Il ritorno a casa di Jago. E il vescovo che crede nell’arte come vangelo laico

Il vescovo e l'artista: monsignor Ambrogio Spreafico e lo scultore di fama mondiale Jago hanno ufficializzato oggi la cessione a titolo gratuito della chiesa sconsacrata della Madonna del Popolo ad Anagni. Riapre come laboratorio d'arte grazie a Jago. Lo spazio sacro si rinnova con una liturgia di bellezza e creatività per risvegliare la comunità.

Non in latino, né in gregoriano: la chiesa sconsacrata della Madonna del Popolo ad Anagni torna a parlare ai fedeli. Senza i profumi degli incensi, senza il ritmo cadenzato dei Salmi. Parla in marmo, in luce, in silenzio. Parla attraverso le mani di uno scultore che nel mondo si fa chiamare Jago ed è nato a pochi passi da quella chiesa: ed una volta smesso di essere bambino ha trasformato la materia in verbo. Oggi, grazie a un vescovo che è convinto che le anime si salvano anche con la bellezza, quella chiesa riapre. Non per la Messa, ma per la creazione.

L’interno della chiesa della Madonna del Popolo

La Madonna del Popolo non è solo una chiesa chiusa. È una ferita di città, un silenzio che pesava. Ora diventa laboratorio, bottega, officina d’arte. Torna a essere spazio sacro, ma con un’altra liturgia: quella dell’intuizione, del gesto che scolpisce, della bellezza che scuote le anime e le consola.

Il miracolo è che tutto questo non accade a Berlino, a Londra o a Napoli dove Jago ha già riacceso il rione Sanità. Accade nel cuore del Lazio profondo che diede asilo ai Papi e li vide oltraggiati, nella città che ospita la celebre cattedrale considerata la Cappella Sistina del Medio Evo. Anagni è città di papi e di vescovi ma anche di sogni interrotti. Oggi, però, qualcuno ha rialzato la saracinesca dell’immaginazione. (Leggi qui: Anagni rinasce con l’arte: la chiesa dimenticata diventa il laboratorio di Jago).

La Conferenza Stampa

Ambrogio Spreafico

La scena si apre nel palazzo vescovile. Da una parte monsignor Ambrogio Spreafico: voce ferma, gesti misurati ma idee che scavalcano le navate. È l’uomo che legge la bibbia in aramaico, la lingua del Cristo: e poi la commenta nelle note che stanno a margine delle Scritture; il vescovo che dalla Commissione Cei ha costruito ponti di dialogo con l’Islam per i vari Pontefici. Dall’altra, Jacopo Jago Cardillo: t-shirt e pantaloni neri, sguardo da ragazzo sfuggito all’Accademia delle Belle Arti che a Frosinone lo voleva omologato anzichè liberare il talento che era inespresso in lui. Non sembra un artista, sembra un ragazzo tornato a casa dopo un lungo viaggio.

«Mia madre me lo diceva: prima o poi tornerai a casa. Oggi la tua dimensione è nel mondo ma prima o poi tornarai. Aveva ragione», dice lui. E non è una battuta. È il manifesto di questo progetto. Tornare. Restituire. Ricostruire. «Quella bellezza che cercavo lontano, girando per il mondo – confessa – ce l’avevo a portata di mano».

Jacopo Jago Cardillo

Il vescovo racconta l’inizio. Un convegno, un incontro fortuito alla Sala della Ragione. «In Jago ho visto non solo la qualità dell’artista, ma il valore del percorso che potevamo fare insieme». È nato lì il progetto. Un’alleanza dimenticata tra fede e creazione, tra pastorale e scultura. E un’idea potente: la chiesa ha sempre parlato attraverso gli artisti. Papa Giulio II ha reso visibile la maestà dei Santi attraverso il marmo scolpito da Michelangelo, papa Sisto IV ha reso visibile la Genesi facendo affrescare la cappella Sistina.

La benedizione laica

Chiesa della Madonna del Popolo, dettaglio

Ambrogio Spreafico non ha ambizioni papali ma ha la certezza che l’arte sia espressione dell’Altissimo. Lui che legge ed interpreta le Scritture vede in una chiesa dismessa la possibilità di diventare laboratorio vivo, luogo di passaggio tra l’anima e il gesto. Davanti ai taccuini, azzarda: «Jago è un segno. Come a Napoli, anche qui l’arte riattiva il tessuto urbano, restituisce senso ai luoghi».

E poi, quasi a voler dare una benedizione laica al progetto: «Oggi la differenza è un valore». È chiaro che si riferisca ai sovranisti di ogni latitudine, ai razzisti di oggi che hanno dimenticato quanto razzismo dovettero subire i nonni emigranti: «La memoria è fondamentale. Invece sembra che oggi abbiamo dimenticato tutto e che tutto sia normale, le guerre siano normali».

Non è solo un fatto estetico, dice Jago. «È anche educativo». Lo scultore cita il Titanic, ma non per affondare: «A volte noi artisti sembriamo i musicisti che suonano sul ponte del transatlantico mentre affonda. Ma il fatto che continuiamo a suonare non significa che ignoriamo il disastro che ci circonda. Anzi. La bellezza è l’unico contraltare possibile alla brutalità».

L’atelier di Jago

Ambrogio Spreafico con Jacopo Jago Cardillo

Lui, che ha scolpito il dolore e la maternità, la rinascita e l’assenza, ora immagina una chiesa-laboratorio dove creare, formare, esporre. Dove le opere – quando pronte – saranno musealizzate in un circuito che coinvolgerà tutta la città. Ma il punto non è fare turismo. È creare relazione. «Nessuno fa nulla da solo – dice – bisogna circondarsi di persone migliori di sé. E io qui le ho trovate».

C’è qualcosa di commovente e insieme politico in questa storia. Una chiesa che ritorna alla comunità non con la Messa delle 10, ma con lo scalpello, con il gesto. Un vescovo che non ha paura di cedere spazi ma anzi li dona nella certezza di ricevere in cambio per il gregge la bellezza dell’arte. E un artista che non va a cercare il mondo: lo porta a casa sua.

Lì, tra le pietre di Anagni, dove l’arte si è spesso confusa con la fede e la fede con il potere, oggi si torna a sognare. In silenzio, con la polvere del marmo nell’aria, e una pala d’altare che veglia ancora. Forse la Madonna del Popolo sta già sorridendo. Non di devozione, ma di riconoscenza. Perché la bellezza – se usata bene – redime anche l’oblio.