Emisferi opposti mondi paralleli.

In politica è periodo di grandi cambiamenti. Negli Stati Uniti un Kennedy si schiera con Trump, in Italia Tajani si schiera per lo Ius Scholae. Ma bisogna stare attenti ad alcuni dettagli decisivi

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Accade nell’anno domini 2024 alla fine di un torrido agosto che un Kennedy, il nipote di JFK l’ex presidente democratico barbaramente assassinato e figlio di Bob senatore di lungo corso, compaia in una torrida giornata di Phoenix (Arizona) su un palco Repubblicano per annunciare il suo ritiro dalla candidatura a presidente Usa per dare il suo appoggio ad un Repubblicano. E che Repubblicano: Donald Trump, il più odiato dai Democratici di oltreoceano da un decennio.

Accade nell’anno domini duemilaventiquattro alla fine di un torrido agosto che il leader di una compagine politica, Forza Italia, nata e cresciuta all’ombra del suo fondatore Silvio Berlusconi per bocca del suo rappresentante più in vista Antonio Tajani si alzi e proponga, tra lo stupore generale, l’istituzione dello Ius Scholae, il diritto di cittadinanza a seguito di un corso di studi.

Emisferi opposti ma mondi di sorprese paralleli.

Emisferi opposti

Robert F Kennedy Jr (Foto: Gage Skidmore)

Tutto ciò che non vi aspettavate di vedere dalla politica eccovelo servito su un piatto d’argento. Ma nell’epoca dei mondi al contrario forse non stupisce più nessuno. Forse.

Non sceglie un giorno a caso Robert Kennedy jr  per questo storico endorsment, così definiscono l’appoggio politico oltreoceano- Lo fa esattamente il giorno dopo della grande convention Democratica che ha ufficializzato la candidatura a Presidente di Kamala Harris ed a vice di Tim Waltz. Un tempismo da cattiveria politica vera. Tutti sanno che le convention americane assimilabili ai nostri Congressi di Partito lasciano al loro termine molti argomenti che in genere nei giorni successivi monopolizzano il dibattito politico accendendo l’entusiasmo dei sostenitori. Sono una vetrina per i Partiti che serve a lanciare un messaggio auspicando ovviamente ognuno per il suo schieramento una possibile vittoria.

Kennedy fino a ieri era il terzo candidato alla presidenza, cosiddetto indipendente perché fuori dagli schieramenti bipolari dei Partiti. Era accreditato a volte fino al 12% di consenso ma negli ultimi sondaggi tra il 5% ed il 6%: aveva comunque dimostrato una certa capacità attrattiva soprattutto sui temi dell’ambiente della salute. Lui e tutta la famiglia sono parte fondante della storia dei Democratici di oltreoceano dove lo zio John Fitzgerald subendo un feroce assassinio è rimasto nella storia come un simbolo importantissimo della storia del Partito Democratico. Si può dire che la famiglia Kennedy è stata l’asse portante degli ultimi decenni di quel Partito.

Il tramonto dei simboli

La celebre foto del delitto di John F Kennedy

Non più oggi dopo questa scelta pesantissima non solo in termini di voti ma in termini simbolici. Perché questo non è un endorsment qualsiasi rompe gli schemi in maniera assoluta. Ed in termini puramente di consenso fa fare un balzo in avanti notevole a Trump proprio negli Stati chiave cioè quegli Stati in bilico dove si decide la vittoria o la sconfitta di un candidato.

Giova ricordare come il sistema americano assegna al candidato vincente di uno Stato la totalità dei delegati a quello Stato assegnati in base alla popolazione. Chi vince nello Stato prende tutto. Gli “swing State” così nominati sono quelli che nel tempo possono subire cambiamenti: a volte vince un Repubblicano a volte un Democratico. Perché in molti Stati ci sono tradizioni decennali praticamente immutabili: per esempio la California è praticamente sempre uno stato Democratico mentre ad esempio il Texas è da sempre Repubblicano per citarne due dei più importanti.

Gli Stati Uniti seguono pressappoco questo schema: le due estremità Est ed Ovest ed alcune grandi città votano democratico mentre il profondo centro e le zone rurali vorano Repubblicano.

Dunque una scelta che agita molto le acque e che rovina l’atmosfera che il Partito Democratico aveva creato in questi giorni di convention per accreditare Kamala Harris come un candidato credibile e possibilmente vincente dopo la rocambolesca ed inusuale nomination seguita al ritiro “spintaneo” di Biden e non attraverso le primarie nei singoli Stati.

