Cosa c'entrano i territori del Lazio Sud e della Ciociaria con i Saraceni? Una lunga storia, fatta di invasioni, battaglie, papi ed imperatori
I giornali riferiscono di un interessante progetto che sta prendendo forma nella Valcomino. Il titolo ispira curiosità: “Nei borghi tra sanniti e saraceni”. Si tratta di una iniziativa messa in campo dai comuni di San Biagio Saracinisco e Vallerotonda la cui mission è quella di rigenerare questi due piccoli borghi attraverso la storia e la cultura.
Parlando di saraceni è utile raccontare assai brevemente le volte che gli inturbantati, nei secoli passati, hanno preso d’assalto la Ciociaria: da intendersi questa come la futura porzione meridionale del Lazio.
Gli assalti dei saraceni
I saraceni cominciano a farsi vedere delle nostre parti intorno al IX secolo. Non lo fanno per organizzare un convegno sulla indispensabilità del dialogo tra religioni. Piantano le tende (e le grane) alle foci del Garigliano. Sanno che è risalendo quel fiume, come del resto lo stesso Liri, che si può penetrare all’interno di territori di cui fare strame. E’ l’876 quando i malastrudi col turbante saccheggiano prima Serrone poi tutta la Valle del Sacco costringendo gli autoctoni a darsela a gambe: le donne per conservare inviolato il fosso ristorativo (copyright Pietro l’Aretino), gli uomini per non vedersi suonato il mandolino.
Ad Atina, poverina, non si contano le volte in cui, tra IX e X secolo, viene messa a ferro e fuoco. Per non parlare di Frosinone che dei saraceni, dopo che Carlo Magno ha tolto il disturbo, diviene addirittura possedimento (coi santi Ormsida e Silverio a rivoltarsi verosimilmente nella tomba).
Le invasioni dei barbareschi, siamo sempre al secolo decimo, costringono la popolazione di Boville Ernica a trasferirsi sul colle dove più tardi sorgerà l’attuale centro fortificato. L’Abbazia di Montecassino viene distrutta nel 883: peggio di loro faranno solo gli angloamericani qualche secolo più tardi.
Le danno ma le prendono pure
A Veroli, però i turchi le buscano: accade in località la Vittoria dove la gente del loco non potendone più di violenze e saccheggi assortiti caccia via il nemico a pedate nel fondoschiena. Per festeggiare l’evento viene tirata su l’attuale chiesa che non a caso si chiama de la Vittoria.
Altre sberle i mori se le beccano da papa Giovanni X. E’ il 916 quando Giovanni da Tessignano, futuro pontefice, convoca l’imperatore d’Occidente e gli fa una diesilla (leggi predica). Al suo augusto interlocutore il successore di Pietro dice più o meno così: caro mio, qui se non ci incavoliamo come jene a digiuno (traduzione: se non dichiariamo guerra all’invasore) gli inturbantati ci sansebastianizzano uno via l’altro.
Re Berengario prima dice di sì, vabbè facciamola ‘sta cacchio di guerra, poi però se la fa sotto e se la svigna. Il papa prima s’incavola come una jena a digiuno (ma senza sacramentare però, se no che papa sarebbe) poi si vede costretto a mettersi lui alla testa dell’esercito con il quale marcia verso il Garigliano. Dove, al termine di una cruenta battaglia, sbaraglia finalmente il nemico (siamo a metà agosto del 915).
La traccia nei nomi
I seguaci della mezzaluna si danno alla fuga. Trovano ricovero in quei posti che, da allora in poi, porteranno traccia del loro passaggio fin nel toponimo: San Biagio Saracinisco, appunto. Ma anche Schiavi (saraceni) l’attuale Fontechiari.
Fiuggi viene salvata da San Biagio il quale, il giorno prima dell’invasione saracena, fa baluginare dalla cinta muraria fiamme immaginarie (il famoso falò delle Stuzze). Gli aspiranti predatori ci cascano, credono che la città sia stata già saccheggiata da qualcun altro e si ritirano in più o meno buon ordine.
E’ una leggenda quella del fuoco, naturalmente. Ma il popolo ci crede: e dunque è vera.