Ferocior ad bellandum: vendetta e sopravvivenza dei politici locali (di Franco Fiorito)

Un tempo, fior di ministri e presidenti del Consiglio, passavano sotto il voto dei politici ciociari. Oggi, ci sono leoni nostrani della politica ormai in gabbia e nutriti a croccantini. Come i gattini e se parlano, raus, gli togli pure quelli.

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Non siamo ai livelli epici di Delitto e Castigo di Dostoevskij, nemmeno ai toni da fiction tipo l’Onore e il Rispetto con Gabriel Garko ma il connubio vendetta e sopravvivenza riferito ai tanti spaesati politici locali di oggi non è male.

 

Eh si la vendetta il piatto che tutti consigliano di servire freddo. Ma non troppo. E la sopravvivenza, così in voga in un periodo in cui non solo spariscono le sedie all’ultimo secondo, ma, allo stesso ritmo, scompaiono anche i Partiti ed i referenti politici.

 

Finalmente siamo arrivati alla presentazione delle liste elettorali. L’Armageddon. Morti, feriti, contusi da un lato, la maggioranza direi, ed un manipolo di “eletti” festanti, pochi e molto sorridenti, dall’altro.

 

Eletti per ora solo in senso biblico. Ma è solo una formalità, visto che la legge elettorale, in talune posizioni, consentirebbe pure di eleggere mister Bean o Vulvia di Rieducational Channel senza sforzo alcuno.

 

E le orde di trombati, delusi, indesiderati cosa fanno? Storditi dal colpo e depressi dalla delusione ondeggiano tra la comprensibile sensazione di vendetta ed un più mite e ragionevole istinto di autoconservazione, di sopravvivenza.

Ed è proprio su questo che contano gli autori delle liste. Quelli che hanno avuto in mano il pallino delle scelte, che hanno imposto i loro favoriti. Non in base a scelte politiche o territoriali, ma solo in ossequio alla regola: “tanto comando io, se non ti sta bene me ne frego”.

Ecco quel “me ne frego” che per nulla somiglia a quello del ventennio è un me ne frego meschino, infantile, irresponsabile che gioca solo ed esclusivamente sull’assenza di reazione, sulla consapevolezza che il trombato, pardon, l’escluso di turno non abbia la forza e la capacità di reagire o forse nemmeno la voglia.

Tu prendi generazioni di leoni, splendido simbolo frusinate e ciociaro, leoni politici che in varie epoche moderne hanno determinato elezioni di fior fiore di politici, ministri, statisti, presidenti del Consiglio, segretari di Partito. Tutti passati per il battesimo delle genti ciociare.

Li metti in gabbia e non li nutri nemmeno a bistecche ma a croccantini come i gattini e se parlano gli togli pure quelli. È evidente che quelli non solo perdano la voglia di azzannare chi li ha ridotti in cattività, ma alla fine pensano anche che è meglio stare zitti sennò “raus” pure i croccantini.

E così si agitano le anime dei tanti politici e dirigenti ed amministratori locali. In balia tra la voglia di vendetta e l’istinto di sopravvivenza.

Persone che lavorano sul consenso, tra la gente, che amministrano bene, che sono amati e vicini al territorio considerate meno che zero. Umili portatori di acqua e niente più.
Ma se veramente si fosse compreso lo spirito di queste leggi elettorali verticistiche ed esclusive si sarebbe arrivati ad una sola conclusione.

Siamo sicuri che tutti i poveri sherpa della politica, se avessero il coraggio di organizzarsi, non potrebbero determinare, stavolta in negativo, l’elezione o la mancata elezione di questo o quel candidato.

Se dieci, cento, forse mille piccoli segretari di Partito, consiglieri o assessori comunali e provinciali o semplici militanti decidessero di organizzarsi per una volta e spostare non dico tanto ma il 5% dei voti togliendoli da un candidato ed aggiungendoli ad un altro in un collegio. O magari facendo perdere uno due o tre punti percentuali ai Partiti di riferimento così da non fare scattare un seggio in più.

Ci potrebbero riuscire? Certamente si.

Siamo sicuri allora che non ci sia un antidoto al “veleno” dei paracadutati?

Che quell’antidoto non sia il più antico e semplice dei segreti: l’esercizio della democrazia.
Il puro e semplice esercizio della democrazia, così come l’etimologia recita, il potere al popolo, fuori dai castranti schemi dei partiti.

Ferocior ad bellandum (più feroci nel combattere) recita lo splendido stemma della nostra provincia sotto un magnifico leone rampante. Pochi ricordano che la frase celebrava l’atteggiamento eroico dimostrato dagli abitanti nel contrastare l’invasione dell’esercito di Annibale. Uno che, per dire, si era presentato da Cartagine con gli elefanti. Eroismo tale da ribaltare il senso di una citazione di Livio che riferendosi ai volsci scrisse: ferocior ad rebellandum quam bellandum gens (un popolo più bellicoso nel ribellarsi che nel condurre una guerra).

Insomma finora nella storia si è trattato di decidere, molto onorevolmente, se la nostra terra era migliore nel combattere o nel ribellarsi. Due scelte che per ora non albergano, neanche lontanamente, nei cuori dei nostri contemporanei attoniti nella scelta sospesa tra vendetta e sopravvivenza.

Tra l’essere ancora leoni o lasciarsi trattare da gattini.

Nel caso però non sentiate più il leone che c’è in voi, amici miei, non lamentavi o stupitevi che tra un miagolio ed un altro il massimo della considerazione che riceverete, oggi e nel futuro, sono un paio di croccantini tirati distrattamente qua e là o un tiragraffi per sfogare la rabbia.

Ma che bello invece sarebbe un giorno poter dire, con la stessa licenza poetica che usò D’Annunzio… “di nuovo rugge il leone!

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