La necessità della spinta popolare

Kamala Harris e Tim Walz (Foto: Gage Skidmore)

Di questo aveva bisogno Kamala: non sembrare la candidata di emergenza dell’establishment e dei maggiorenti del Partito ma sostenuta anche da una spinta popolare. Spinta popolare che non aveva mai dimostrato neanche nelle primarie di quattro anni fa dove vinse Biden e lei si piazzò sesta su sette partecipanti.

Joy, gioia questa è stata la parola d’ordine di questa convention in una Chicago vestita a festa ma fortificata intorno alla sede del Congresso per la presenza massiccia di contestatori: esponenti dello stesso Partito Democratico ma delusi dalla questione palestinese e dall’invio massiccio di armi ad Israele. Scene davvero singolari.

Ed in effetti più che un Congresso politico è sembrato un festone a causa della solita sfilata di artisti, attori, presentatori ed il bel jet set americano. Di contenuti politici praticamente zero ma tanto ottimismo canzoni e carica motivazionale. Basti pensare che l’argomento principale degli interventi è stato Trump. Nelle decine di interventi effettuati è stato calcolato che è stato citato 471 volte (quattrocentosettantuno). In pratica un congresso intero su Trump, l’odiatissimo avversario.

Tanto che la campagna di Trump ha pubblicato un video in cui vengono montanti in un collage tutte le volte che un delegato lo citava dal discorso, con lo stesso Trump che alla fine diceva “this people are sick” questi sono malati da una frase tratta da un suo comizio.

I Clinton e gli Obama

L’ex presidente Bill Clinton (Foto: Gage Skidmore)

Biden che urlava “chi si crede di essere questo”. La signora Clinton (si perché i Clinton e gli Obama parlano per bocca sia della moglie che del marito, sono coppie moderne) dicevo la signora Clinton che lo definiva un delinquente ed invitava Kamala a vendicare la sua sconfitta diventando la prima donna presidente. Diceva noi vinceremo ma dalla faccia si capiva che gli rodeva ancora molto la sconfitta.

Il marito Bill Clinton che si è presentato come uno straccio bianco in volto e con una voce flebile ha parlato il giorno del suo compleanno dicendo che aveva settantotto anni ed era più giovane di Trump. Mentre lo diceva tutti temevano si accasciasse sul palco tanto era moscio. Ed il giorno dopo meme a non finire.

Obama moglie, Michelle, invece si è distinta per aggressività minacciando Trump che scoprirà il giorno delle elezioni che fare il presidente è un “black job” ha detto testualmente cioè un lavoro per neri, giocando sulle parole. Un uscita che molti hanno trovato singolarmente razzista al contrario. Ma dove i social si sono scatenati è quando ha urlato dal palco che lei non si fidava dei ricchi. Ed il giorno dopo la rete era invasa dalle foto delle quattro case degli Obama, quella dove abitano del valore di dodici milioni di dollari e dal loro patrimonio dichiarato di settanta milioni di dollari. E tutti a chiedersi se era facile attaccare i ricchi dalla casa milionaria di Marta’s Vineyard dove atterrano regolarmente col loro elicottero.

Questione di dimensioni

L’ex presidente Barack Obama (Foto: Gage Skidmore)

Il marito Barack Obama invece, due volte presidente, da cui mi aspettavo il discorso più politico ha parlato solo di Trump e tutti di quel discorso hanno riportato una sola frase che a me a veramente stupito. Ad un certo punto Obama esclama, riferendosi alle polemiche sul numero delle presenze negli appuntamenti elettorali, che Trump ha un problema con le “dimensioni” della gente. Facendo, mentre pronuncia la frase, un gesto con le due dita indice delle mani come a misurare. Insomma come si fa negli spogliatoi maschili quando si discute delle dimensioni intime degli uomini. Lasciando in pratica intendere che Trump non aveva dimensioni intime ragguardevoli. Il video lo trovate ovunque sui social.

Devo dire che dal suo e dagli altri interventi mi aspettavo di meglio. Non certo la lasciva e nota questione a chi lo ha più grosso. Un po’ volgarotta. Infatti dalla statistica linguistica che ha incoronato Trump come il più nominato escono parole che invece non sono mai state citate. La guerra per esempio tranne per urlare una volta sostegno all’Ucraina. The borders, i confini il tasto dolente della Harris che su questo aveva delega diretta. Mai citati, zero eppure sono questione cruciale in queste elezioni. E zero inflazione e aumento dei prezzi. Tutti temi su cui batte quotidianamente Trump.

Le bordate di Bob

L’intervento di Kamala Harris (Foto: Gage Skidmore)

Insomma una convention molto euforica automotivazionale ma povera di contenuti. La stessa Harris ha parlato quarantacinque minuti ripercorrendo la sua vita riempiendo di frasi motivazionali sul credere in se stessi ha lodato sua madre come donna forte, non citando mai il padre, ma di elementi programmatici zero.

