
A parte curiosità, aneddoti e retroscena sull'evento del prossimo 7 magio quello che domina questi giorni è la assoluta potenza del rito
Inizia il grande rito del conclave che porterà all’elezione del nuovo papa, il successore di Francesco. Il sette maggio verrà pronunciata la fatidica frase Extra Omnes ovvero “fuori tutti” che segna il via alle votazioni ed ha una storia antica. Ovviamente significa “fuori tutti” gli altri, esclusi i cardinali che dovranno votare il papa.
Viene pronunciata dal maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie nella Cappella Sistina all’inizio del conclave per eleggere il papa, per invitare ad uscire tutti coloro che non sono chiamati all’elezione, poiché l’elezione papale è segreta. Successivamente, la porta della Sistina viene chiusa. Un tempo la frase veniva pronunciata, sempre dal Maestro delle celebrazioni liturgiche, all’inizio del Concistoro segreto e alle fasi iniziali dell’assise conciliare, con lo stesso invito ad abbandonare il luogo ai non addetti.
Cardinali che giurano

La locuzione viene pronunciata dal maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, che dal 2021 è monsignor Diego Ravelli: rappresenta l’inizio ufficiale delle sessioni di voto del Conclave. I cardinali elettori, una volta arrivati nel coro della cappella Sistina, sono chiamati dal decano a giurare, ad uno ad uno: prometteranno di “osservare fedelmente e scrupolosamente tutte le prescrizioni” nonché di fare voto di segretezza sull’elezione, osservando imparzialità e terzietà. Solo al termine del giuramento di ogni singolo cardinale il maestro delle celebrazioni pronuncia la formula ‘extra omnes’.
Tutti – a eccezione dello stesso maestro e dell’incaricato all’ultima meditazione – lasciano la cappella Sistina, la cui porta viene chiusa per consentire ai cardinali di procedere alla prima votazione al termine della preghiera.

La formula dovrebbe risalire all’epoca di Gregorio X, che stabilì – con la costituzione apostolica Ubi Periculum del 1274 – la clausura dei cardinali per evitare ritardi, tentativi di influenza esterna e corruzioni che in diversi casi si erano verificati. Una decisione arrivata a seguito della fase di stallo che si verificò dopo la morte del suo predecessore – Clemente IV -, quando i cittadini di Viterbo, all’epoca sede papale, rinchiusero letteralmente i cardinali nel Palazzo dei Papi per costringerli a scegliere il Pontefice dopo 19 mesi di sede vacante.
Proprio dall’elezione di Clemente IV prese il nome di Conclave come abbiamo già ricordato perché vennero chiusi a chiave nel palazzo papale a fino a quando non avrebbero eletto il nuovo papa.
Comignolo installato e pronto

Nel frattempo continuano i preparativi. Nelle scorse ore è stato montato il comignolo sulla Sistina, da dove usciranno le fumate. Indicheranno, durante il Conclave, se il Papa sia stato eletto o meno dai cardinali. Il comignolo, da cui si attenderà la fumata bianca, sarà il filo di comunicazione tra il conclave e il resto del mondo.
Verrà collegato a due stufe, una di ghisa e una più moderna. La prima è del ’39 e servirà a bruciare le schede degli scrutini. La seconda è più recente, del 2005, e sarà utilizzata invece per bruciare i fumogeni che dovrebbero dare il colore nero in caso di non elezione e quello bianco al momento della scelta del successore di Papa Francesco.
La storia delle fumate è ricca di aneddoti perché in passato il loro colore non era sempre evidente, almeno in un primo momento. Si è così deciso, ormai dai tempi dell’elezione di Ratzinger del 2005, di accompagnare la fumata bianca con il suono a distesa delle campane. In questo modo il messaggio che arriverà dalla Sistina, ovvero l’avvenuta elezione di un nuovo Papa, sarà inequivocabile.
Il comignolo, come sempre accaduto, dovrebbe avere una telecamera dei media vaticani puntata a pochi metri e dovrebbe anche essere dotato di luci, per rendere evidente anche una eventuale fumata serale.
Formula, formalismi e formalità

