Bilancio di fine anno e propositi per il futuro alla ricerca di un difficile equilibrio tra buone e brutte notizie. La teoria del "miglior mondo possibile" di Leibniz
“Andando a caso consideravo, girando per strade vuote, che l’equilibrio si vede da sé si avverte immediatamente. Ribussa ai miei pensieri un desiderio di ieri ed è l’eterna lotta tra sesso e castità”. Così iniziava l’omonima canzone di Battiato ed aveva ragione. L’equilibrio si avverte subito, lo riconosci immediatamente.
E quando, come tutti i finir degli anni ti trovi a fare un bilancio dell’anno vecchio ed un coraggioso proposito per l’anno nuovo, la prima cosa che avverti è l’equilibrio. O la sua mancanza. Se l’anno appena trascorso sia stato in equilibrio tra il bene ed il male. Tra la gioia e l’amarezza. O come scrivo nel titolo tra l’ottimismo e la depressione.
In genere come sempre ripercorriamo quelle immense carrellate di notizie che hanno caratterizzato l’anno. Corredate dai soliti buoni propositi e speranze che puntualmente a fine anno ci accorgiamo essere rimaste inevase. E le riproponiamo sic et simpliciter per il prossimo anno. Nella speranza vana che si compiano da sole. Senza mai credere alla considerazione che fu di Einstein che fare sempre le stesse cose ma sperare in un risultato diverso è da folli.
A caccia dell’equilibrio
Ma immaginiamo come se allo scorrere dei video o degli articoli riassuntivi di quest’anno, come degli ultimi, dovessimo mettere in una cartella brutta o in una buona le immagini che scorrono. Sarebbero in equilibrio? O le notizie brutte sopravanzerebbero come succede ormai costantemente quelle belle. Eh no l’equilibrio si avverte immediatamente, infatti qui non lo avvertiamo.
Allora ci rendiamo conto che la carrellata veloce tra ottimismo e depressione piega la bilancia con forza verso la seconda. Una carrellata degli ultimi anni dove allegramente siamo passati dalle pandemie e dall’incubo covid direttamente alle guerre in sequenza ininterrotta. Tutto senza soluzione di continuità. La pandemia ha lasciato il passo alla guerra così, naturalmente, come se fosse programmato. Neanche un attimo di respiro di ripresa.
Il trionfo delle brutte notizie
Ciò che invece non avevamo programmato è questo squilibrio tra le rare notizie ottimistiche e la sproporzione con quelle depressive. Perché, diciamoci la verità, questa condizione pseudo apocalittica di costante pressione psicologica sembra oramai la normalità. Ansie costanti dappertutto. Paure ambientali, escatologia, guerre e pestilenze ovunque per dirla in senso biblico.
Tanto che ci si domanda ma dove è finito l’ottimismo per il futuro che nell’epoca moderna aveva caratterizzato crescita e sviluppo. E chi ha deciso di sostituirlo con questo stato ansiogeno patologico bombardato dai media dovunque. Eppure quando anche c’erano condizioni di vita molto peggiori c’era una speranza nel futuro quasi incrollabile, fideistica.
Insomma Leibniz per esempio, noto filosofo tedesco, è vissuto nel Seicento dove fame guerra pestilenze e carestie erano ancora all’ordine del giorno. Eppure è stato un inguaribile ottimista, il suo pensiero può essere sintetizzato nel motto: “quello in cui viviamo è il miglior mondo possibile”.
Il “migliore dei mondi possibili” di Leibniz
Ma tutte le filosofie o le arti hanno teso da allora alla creazione di un mondo migliore all’esaltazione della bellezza, alla ricerca anche del piacere sia estetico che materiale. Si rifuggiva dalle cattive notizie. Nel novecento Mussolini stesso proibiva ai giornali di pubblicare le notizie di cronaca nera. Ritenute depressive per il popolo e fuorvianti. Oggi se ci fate caso è un bollettino continuo che va dalle tragedie mondiali agli orrori locali costellati quotidianamente di qualcosa di disturbante.
