Quella luce che cancella le nostre contraddizioni

Le ricchezze sono un bene ma possono diventare anche il nostro male, se confidiamo solo in loro. E non ci lasciamo illuminare da una luce capace di cancellare le nostre contraddizioni,

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: “Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori”.

Lc 2, 34-35

La luce squarcia le tenebre: uno dei momenti più suggestivi della liturgia cattolica si celebra nella notte di Pasqua. Proprio all’inizio della Veglia, la chiesa in cui si svolge l’azione liturgica è completamente al buio: c’è soltanto una luce accesa, quella del cero pasquale che rappresenta Gesù. Il significato è evidente a tutti: in un mondo pieno di pericoli e di disastri di ogni genere, che ci angoscia con la paura del futuro, chiaramente simboleggiato dal buio in cui è immersa la chiesa, una sola luce squarcia l’oscurità e tutti gli sguardi sono rivolti verso quella fiamma, da cui poi ciascuno accende la sua candela, mentre si intona l’annuncio: Lumen Christi, la luce di Cristo.

Il “Nunc Dimittis”

“La presentazione di Gesù al tempio e la Purificazione della Vergine” (Francesco Raibolini, detto il Francia – Basilica del Monte – Cesena)

E’ quello che accade nel commovente episodio raccontato nel vangelo di Luca al cap. 2: Simeone, un pio anziano, da tutti considerato un giusto, è nel tempio, fidente nella promessa ricevuta dallo Spirito che non sarebbe morto prima di vedere la gloria di Israele. E quando vede quella coppia che avanza verso l’altare per il sacrificio rituale legato alla circoncisione del bambino, ne proclama la divinità, riconoscendo che finalmente la promessa è stata adempiuta e chiedendo al Signore di farlo morire in pace.

Sono le parole che vengono recitate dai cristiani nell’inno della compieta, la preghiera che conclude la giornata: ora lascia, Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli; luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele. E’ il cantico di Simeone, il Nunc Dimittis, preghiera quotidiana nella liturgia delle ore.

Non è comodo essere cristiani

Ma Simeone non si ferma lì: quel bambino, la luce del mondo, sarà un personaggio scomodo. Darà dolore alla madre ma sarà segno di contraddizione per molti. Di fronte a lui si svelano i segreti dei cuori, insiste ancora l’evangelista, che vuole mettere in evidenza come essere cristiani non sia per niente un fatto comodo, perché troppe volte si può rimanere sul divano invece di darsi da fare ad aiutare gli altri, si può rimanere vittime del chiacchiericcio e financo del linguaggio d’odio, invece di essere strumenti di pace e di riconciliazione.

San Francesco interpretato da Raoul Bova

E’ la discussione che avviene tra Francesco e il padre Bernardone, ricco mercante di Assisi, che non riesce a capire quell’insana passione per la povertà che aveva colpito il suo unico figlio. Ci pare di sentire ancora adesso le sue parole: perché per aiutare i poveri devi diventare povero anche tu? Se sei ricco, puoi aiutarne tanti di più.

Ecco la contraddizione che Pietro di Bernardone non riesce a cogliere e che invece il figlio Francesco ha compreso.

Il segno della contraddizione

Le ricchezze sono un bene ma possono diventare anche il nostro male, se confidiamo in esse, invece che nella parola di Gesù. Francesco capisce che deve liberarsi di esse se vuole essere un vero cristiano, altrimenti i soldi, la potenza, la ricchezza l’avrebbero avviluppato nelle loro spire, per cui non sei mai soddisfatto di quello che hai, ne desideri sempre di più.

Quanti esempi ci vengono dalla vita di ogni giorno, con persone con uno stato di vita più che soddisfacente rovinano la propria vita e quella delle loro famiglie per avere sempre più soldi, come se non bastassero mai.

Paolo di Tarso, quel rabbi che prima perseguitava i cristiani e poi diventa il megafono di Gesù in ogni angolo della terra allora conosciuta, dice che l’avidità è una vera e propria idolatria: la mettiamo al posto di Dio e orientiamo tutta la nostra vita in quel senso. Ecco il segno di contraddizione che può salvarci dalla rovina.