Ed è proprio in momenti come questo in cui ritorna prepotente ed evidente la forza del rito. Che è da sempre al centro della cultura della chiesa. Dai riti più piccoli come quelli di spezzare il pane e bere il vino o scambiarsi un segno di pace fino a quelli più altisonanti e pomposi come quelli del conclave.
In ogni caso il rito è centrale nella cultura della chiesa così come in molte altre. Prendete ad esempio il primo gesto che abbiamo visto nei giorni scorsi subito dopo la scomparsa di papa Francesco. L’atto di sigillare le porte dell’abitazione del pontefice.
Considerata come rituale, e quindi come parte fondamentale di una pratica culturale collettiva, l’azione di sigillare le stanze del papa è sicuramente più strutturata e formale ma non poi così diversa dal sollevare un bicchiere per fare un brindisi. E non è diversa nemmeno da cerimonie altrettanto pubbliche e istituzionalizzate come l’incoronazione di un re, il suo funerale, o anche il passaggio della campanella tra presidenti del Consiglio, in Italia, per sancire l’insediamento di un nuovo governo.
I rituali come “farmaco sociale”

Non esistono religioni e nemmeno culture, senza rituali. La ricerca antropologica ed etnografica ne ha mostrato a lungo la presenza e l’importanza in tutte le civiltà umane. Tutte danno forma a tradizioni che includono atti ripetitivi e simbolici, specialmente intorno a momenti associati al concetto di “soglia” e di passaggio da una fase a un’altra, tra cui appunto la morte di una persona, che sia il papa o qualsiasi altro membro di una comunità.
Come teorizzato dall’antropologo e filosofo italiano Ernesto De Martino, uno dei più influenti studiosi della ritualità e della religiosità popolare del Novecento, i rituali servono a ridurre il rischio che l’interruzione nella quotidianità provocata da un evento critico e traumatico sia irreversibile per i membri di una comunità.
Nel suo ripetersi sempre uguale nel tempo, il rituale “funziona” come una sorta di antidoto all’imprevedibilità degli eventi, che rafforza la comunità stessa e le credenze condivise al suo interno.
Bizzarri? Niente affatto

Spesso i riti fondamentali per una certa cultura o religione sembrano piuttosto bizzarri e incomprensibili a un’altra, anche perché gran parte dei comportamenti che definiamo rituali non ha uno scopo esplicito come mettere i sigilli a una porta per impedire l’accesso a un appartamento.
Anzi, come affermato negli anni Quaranta dal sociologo statunitense George Homans, una delle ragioni per cui definiamo rituali certe azioni è proprio che «non producono un risultato pratico sul mondo esterno».
Non esiste un nesso causale tra la pioggia e la danza eseguita per invocarla, per esempio. E più o meno allo stesso modo, nella teologia cristiana, l’atto di consacrare ostie e vino per la transustanziazione (la conversione dal pane al corpo e dal vino al sangue di Cristo) non provoca alcuna trasformazione fisica osservabile di quelle sostanze. Eppure, senza quel passaggio rituale intermedio durante la celebrazione eucaristica, anche per i cattolici ostie e vino sono solo ostie e vino, non il corpo e il sangue di Cristo.
I riti sono azioni legate a un certo oggetto sacro, o a più oggetti sacri: hanno senso nella misura in cui servono a sviluppare un senso di connessione reciproca tra i membri del gruppo, a impedire che le credenze condivise «si cancellino dalle memorie», e a ravvivare «gli elementi più essenziali della coscienza collettiva». Attraverso i riti «il gruppo rianima periodicamente il sentimento che ha di sé e della propria unità, gli individui riaffermano la loro natura di esseri sociali. È così che anche il rito nella religione cattolica assume una portata centrale e potentissima».
Credere o meno, il fascino resta

E da questo fascino antico e ripetitivo deriva un grande potere quello della continuità della tradizione. Ed iin un momento storico dove con furia quasi iconoclasta la cultura dominante cerca pervicace di distruggere tutti i punti di riferimento culturali antichi e solidi attraverso quella che noi comunemente chiamiamo cancel culture la riaffermazione del rito assume un valore ancora più potente ed ineliminabile.
Si può essere cattolici o meno credenti o meno ma il fascino e l’evocazione millenaria che il rito della rielezione di un pontefice così come gli altri riti cristiani propala resta di una potenza ineguagliabile. Certo oggi, nell’epoca dell’effimero, la coltre di sciocchezze e banalità a cui si assiste nel raccontare un avvenimento del genere è antologica.
L’idiozia di Donald