Parlavamo di Leibniz e del “migliore dei mondi possibili”, frase troppo spesso fraintesa e liquidata come ingenua e addirittura ridicola. E’ noto quanto sarcasmo provocò tale dottrina nel salace Voltaire che la ritenne colpevole di eccessivo ottimismo, in quanto, a suo dire, avrebbe ignorato l’esperienza del male e del dolore, fenomeni, invece, largamente diffusi nel mondo. Oh come rimpiangerebbe le sue parole anche Voltaire oggi di fronte alla situazione attuale.
Cercando di capire il fulcro della teoria del “migliore dei mondi possibili”, si intuisce che essa sia stata sviluppata proprio per dare una risposta al problema del male, sulla scorta del principio di ragion sufficiente. Seguendo tale principio, si arriverebbe alla conclusione che Dio abbia una ragione per creare il nostro mondo e che questa consisterebbe nella “massimizzazione del bene”, in relazione all’intero sistema universale e rispetto a tutti i mondi possibili. E, diciamolo, chi siamo noi per opporci al volere di Dio. Lo dico ironicamente ovvio.
Necessità metafisica e morale
Leibniz cercò di risolvere la questione, distinguendo tra necessità metafisica e necessità morale ed attribuendo la scelta del migliore dei mondi possibili alla seconda categoria, affrancando Dio dall’obbligo metafisico di creare il nostro mondo. Leibniz distinse in Dio una volontà antecedente, che vuole il bene in sé ed una volontà conseguente che vuole il “meglio”: la creazione del mondo deriverebbe dalla seconda tipologia di volontà.
Alla predetta dottrina si lega anche la nozione di libertà. Che in questa versione trovo fantastica. Per Leibniz la libertà richiede tre condizioni: in primo luogo l’intelligenza, per cui un atto libero deve essere anche compreso da chi lo compia; la spontaneità, come assenza di coazione esterna; ed infine la contingenza, come assenza di necessità metafisica. Dunque intelligenza, spontaneità e contingenza. Provate a pensarle in chiave moderna, attuale.
Il filosofo tedesco, tuttavia, riteneva alquanto illusoria la libertà di scelta, in quanto troppo spesso inficiata dall’influenza delle percezioni inconsapevoli. Secondo la sua visione etica, le norme morali sono presenti nell’uomo non come veri e propri principi innati, ma come inclinazioni.
Il male morale
Nella nozione di giustizia, Leibniz comprende soprattutto i tre principi di matrice ulpianea: 1) non ledere alcuno; 2) dare a ciascuno il suo; 3) vivere in modo onesto.
Nella sua visione, questi tre principi basilari sono sovrastati dal concetto di equità, fino ad arrivare alla “carità”, precetto religioso e morale che non può muovere azioni giudiziarie coercitive, implicando invece sentimenti etici come quello della gratitudine o dell’elemosina. Come risolve Leibniz il problema dell’esistenza del male morale? Secondo lui, Dio vuole preservare il libero arbitrio dell’uomo, ma si servirebbe del male, o dell’assenza di bene anche per realizzare un disegno buono ed armonioso.
Oh e qua vi volevo. I non amanti (folli) della filosofia mi perdoneranno la digressione ma mi serviva ad affermare un concetto. Prima si pensava talmente in positivo che anche il male, come ho appena affermato, o l’assenza di bene per essere più precisi veniva vista come un mezzo per arrivare al bene. Il fine ultimo era sempre il bene.
Ora facendo un salto di soli quattro secoli a voi sembra che tutta la narrazione insistente sui mali del mondo che ci opprime quotidianamente serva ad arrivare al bene per l’uomo o oggi è rimasta confinata nella sua natura negativa dandoci solo l’impressione di vivere in un mondo terribile e deprimendoci incondizionatamente. La seconda che hai detto affermerebbe Quelo.