E come se non bastasse questa gioia ben orchestrata per tutta la convention che ha fatto sforzo di entusiasmo e apparente sicurezza è stata guastata dallo schierarsi di Bob Kennedy jr con Trump. E se non bastasse nella sua conferenza di presentazione non sono mancate bordate pesantissime per i Democratici tanto che la Cnn a un certo punto ha interrotto con una scusa la trasmissione in diretta di Kennedy perché le stava sparando veramente forti.

Lo Ius Scholae

Antonio Tajani (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Meno clamorosa ma altrettanto significativa in termini di riposizionamento politico è stata invece l’uscita di Antonio Tajani sullo ius scholae. E in men di un minuto ha scatenato il dibattito politico italiano in una singolare inversione di ruoli con il centrosinistra a lodare la sorprendente uscita ed il centrodestra a criticarla senza mezzi termini. C’è chi ha visto nelle frasi di Tajani un ulteriore segnale del malcontento della famiglia Berlusconi nei confronti della Meloni. Con cui il rapporto non è mai stato idilliaco.

Nuovi segnali politici dopo i numerosi già dati da Marina che ha dichiarato che su alcuni temi si sente più vicina alla sinistra. E da Piersilvio che ha ordinato nei talk show di casa Mediaset  di aumentare la presenza del Pd. Ulteriori segnali di un possibile ricollocamento di Forza Italia non più come elemento stabile nel centrodestra ma come forza centrale che sceglie di volta in volta con chi allearsi. Niente di nuovo nel panorama politico italiano per carità, una volta si chiamava la politica dei due forni. Assolutamente legittima.

Solo che il povero Silvio starà facendo (e lo dico con ironia) le capriole nella tomba. Lui che urlava siete solo dei poveri comunisti, lui che si oppose con la discesa in campo alla gioiosa macchina da guerra di Occhetto e del Pds, lui perseguitato una vita dalla sinistra e dai giudici si sinistra. Lui che su ius scholae e ius soli in una memorabile intervista da Fazio si schierò inequivocabilmente contro, come in altre mille occasioni.

Riposizionamenti

Silvio Berlusconi (Foto: Sergio Oliverio © Imagoeconomica)

Probabilmente i figli, a ragione ritengono che né loro né Tajani abbiano la stessa forza e le stesse doti del Cavaliere di tenere botta a tutto un mondo di sinistra che controlla molti settori della società. E potrebbero essere tentati da una morbida resa e chissà un giorno forse addirittura un accordo di governo col Pd. Così Mediaset si salva, insieme alle altre aziende, non importa se si è riempita di comunisti: loro fanno una vita più tranquilla e magari trovano nella sinistra maggiore comprensione di quella che ricevono dalla Meloni che non si è certo distinta per averli favoriti nelle loro richieste.

Fantapolitica? Lo vedremo presto. Ma se negli Usa un Kennedy può passare ai Repubblicani perché un Tajani non potrebbe sostenere il Pd? Ormai ne vediamo di ogni tipo. Resterebbe solo uno scoglio da affrontare. Come spiegare agli elettori forzisti che li sostengono soprattutto in nome del ricordo di Silvio Berlusconi che bisogna tradire ogni idea del fondatore ancora molto amato per perseguire una politica di completo segno opposto.

In fondo tutti i Partiti che al centro hanno voluto fare l’ago della bilancia non sono poi durati molto: dal Ccd al Cdu passando per Mastella fino ad arrivare oggi a Calenda e Renzi. Tutti ridotti dopo successi momentanei ed opportunistici a percentuali da prefisso telefonico.

La lezione del Gattopardo

Claudia Cardinale e Burt Lancaster nella celebre scena del ballo

Insomma se ci si è abituati a vedere Luxuria presentare L’Isola dei Famosi, Bianca Berlinguer o Mirta Merlino spadroneggiare nei talk non è detto che la stessa cosa accada coi voti. In fondo non pretendiamo che tutti abbiano letto Eraclito di cui si cita sempre la celeberrima Panta rei, tutto scorre. Ma che poco prima scriveva una frase ancora più illuminante: “Nulla è durevole quanto il cambiamento”.

Basterebbe aver letto il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa o aver visto il film affidato alla sapiente mano di Luchino Visconti in cui il protagonista interpretato da uno splendido Alain Delon, scomparso pochi giorni or sono, per ricordare la famosa frase: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.”

E chi siamo noi per dire il contrario. Ma forse se il libro molti lo avessero letto tutto non farebbero determinate scelte. Mondi parallei in emisferi opposti.