Hanno iniziato Trump e Zelensky infrangendo fuori luogo il protocollo di un funerale. Ha continuato da solo il presidente americano che in pieno delirio di idiozia ha dapprima dichiarato che lui sarebbe un ottimo papa e poi qualche ora fa ha postato un immagine al computer di lui in veste papale pubblicandola sui suoi social ufficiali.
In genere difendo sempre Trump dalle sue uscite assurde perché spesso ritengo siano fatte apposta ed abbiano scopi strategici. Questa la aborro perché è semplicemente un idiozia che manca di rispetto ad un intera religione in un momento particolarmente delicato.
Chissà perché poi tutti si prendono la briga di prendere in giro elementi della religione cattolica senza alcuna remora mentre non lo fanno mai con altre tipo l’islam per timore di reazioni e ritorsioni. Ecco forse questa del ritorno al rispetto potrà essere un lavoro tra i primi per il nuovo papa.

Sfiora inoltre il ridicolo anche la continua ed esibizionistica produzione delle quote su cui scommettere soldi per l’elezione del nuovo pontefice. Infatti mancano pochi giorni al 7 maggio, data di inzio del Conclave. Secondo i bookmaker internazionali, ad avanzare nelle ultime ore sono tre dei principali candidati: il ghanese Peter Turkson, potenzialmente il primo “Papa nero” della storia, è sceso da 7 a 5 su William Hill, seguito da Matteo Zuppi, passato da 9 a 6,50, e da Pierbattista Pizzaballa, ora fissato a 7,50 rispetto all’11 di inizio settimana.
Entri papa? Esci cardinale
Nelle ultime ore però, sta prendendo piede il nome di Jean-Marc Aveline, “protetto” di Bergoglio e come lui un outsider: il francese nuovo Pontefice si gioca a 33. Il preferito degli analisti di scommesse britannici resta ancora Pietro Parolin: il segretario di Stato Vaticano è ancora in pole a 3,50 volte la posta.
Una carnevalata a fini di lucro. Ridicola. Anche perché non devono aver letto ne i bookmakers ne gli scommettitori mai che in conclave si entra papi e si esce cardinali proprio per l’estrema imprevedibilità dei meccanismi del rito elettivo.
Se è per questo di ridicolaggini ne sentiamo a bizzeffe in questi giorni.
Mute di giornalisti che inseguono i porporati in ogni angolo del centro di Roma cosa mangiano, come vestono, cosa comprano. Tanto che questi non vedono l’ora di farsi rinchiudere nella cappella sistina per liberarsi da tanta insistenza.
In hoc trinco vinces…

Avrete letto del cardinale che nel palazzo Santa Marta ha svuotato il frigo bar, alcolici inclusi, pensando fosse gratuito e si è poi trovato un salato conto alla portaO del cardinale Lopez Romero che va dichiarando che se venisse votato papa scapperebbe dal conclave. Addirittura dice mi ritroverebbero in Sicilia. Perché come ha spiegato desiderare di essere pontefice è segnale di un “problema nella testa, psicologico o di un malessere nel cuore”. Sarà contento di sentirlo il nuovo papa.
Problemi invece ed evidenti ha avuto il cardinale Becciu che al centro di note vicende nel passato ha dichiarato che non parteciperà al conclave ma lo ha fatto a malincuore. Per rispetto ma affatto convinto che la condanna avuto in primo grado fosse così giusta e determinante e proclamando ancora la propria innocenza.
La più strana e divertente riguarda il curioso caso del cardinale Ouédraogo, “ringiovanito” poco prima del Conclave: “Aveva 80 anni, ora 79”. Non è chiaro, infatti, se l’arcivescovo emerito Ouagadougou, della capitale del Burkina Faso, abbia 79 o 80 anni. Un dato che per l’elezione del nuovo Pontefice fa davvero la differenza.
Anagrafe e diritto di voto

