Viaggio in India (Il Duro della settimana)

Luciano Duro

Narratore e Sognatore

Luciano Duro
di LUCIANO DURO
Narratore e Sognatore

 

S’incontrarono nella sala d’attesa di un famoso chirurgo di Milano.

Erano seduti l’uno di fronte all’altro: Andrea, cinquantacinque anni, insegnante di storia e filosofia, divorziato, con due figli in giro per il mondo e Marco, stessa età, sposato, rappresentante di commercio ed una figlia giornalista.

L’uno di fronte all’altro si guardavano, c’era qualcosa di familiare nei loro volti, si osservavano ed ogni qualvolta gli sguardi s’incrociavano, abbassavano gli occhi e, per un malcelato pudore, Andrea riprendeva a sfogliare una delle riviste che si trovano sul tavolo dell’anticamera di un medico, mentre Marco guardava, disinvolto, fuori la finestra, per assicurarsi che la nebbia si fosse diradata.

Che strana città Milano! Non si perde mai tempo.

Al mattino, persino nel métro si notano zelanti impiegati con le carte sulle ginocchia, per avvantaggiarsi nel lavoro d’ufficio. Se si è in piedi si legge il giornale perché, durante il giorno, non ci sarà più tempo.

Andrea e Marco si conoscevano da molto tempo, ma per quelle strane circostanze che spesso accadono in una grande e dispersiva metropoli, si erano persi di vista e mai più ritrovati. Vent’anni, volati via, il loro aspetto non era più quello di prima, i capelli corti ed il volto rasato, ma ne avevano combinate troppe insieme: i concerti al Vigorelli, il collettivo studentesco e l’autostop da Milano fino ad Amsterdam; tre giorni e tre notti “on the road”.
Gli sguardi s’incrociarono nuovamente e si guardarono intensamente negli occhi, Andrea ruppe ogni indugio: ”Marco, sei proprio tu, quanto tempo è passato!”.

Si abbracciarono e nel breve volgere di qualche minuto si raccontarono quei vent’anni che li avevano tenuti lontani.

Parlarono delle, mogli, dei figli, del lavoro, ma anche dei vecchi progetti e dei tanti sogni comuni che li avevano un tempo resi amici.

“Festeggiamo al bar”, propose Marco.
“Ma non siamo qui per una visita medica?” disse Andrea.
“Cosa vuoi che importi” ribadì l’altro, abbassando gli occhi umidi di pianto, “Tanto ormai non c’è più nulla da fare”.
“Neanche per me” disse sottovoce Andrea, “Il nostro destino è segnato!”.

Scesero in strada e camminarono per ore, piansero e risero insieme, mangiarono un “hot dog” in un McDonald, così come fanno i ragazzi, bevvero birra in un pub ed ascoltarono musica dal vivo in un jazz-club. Parlarono ed un filo di tristezza accompagnava i loro discorsi per ciò che avrebbero voluto fare e che non era stato possibile. Il tempo volò via e la notte sopraggiunse, quell’incontro aveva riacceso la speranza che potevano guarire e comunque nonostante la grave malattia si sentivano ancora così vivi da fare progetti per il futuro.

“Andiamo in India, volevamo andarci una volta! Ho letto di un saggio asceta che ha guarito malattie per le quali la medicina occidentale nulla aveva potuto”.

Una settimana dopo erano in viaggio per Varanasi e giunsero all’Ashram del maestro. Una folla di pellegrini attendeva di essere ricevuta: alcuni, insieme, seduti sulla riva del fiume, recitavano sottovoce il sacro OM, altri avevano il volto segnato da un malessere, non necessariamente riconducibile ad una malattia del corpo, taluni avevano evidenti i segni di un grave deperimento fisico.

Si misero in fila e, quando giunse il loro turno, l’uomo sembrava li aspettasse ed accolse i due con un luminoso sorriso. Era un grande maestro di vita e di saggezza, non seppero definire la sua età, era molto vecchio, con il volto ruvido come la corteccia della quercia secolare, ma aveva gli occhi vispi e vigili come quelli di un bambino. Non li lasciò parlare come se già sapesse tutto delle loro vite e dei loro affanni e con voce flebile che veniva dal profondo dell’anima cominciò.

“Non so dove iniziare o dove finire, perché la vita stessa non ha principio e non ha fine. Come il sacro Gange, anche voi siete senza principio e senza fine.

Nulla inizia mai, né finisce.

Quando si nasce la vita non si manifesta al massimo del suo potenziale, esiste al suo minimo. E se rimarrete fermi, vivrete una vita molto prossima alla morte, una vita estremamente limitata.

La nascita offre solo un’opportunità, crea un’apertura.

