
L’omelia per la patrona di Veroli Salome ed il filo etico che unisce il Vangelo con molte brutture dei tempi attuali
Basterebbe pensare solo per un attimo alla diplomazia umanitaria con cui il presidente della Cei Matteo Zuppi è riuscito a strappare uno scambio di prigionieri tra Kiev e Mosca concretizzatosi in queste ore. Basterebbe pensare a quella per capire che dietro i santi, dietro le croci ed i riti c’è, il più delle volte, un particolarissimo tipo di umanità.
Ed è quella che mette il proprio rango a servizio del bene, che serve, in entrambe le accezioni di significato, e che non comanda pur possedendo il crisma del potere. Ed è un potere molto particolare, quello degli uomini della Chiesa che sanno farsi umili.
E’ il potere di coinvolgere le persone negli affanni del mondo e spingere le stesse a portare il proprio pezzettino di croce.
Il trait d’union tra due presuli

C’è un trait d’union, tra questo concetto, chi lo ha recentemente espresso e l’azione diplomatica di Zuppi, ed è Veroli. Il primo, cardinale considerato papabile dopo la morte di Francesco, ha ascendenti ernici. Il secondo, Ambrogio Spreafico, di Veroli (e con essa di Frosinone, Ferentino e dal 2022 di Anagni-Alatri, è il vescovo.
Un Pastore di rango che, in occasione della festività della Patrona Santa Salome, ha messo a registro in omelia fede locale e respiro ampio di una storia che abbisogna sempre più di una fede militante.
Una fede che non sappia chiudere gli occhi e che faccia “rimanere con Gesù”. Perché “è ciò che cambia la vita, ciò che ci rende felici, perché da lui impariamo ad amare. Rimanere con Gesù nel momento del dolore e nel momento della gioia. Ecco la via che Maria Salome e altre donne menzionate nei Vangeli ci hanno lasciato”.
Teologia e tragedie temporali
Spreafico ha questo immenso dono di saper mettere a crasi teologia e grandi tragedie temporali, speculazioni morali e drammi terrigeni. E non ha avuto remore nel dire che “noi siamo in un mondo sfilacciato, dove le relazioni sono spesso passeggere, perché prevale la solitudine”.

Un mondo dove prevale “l’io sul noi, sulla scelta di condividere la propria umanità”. E sulla bellezza di accettare “la diversità come una ricchezza con cui convivere”. E’ un concetto forte, cardinale ma difficile da digerire in un mondo egotico come quello in cui viviamo. Perché “il mondo è pieno di io, che non accettano di vivere con gli altri, di amare come il Signore ama noi, giudicando ed escludendo sempre qualcuno”.
E sì, ci sono conseguenze. “Per questo non si porta frutto, perché i frutti sono opera di una sinergia di amore, di ricchezze che si intrecciano e fanno maturare la propria umanità e il mondo”. Poi un paragone calzantissimo, di quelli che attualizzano i Vangeli e che soprattutto danno la cifra di quanto sia moderno questo Cristianesimo millenario.
Maria Salome e “l’egoismo” materno
“Maria Salome, la madre dei figli di Zebedeo, non lo capì subito. Pensava che il problema fosse portare avanti i suoi figli, assicurare loro i primi posti nel regno di Dio”. E purtroppo “così è spesso la vita: occupare posti, pretendere e comprare posti, ovviamente eliminando gli altri”.

“Se ne vedono ogni giorno nel mondo ma anche nelle nostre città e persino nelle nostre comunità. Altro che servizio, altro che ricerca del bene di tutti. Ciò che interessa anzitutto è il proprio interesse e il proprio guadagno”.
Come quando fin da piccolo e secondo una sub cultura di eugenetica sociale e farcita di bona fides genitoriale ci viene detto: “Fatti valere! Non cedere mai! Mostra chi sei!”
La bellezza del servire

Ciò provoca spesso “liti, risse, violenza e odio, che si diffondono a volte a partire dai social e dall’abitudine a giochi violenti, in cui si deve sempre vincere ed eliminare l’avversario. Si cresce a volte circondati più da estranei o avversari che da amici!”.
Ecco perché la servitù nella sua accezione più alta è la salvezza. “Il servo è l’opposto del padrone, di quella prepotenza che vuole dominare e imporsi. Essere servo indica una dimensione del vivere, una cultura del vivere, in cui non si rivaleggia per eliminare qualcuno o per dominare, ma per occuparsi degli altri, per imparare a venire incontro al bisogno di qualcuno”.
E soprattutto venire incontro la bisogno di ritrovare noi stessi nella sola dimensione che ci completa: quella di guadare al prossimo che ci piange accanto.