Come si legge sull’Annuario Pontificio 2024 la sua di nascita sarebbe il 25 gennaio 1945. Se prendessimo in considerazione questa data, il porporato avrebbe già compiuto 80 anni prima dell’inizio della Sede Vacante, il periodo che intercorre tra la morte di un Pontefice e l’elezione del nuovo.
Questo lo renderebbe un cardinale non elettore. Ma c’è un ‘ma’. Nell’Annuario Pontificio 2025 la data di nascita che si legge è un’altra: 31 dicembre 1945. La stessa che si trova anche sulla carta d’identità del cardinale, definita dallo stesso una data convenzionale scelta dall’anagrafe del Burkina Faso per tutti i bambini di cui all’epoca non si conosceva l’esatto giorno della nascita.
“Nel mio villaggio non c’erano né scuole, né ospedali. Così sono nato in casa e non mi è stata data alcuna data di nascita”, ha raccontato in un’intervista il cardinale. Quando però nel 1973 venne ordinato sacerdote, gli fu chiesto di fornire una data di nascita e in modo “casuale” scelse il 25 gennaio 1945.
La pattuglia Tricolore

Insomma anche nel immutabilità del rito casi strani e particolari non mancano. Adesso manca solo il nome del nuovo papa che vedremo se sarà scelto velocemente o a sorpresa servirà un po’ più di tempo. Eh si perché l’aria di concordia bergogliana che c’era all’ inizio sembra lasciare il passo a quella del dialogo del confronto. Che nonostante la preponderanza dei numeri dei bergogliani non ha ancora individuato il nome forte da eleggere.
Restano a guardare interessati gli italiani. Primi tra tutti Parolin, Zuppi e Pizzaballa. I più accreditati. Di Zuppi abbiamo già detto la scorsa settimana. Certamente simpatico e affabile ogni giorno arriva a piedi in vaticano passando nelle forche caudine dei giornalisti appostati in assetto bellico.
E casualmente rilascia dichiarazioni quotidiane. Dopo il venticinque aprile ci ha gentilmente pure ricordato che era importane il primo maggio. Parla di tutto tranne che di religione. Speriamo che il conclave termini prima del due giugno sennò ci parlerà pure della festa della repubblica.
Tra Zuppi e Parolin

Parolin invece grande favorito è una certezza. Segretario di stato, che è la più alta carica politica del vaticano è il favorito ma anche qui vale la regola di come si entra in conclave. Colto, solido, politico di razza forse paga proprio questa caratteristica perché qualcuno dice che se si è buoni politici non è detto che si sia anche buoni pastori. Comunque resta il favorito ed anche a ragione, è una personalità di spicco.
Resta Pizzaballa. Legato a Gerusalemme e in medio oriente. Pierbattista si chiama, da non confondere con Pierluigi Pizzaballa noto calciatore del passato. Si è fatto un video emozionale quando ha lasciato Gerusalemme per venire al conclave in cui lo salutavano tra gli applausi quasi come non dovesse tornare più perché eletto papa.
A parte questo è certamente un uomo di grande cultura, pare che il suo discorso di questi giorni sia stato il più apprezzato tra i cardinali. Segno di grande stima. Ma non sappiamo se basterà. Di certo ha un minus. È giovanissimo ha solo sessant’anni e se eletto andrebbe incontro ad un lunghissimo pontificato. Cosa che a molti potrebbe non essere gradita.
Ciao tecnologia…

Ma a parte tutte queste curiosità e retroscena quello che domina questi giorni è la assoluta potenza del rito. Che copre a assorbe in se tutte le notizie comprese quelle di colore.
È il rito che potente ed immutabile anche in un epoca come questa dominata dalla tecnologia si riunisce a porte chiuse e con le stesse regole da millenni elegge il successore di Pietro sul soglio di cristo. È il rito che ha salvato dalla secolarizzazione e anche dalla cancellazione nei secoli la chiesa cattolica.
Lo stesso rito che ci assicura la continuità alla guida della chiesa e che tra qualche giorno esibirà di nuovo la sua potenza quando alla vista della fumata bianca tutto il mondo saprà anche stavolta che morto un papa se ne fa un altro.
Che detta così sembra una vuota ripetizione di un detto.
Il parametro: la continuità

Ma dentro cela la forza del rito quella della continuità. Perché quel “se ne fa un altro” significa che passano gli uomini ma non la chiesa ed il suo rito. Ed un papa ci sarà sempre.
Allora occhi alla telecamera piazzata sul comignolo della cappella sistina perché tra qualche ora il rito si rinnova. Vedremo se secondo i pronostici o con le solite soprese.
In ogni caso sarà il rito a vincere non un nome una persona un papa. Perché la forza dell’istituzione supera quella delle persone. E allora extra omnes. Che i giochi comincino, secondo il rito.