La vita si deve conseguire. La nascita è solo l’inizio, non la fine.

Avete illuso voi stessi e gli altri di aver vissuto, in realtà, siete ancora ancorati al grembo materno e tutto il tempo trascorso è stato tanto inutile che una parte consistente di voi non è stata alimentata dalla fonte della conoscenza e sta morendo.

Non mi parlate dei vostri malanni fisici e delle vostre angosce poiché non è il corpo malato.

Una sola cosa posso fare per voi, spingervi sulle strade della conoscenza, solo così potrete guarire.”

Il saggio non disse altro e li invitò ad alzarsi indicando l’uscita dell’Ashram ma, prima che varcassero la porta, li chiamò nuovamente a sé, con un ampio gesto, circolare, della mano sinistra, materializzò due pietre gialle, grandi come l’unghia di un pollice, ne consegnò una ad Andrea, l’altra a Marco: “Sono due pietre più dure del diamante, succhiatele come il latte materno, se riuscirete a scioglierle potrete continuare la vostra vita terrena”.

Tornarono a Milano e le loro strade si divisero ancora.

Andrea girò il mondo, visitò città bellissime, udì il pianto ed il riso di bambini, le urla strazianti di uomini sofferenti e il sorriso gioioso di uomini felici, ascoltò storie di magia e d’amore, conobbe ed amò donne bellissime, parlò con uomini dotti e saggi, poi, stufo del suo girovagare, tornò a Milano, la malattia sembrò un ricordo lontano ma nonostante il tempo e l’impegno la pietra non si sciolse e rimase dura come prima.

Marco restò a casa, era troppo stanco per concedersi viaggi così faticosi. Non uscì quasi mai e dall’alto della finestra che dava sulla strada, rassegnato, osservava la vita fluire come un fiume in piena: gente alle prese con la quotidiana fatica del vivere, bambini che andavano a scuola accompagnati dai genitori, famiglie intere che passeggiavano e discorrevano felici, talvolta animatamente. Si sforzava di ascoltare i loro discorsi spesso semplici, a volte futili, ma era quella straordinaria voglia di stare insieme, di condividere, che lo colpiva. Si accorgeva man mano che la vita degli uomini era meno complicata e difficile di quanto potesse apparire a loro stessi.

Parlò con sua figlia, non lo faceva più da molto tempo, e scoprì di lei segreti
mai rivelati ed aspirazioni non sopite, si occorse, con rammarico, che in realtà mai l’aveva conosciuta tanto a fondo, eppure era sua figlia, l’aveva cresciuta con amore, così come un padre deve fare. Stranamente cessò con sua moglie un’incomunicabilità di anni, non si capivano più, ed il loro matrimonio andava stancamente avanti per abitudine ed affezione, non per amore. Ricominciarono a parlare ed a progettare insieme, anche se sapeva che la sorte gli concedeva ancora poco tempo.

Aveva sempre in un angolo della bocca quella maledetta pietra, scioglierla sembrava impossibile, ma non era importante perché si rendeva conto che comunque la sua vita stava cambiando.

Una mattina si alzò e si accorse che la pietra, più dura del diamante, non c’era più. In un primo momento pensò di averla inghiottita ma poi si convinse che si era sciolta come una comune caramella al miele. Anche se ne fu felice, quel miracoloso fatto gli parve del tutto irrilevante, un po’ scettico ma non privo di speranza, riprese la strada di Varanasi per cercare nuove certezze dal grande maestro di vita e di saggezza.

Giunto all’Ashram notò, tra la folla, il vecchio amico, si salutarono affettuosamente ed ognuno raccontò all’altro le ultime esperienze. Andrea si mostrò stupito che la pietra di Marco si fosse sciolta, in fondo lui aveva girato il mondo, mentre l’altro era rimasto chiuso in casa. Stizzito e deluso, riferì al maestro dei suoi sforzi per essere migliore e del suo girovagare per il mondo.

Il saggio uomo, non fu sorpreso:” Vedi, apprezzo il tuo impegno, ma non dolerti se la pietra non si è sciolta. Hai guardato senza osservare, hai udito senza ascoltare, ti sei soffermato in superficie senza cogliere la profondità e hai scambiato la felicità con il piacere. E’ vero il tuo amico non è andato molto lontano ma non è detto che le strade della conoscenza siano così distanti ed impervie, molto spesso ciò che sembra tanto lontano ed irraggiungibile è a portata di mano ma, non per questo, facile da cogliere.”

Dopo alcuni mesi Andrea morì.

Marco guarì da una malattia incurabile ed i luminari che lo visitarono, non seppero dare spiegazioni scientificamente plausibili.

Ai più apparve come un miracolo.

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