Epifania, abbiamo ucciso i falò dei cispadani e non c’è più la luna

Cesare Pavese, la luna e i falò: ovvero il fascino di una ricorrenza tra le lingue cispadane e la nuova aria di Spinaceto.

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.

Un posto che resta ad aspettarti perché è il tuo. Ecco questo piano pontino non aspetta nessuno. Qui c’è stato un tempo in cui i cispadani spersi su questa terra piatta facevano falò per bruciare i brutti ricordi e scaldare quelli belli.

Una notte piena di luci

La notte della Epifania era piena di luci tremule e i bambini erano felici, i contadini speravano nel grano e bevevano clintò contro ogni legge di uomini e dio.

Era il tempo in cui pensavano che questa terra li avrebbe aspettati, invece lì ha cancellati: non ci sono più i falò, non ci sono più le lingue cispadane e tira aria di Spinaceto.

La vecchia non arde, resta con i suoi rancori… I personaggi di Pavese con la loro radicalità sono diventati sottoproletari culturali come quelli di Pasolini. Che qui non avrebbe trovato la sua lingua friulana ma la parlata disperata di borgata.

Pier Paolo Pasolini

Hanno ucciso i falò, meglio nessuno lì ha difesi e qui ormai siamo in una terra dove c’è il buio e questa sera non c’è neanche la luna.

I putei? Saranno soli dentro idee vecchie che nessuno brucia più.

(Foto di copertina © DepositPhotos.com).