana, l’uomo è libero di accettare o meno l’invito, di assumerne le conseguenze, ma è libero, nessuno lo costringerà mai. Nella fede giudaico cristiana, il principio fondamentale di relazione fra l’uomo e Dio è la libertà. Dio fa una proposta di sequela, mostra un itinerario da seguire, la “via diritta” di Dante, l’uomo rimane libero di accettare o di respingere la proposta.
È il senso del racconto dell’origine di ogni peccato, quello che chiamiamo il peccato originale. Anche lì il tema è il mangiare. con la possibilità di avere a disposizione tutti i frutti del giardino, tranne che uno. Però, in quel caso, c’è una turbativa: c’è qualcuno, il serpente nella rappresentazione zoomorfa, colui che crea divisione, che mette zizzania, appunto, che insinua il sospetto che sia tutto un inganno, un farti credere una cosa per un’altra, sport nazionale dei nostri giorni. E i progenitori, come accade tanto spesso a noi, ci caddero: ecco il riferimento all’intelligenza proposto dal libro dei Proverbi.
Una Fede con cervello
L’autore del libro parla di una via dell’intelligenza, che è quella che deve seguire l’uomo per non cadere nelle trappole delle falsità, degli inganni, delle manipolazioni, delle alienazioni, come diremmo con un linguaggio moderno. Non si tratta di una fede senza cervello, anzi, l’intelligenza è dimensione piena del credente. Che, proprio grazie a questa tipicità umana, riesce a comprendere come l’invito sia da accettare, nonostante tutte le cose da fare, gli impegni che abbiamo già assunto, gli affari che non ci lasciano tempo, la carriera da coltivare…
Mi piace ricordare un episodio dei Promessi sposi, che Alessandro Manzoni sembra tirar fuori da questo versetto del Libro dei Proverbi. Padre Cristoforo, il gigante della fede del romanzo, come dice Manzoni, non era sempre stato così, né sempre era stato Cristoforo: il suo nome di battesimo era Lodovico. Ricorderete la sua vicenda: per una banale questione di precedenza, viene insultato da un nobile del posto, arrogante e soverchiatore di professione, e arrivano alle mani. Il nobile uccide il servo di Ludovico, Cristoforo. Ludovico a sua volta uccide l’assassino e, spinto dalla folla, scappa a rifugiarsi in un convento fancescano, contando sul diritto d’asilo.
Gli eventi e le loro conseguenze: sono morte due persone per una semplice questione di precedenza stradale, soltanto per l’onore della casata. Eventi che spingono Ludovico ad una profonda riflessione sulla sua vita, che si conclude in un cambiamento totale, una conversione appunto, come suggerisce il greco del Nuovo Testamento, con la parola usata da S. Paolo “metànoia”, una mente diversa. Una conversione tanto radicale da comportare il cambio del nome in Cristoforo, quello del servo ucciso.
La richiesta del Perdono
Ludovico, badate bene, aveva agito per difendere sé stesso e il servo ma nonostante la giustezza della fattispecie giuridica, la legittima difesa, sentiva la responsabilità di aver strappato un uomo alla vita. Manzoni ambienta questo cambiamento nella grande scena della richiesta di perdono: tutta la famiglia dell’ucciso è lì per dimostrare la sua potenza ma viene conquistata dalla sincerità di questo frate che va a chiedere perdono, senza vantare alcuna scusa o giustificazione.
Il fratello dell’ucciso ne rimane tanto colpito che invita il frate a mangiare qualcosa al grande rinfresco preparato per l’occasione. Ma Cristoforo prende soltanto un pane, lo fa spezzare e ne mette un pezzo nella bisaccia che lo accompagnerà nella strada che la sua intelligenza gli ha consigliato di intraprendere.
È il pane del perdono e della grazia che gli consentirà di percorrerla, il pane che Dio offre nel banchetto per tutti gli uomini di buona volontà.