La memoria, gli oggetti e l’anima di un popolo in un solo posto

Il Museo della civiltà Contadina e dell'Ulivo di Pastena è uno scrigno di cose belle e antiche. Che hanno il fascino irresistibile di tempi non sempre luminosi, ma che hanno segnato la mappa emotiva della Ciociaria. Perché un popolo lo riconosci da quello che fa. E da quello che usa.

Marco Stanzione

Non invitatemi mai a bere...

“Senza memoria, non c’è futuro”. Quante volte abbiamo letto e sentito questa frase? Il nostro passato è stato talmente funestato da disgrazie che ricorriamo annualmente alle giornate della Memoria. Lo facciamo per ricordare a noi stessi dove la storia ha dato uno schiaffo agli esseri umani. (che poi sono gli stessi esseri umani a prendersi a schiaffi da soli). Sacrosante sono quelle giornate, quei luoghi e quei monumenti che ci raccontano come eravamo. E dove, come, quando e quanto abbiamo fatto cose buone o errori madornali

L’errore più grande che si possa commettere dunque è  quello di depauperare il patrimonio dei ricordi. Per questo che anche piccoli musei in piccole comunità sono un tesoro da preservare con la massima cura

Vita contadina, grotte e Manfredi 

Gli attrezzi da lavoro

È questo lo spirito che ha permesso al comune di Pastena di inaugurare il Museo della Civiltà Contadina e dell’Ulivo nel 1994. E di continuare a curarlo come un tesoro prezioso. Mantenere in vita un museo per ventisei anni potrebbe sembrare un vero e proprio miracolo per una comunità così piccola, ma non per Pastena. Piccola si, ma abituata per diverse ragioni ad avere un flusso turistico piuttosto elevato. Famose sono le grotte omonime, scoperte quasi cent’anni fa e che spesso restituiscono alla luce ritrovamenti preistorici o dell’età del bronzo.

La  casa museo di Nino Manfredi, nato nella vicina Castro dei Volsci da genitori di Pastena, dove ha vissuto i primi anni della sua vita. La bellezza del centro storico e i prodotti tipici la rendono una meta molto gettonata. Gettonata per le passeggiate domenicali e per chi ama la natura

Ma sempre di un paesino di poco più di mille abitanti stiamo parlando, quindi gestire un museo e dargli nuova linfa anno dopo anno non è affar semplice.

Lo sa benissimo Piero Bartolomucci, assessore comunale che da anni se ne prende cura. «Il museo ha un intento ben preciso, quello di ricordare ai concittadini e ai visitatori da dove veniamo. Vogliamo promuovere e ricordare le tradizioni e quello che ci hanno lasciato genitori e nonni». 

Il museo dei Pastenesi

Gli abiti tradizionali

Il museo sorge proprio nella parte sottostante il palazzo del municipio. Qui vengono raccolti tutti gli utensili antichi donati dai cittadini pastenesi. Utensili che nel corso degli anni si sono aggiunti ad altri già presenti nella collezione museale del comune.

Ed il colpo d’occhio è straordinario. Quando si attraversano le varie stanze vieni proiettato indietro nel tempo, si respirano antiche atmosfere che in questi luoghi non sono mai sopite. A guidarci nella visita c’è Federica Carnevale, giovane ragazza di Pastena che conosce ormai a memoria ogni singolo centimetro del museo: «Le stanze espositive  sono tredici. Ognuna racconta uno spaccato di vita della popolazione ciociara, vite di contadini, di gente semplice ed operosa».

In effetti non posso fare altro che abbandonarmi all’immaginazione e, in piccola parte, anche ai ricordi. Perché quando vedo il classico braciere che serviva per riscaldare la famiglia nelle fredde serate invernali il pensiero va a mia nonna che fino all’inizio degli anni 90 lo utilizzava. Televisore acceso, braciere vivo e coperta appoggiata sulle ginocchia, nonna Ida, io e mio fratello. A distanza di 30 anni ancora riesco a sentire quel tepore, sembra passato un secolo! 

Gli oggetti e l’anima di una terra

Gli attrezzi

Proseguendo la visita ti immergi in una giornata di lavoro contadino che Federica ci descrive in maniera minuziosa. «C’è la stanza dei finimenti per asini e cavalli, con selle, cinghie e ceste per trasportare il raccolto. Poi la stanza dove sono esposti gli abbigliamenti ciociari con particolare attenzione alle Ciocie, i tipici calzari che si usavano all’epoca. Si va poi in una sala dove c’è la ricostruzione di una cucina, con il forno a legna per la cottura del pane, pentole, zuppiere e cannate in terracotta».

«Inoltre i bracieri ed una piccola e rudimentale macchinetta in ferro battuto per la pasta sfoglia. In una sala grande sono presenti tutti gli utensili per lavorare i campi. Cioè carri, aratri, zappe, pinze, falci. E la trebbiatrice per il grano, talmente pesante che veniva trasportata a spalle da almeno dieci persone. Nella cantina ci sono anche conservate le botti ed il torchio per fare il vino». 

Il museo guarda anche al passato più recente e drammatico, vi è infatti un angolo dedicato alla seconda guerra mondiale. Cioè ad un evento che ha segnato in modo indelebile il basso Lazio e tutt’oggi le cicatrici sono ben visibili. Ci sono esposte borracce, porta munizioni, elmetti (qualcuno addirittura risalente alla prima guerra mondiale). Poi fotografie ed una targhetta dedicata alle donne vittime delle marocchinate. 

L’unico utensile non appartenuto ad un compaesano è un telaio di fine 1800 pensate ancora funzionante. È situato in una zona del museo che si chiama proprio l’angolo dell’orafo. Questo perché il telaio fu donato da un orafo di Vallecorsa dopo che questi visitò il museo e ne rimase entusiasta.

Il frantoio, l’olio e la cisterna

Il frantoio

La stanza più grande ed anche la più suggestiva è senza dubbio quella del frantoio, dove originariamente veniva prodotto l’olio. C’è una macina con grosse ruote in pietra che venivano fatte girare da un asino. Poi il torchio dove veniva poi lavorata la pasta delle olive con l’acqua presa direttamente dalla cisterna romana che è ancora lì, praticamente intatta. Una sala dunque capace di proiettarti in diverse epoche storiche in pochi metri quadri. 

Il museo è davvero ben tenuto, il costo è puramente simbolico (2/3€). Ed è per molti un vero e proprio punto di partenza per una visita completa della zona. Pensate che nel 2019 si sono contati più di 6000 visitatori. Un trend costantemente in crescita fino, nemmeno a dirlo, a marzo 2020 quando il Covid-19 ha paralizzato mezzo mondo. Nonostante ciò il museo resiste ed è sempre visitabile, tutti i giorni, con dovute precauzioni e su prenotazione. Fate un favore a voi stessi, andateci. 

Stiamo parlando di oggetti risalenti a più di un secolo fa, agli albori del 1900. La gente della zona era piuttosto povera ma estremamente laboriosa e ricca di dignità. Lo si capisce dal fatto che questi utensili raccontano di persone capaci di fare tutto il necessario per il proprio sostentamento. Ferri per stirare che si riscaldavano nel forno, le forme cilindriche con piccoli fori per far solidificare il formaggio che si faceva a marzo, l’odierna Marzolina Dop. Inoltre forbicioni per tosare le pecore, e “conciapiatti” per riparare i piatti rotti con il fil di ferro.

Se c’è un passato da ammirare e di cui andare orgogliosi è questo. Ed è a due passi da casa nostra.