La somma del bene prevale sempre
E non è una piccola cosa. Per questo oggi ho riesumato il povero Leibniz da tempo confinato nei polverosi libri di filosofia da liceo classico. Perché è di una attualità devastante. E pensando alla chiusura di un anno come questo faceva da solida architrave al mio modestissimo ragionamento. Mentre oggi dunque il male ci sovrasta ci avvolge dal quotidiano al globale nell’ottica di Leibniz, invece, la somma del bene prevale sempre su quella del male, anche se ciò non è di piena evidenza per gli uomini che non possono conoscere i progetti di Dio.
Il mondo, così come delineato da Leibniz, è armonioso: le cose portano alla grazia attraverso le vie stesse della natura. Collegando la propria visione filosofica ai suoi studi scientifici, il pensatore tedesco credeva che il nostro globo dovrà essere distrutto e riparato mediante processi naturali e meccanicistici, un modo di considerare i cicli dell’esistenza non molto dissimile da quanto prospettato da alcune dottrine orientali. Ed allora se idealmente aderissimo a questa concezione potremmo pensare che il male che ci circonda è solo l’anticamera di un bene in prossimo arrivo.
Speranza e provvidenza
Ma per farlo dovremmo credere in Dio e nel suo disegno. Invece credo che scopriremo tristemente che i creatori ed i propagandatori del disagio oggi imperante non siano ferventi cattolici ma anzi all’opposto un mucchio di atei scettici che nella propaganda della depressione vede uno strumento negativo, come di facile intuizione, invece che una via per migliorarci.
Sono di parte ma questo concetto dell’ottimismo della speranza e quello ancora più complesso della “provvidenza” rendono la religione cattolica di un fascino insuperabile. Se solo oggi si sapesse utilizzarla nel sapere comune invece di lasciarla relegata alla secolarizzazione di una chiesa stanca che da tempo ha rinunciato alla sua funzione culturale ed oggi viene vista, con più di qualche ragione, solo come un gruppo di potere privo di qualsiasi fascino attrattivo.
L’ottimismo della volontà di Gramsci
Tanto che oggi molti giovani o meno in piena confusione sentono più attrazione per religioni sicuramente meno affascinanti e colte come l’Islam o addirittura trasformano in “neoreligione “qualsiasi cosa: una volta il vaccino, un’altra l’aborto, un’altra l’ambiente. È talmente conclamata la distruzione dei valori che hanno fatto grande l’occidente che oggi ci si accontenta di qualsiasi surrogato. D’altronde se arriviamo all’era moderna basta ricordare Gramsci col suo ottimismo della volontà contrapposto al pessimismo dell’intelligenza.
Pessimismo della ragione, dell’intelligenza, della visione del mondo (Weltanschauung), ottimismo della volontà. La formula viene attribuita ad Antonio Gramsci, tuttavia attraverso Malwida von Meysenbug si giunge a scoprire l’interesse di Nietzsche per questa formula già enunciata da Jacob Burckhardt, suo collega all’Università di Basilea. Weltanschauung, visione, o concezione, del mondo, è un termine usato spesso nel campo della cultura tedesca, sia in ambito letterario che filosofico, indica un orizzonte concettuale, ma anche un modo di sentire, di percepire e guardare il Mondo.
La depressione dilagante
Insomma, in soldoni, oggi ad essere intelligenti si rischia di soffrire. Nell’analisi del mondo che ci circonda si rischia di deprimersi. A volte si guarda con invidia coloro che non si pongono così tante domande, che vivono la vita con una leggerezza quasi inconsapevole. Perché in fondo da inconsapevoli vivono meglio.
Una volta molto maleducatamente, con l’aggravante di averlo fatto in un aula pubblica, ad un collega di opposta fazione politica che a tarda ora e nel pieno della stanchezza si profondeva in invettive, aperto il microfono, risposi solo: “io vorrei stare un ora nella testa tua per riposarmi!”. Tra l’ilarità generale il collega si offese, permalosamente, non conscio che in un momento gli avevo citato quattrocento anni di filosofia da Leibniz a Gramsci. Ma in realtà nemmeno io ne ero così consapevole in quel momento.
