L’eleganza di Nello Nacci che sapeva di leggerezza

La vera statura dell'avvocato Nello Nacci, morto oggi all'età di 78 anni nella clinica San Raffaele. Il gusto per l'ironia, il bisogno di leggerezza prima di tuffarsi con rigore nel Diritto

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Nello Nacci era elegante. Elegante ed avvolto dal fumo delle sue sigarette che facevano passare da quella cortina solo due cose: l’ironia e la leggerezza. Non la leggerezza empia della vacuità, ma quella di Nicola Donti, di Calvino e di Zarathustra. Quella che ci consente di “planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. La leggerezza di chi ha “ali di farfalla e bolle di sapone” per sconfiggere il macigno della gravità.

Ci sono state volte in cui chi incontrava quell’avvocatone alto, allampanato, nelle prime ore del mattino sotto i portici che a Piazza Labriola guardano al Palazzo di Giustizia, aveva un’impressione nettissima. Quella per cui la nebbia da brughiera della Città Martire fosse stata inventata da Dio al solo scopo di concedere a quello spirito libero un po’ di tempo e spazio discreto per prepararsi al cimento d’aula. Perché Nello Nacci era fatto così: doveva irridere benevolmente per un po’ se stesso ed il mondo in cui si era trovato calato prima di affrontare l’austerità del Diritto, e forse proprio per questo poi lui il Diritto lo riusciva a coniugare in maniera così efficace.

La toga e la cifra umana
L’avvocato Nacci (a destra) con il presidente dell’Ordine Di Mascio

Per essere avvocati basta conoscere le Norme e vivere abbastanza da sapere le regole della loro applicazione, per essere bravi avvocati bisogna far decantare il sapere giuridico nei recessi della propria cifra umana. Poi attendere che esso si innalzi di registro ed infine usarlo come una mitraglia. Ma per fare questo serve sempre che ci siano tempo e circostanze per riappacificarci con la nostra parte lieve, sennò il trucco non funziona.

Ecco, Nello Nacci aveva imparato a fare questo training autogeno mollemente seduto ad un baretto giusto di fronte al Tribunale. Lo faceva per lo più con gli amici di sempre, Silvana Cristofori ed Antonio Chianta, ma semplicemente lui non disdegnava, anzi, spesso tartufava chiunque fosse in grado di gettare sul tavolo degli intenti mattutini una libbra di ironia.

I portici, il baretto e la nebbia

L’Aula della Corte d’Assise di Cassino

Perciò accadeva, a volte, che mentre il giornalista percorreva quei portici, lo fermasse con fare gioviale ed invitasse per un caffè. E lì accadeva un piccolo miracolo. Nacci non parlava assolutamente mai di cose giuridiche, di processi, di casi o iperboli legulee. Non gli andava ed era troppo corretto per non sapere che parlare di cose giudiziarie con un cronista di giudiziaria equivale ad aizzare un molosso. E ad accendere un protocollo.

Nello Nacci dai suoi interlocutori non voleva protocolli, ma solo occasioni: per toccare argomenti generali, per ridere con charme delle cadute dei potenti. E per ridere di se stesso con la stessa forza con cui i meschini ridono solo del prossimo. A quel punto accadeva la magia: il fumo di sigaretta si faceva più fitto, la nebbia amica ci avvolgeva più forte e le cose che prima apparivano come sfondo passavano in primo piano.

Ed alla fine di quelle conversazioni te ne andavi sempre con una certezza: che l’ordine di quelle cose era stato invertito dalle regole di un mondo corridore.

Le cose che stanno davanti

E che le cose in secondo piano sono quelle che devono stare avanti. Cose come il tempo libero, la fiducia in una buona risata. E faccende dissetanti e toniche come un motto arguto che ti risolleva la giornata. E che alla fine va oltre la sua mission e ti mette più birra in corpo per chiudere la parte della giornata deputata al dovere.

Una volta – credo sia stata l’ultima volta che l’ho visto, peraltro un bel po’ di tempo fa – gli dissi che in quel periodo non ero particolarmente motivato a fare il mio mestiere. E lui, sbuffando un pinnacolo di bruma dall’alto della sua statura, mi ripose secco: “Dillo a me, io oggi mi sento come uno come una gamba sola ad una gara di calci in culo”. E chiosò ghignando perché a quello che stava per dire non ci credeva: “Sempre con rispetto parlando”.

A quel punto fu facile capire che la sua statura, la statura di Nello Nacci, non era solo quella che decretano i centimetri. E che proprio quella ci mancherà, oggi che lui se ne è andato. E che siamo costretti a cercare nella nebbia della banalità altre persone così leggere da essere pesantissime.