È l’analisi dei giorni d’oggi che vorticosamente volge verso questo tentativo di depressione collettiva che me lo ha fatto realizzare. Ed il tentativo solitario e forse disperato di affermare il credo dell’ottimismo contro la depressività dilagante.
Pichetto Fratin, Leopardi e Zalone
Ve la ricordate quella ragazza che con la superdepressione nella voce si rivolse in un incontro pubblico al Ministro dell’ambiente Pichetto Fratin dicendogli affranta: “soffro di eco ansia”. Ed il ministro che preso da un attimo di commozione si fa scappare una lacrimuccia ed un groppo alla gola. E tutti li a dire che bravo che sensibile. Solo io no! Io ero davanti la tv che gli urlavo “fagiano sei il ministro spiegale che non esiste l’eco ansia, che le istituzioni faranno qualcosa, che esiste un’altra visione del mondo”. No quello piangeva con la ragazzina per l’eco ansia.
Ve lo ricordate il pessimismo cosmico di Leopardi? Ecco secondo me non aveva letto Leibniz. Con pessimismo cosmico, Leopardi vuole esprimere il concetto secondo cui anche se l’uomo riuscisse a raggiungere i piaceri della vita, sarebbero comunque sempre più effimeri rispetto ai mali che la vita può provocare.
Uno sfigato lo definivamo tutti. Eppure se lo paragoni ai ragionamenti di oggi diventa un inguaribile ottimista. Se leggi una poesia moderna, se ascolti il testo di una canzone improvvisamente Leopardi ti sembra al confronto Checco Zalone che canta la taranta del Centrodestra. Quella che finisce con viva la Carfagna, viva la…
L’esercizio delle due cartelle
Ma che abbiamo fatto per passare così repentinamente a questa società del consumo passivo depressivo quando ancora negli anni duemila guardavamo affamati di tegolini la famiglia del mulino bianco o ascoltavamo nella pubblicità Unieuro un grande poeta come Tonino Guerra che ci urlava: “L’ottimismo è il profumo della vita!”. Cavolo l’ottimismo è il profumo della vita! Se oggi fai uno spot così prima ti fanno sentire in colpa, poi ti lapidano.
Ed allora come esercizio per la fine dell’anno e l’inizio del nuovo fate come me mettete in due cartelle ciò che ci piace, ciò che ci fa bene e tenetevelo stretto; e ciò che ci deprime buttatelo alla scadenza di Capodanno nel cestino. E cancellate subito per non correre il rischio di ripensarci. Ed allenatevi all’ottimismo, anche se siete sommersi dai problemi. Perché certo non si risolveranno con la depressione.
L’ottimismo è un atteggiamento mentale, un modo di essere propositivo nei confronti della vita e del resto del mondo. Si tratta della volontà di non lasciarsi sopraffare dalle difficoltà, ma trovare sempre una ragione per reagire. È una capacità che va allenata tutti i giorni. E voi allenatela per questo 2025. Mettete l’ottimismo davanti alla depressione. Le cose belle sopra quelle brutte. E soprattutto come diceva Battiato: “Felici i giorni in cui il fato ti riempie di lacrime ed arcobaleni, della lussuria che tenta i papaveri con turbinii e voglie. Per capriccio gioco per necessità mi divido così tra astinenza e pentimenti, tra sesso e castità.”.
E tra il sesso e la castità scegliete sempre il sesso. È il più grande creatore di gioia ed ottimismo. E se le cose vanno male lo stesso insistete. Cambieranno. Almeno potrete aver vissuto una vita degna di questo nome e alla resa dei conti potrete esclamare come fece il grande scrittore futurista Ardengo Soffici: “sono stato infelice sotto tutti i cieli. Che sia benedetta la vita!”. Io intanto mi vado a riposare qualche ora nella testa di qualcun altro.
Ah auguri. Ma auguri ottimisti!