Kintsugi e l’insostenibile leggerezza degli esseri. I ciliegi rifioriscono sempre

La grande forza della cultura giapponese può aiutare a capire e gestire i momenti più difficili. La vita è come una tazza di tè artigianale che quando si rompe può essere riparata per rinascere più bella ed unica di prima

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Mentre leggevo dalle colonne di questo giornale l’articolo del direttore “Sono i dettagli a fare la differenza, non solo nelle notizie” che segnava il ritorno alla penna di Alessio dopo qualche giorno di forzato riposo per un inconveniente di salute che ci ha tenuti tutti col fiato sospeso, ma fortunatamente risolto con successo, mi sono fatto persuaso, come diceva il Montalbano di Camilleri, di stare leggendo uno degli articoli più coinvolgenti ed emozionanti mai letti in vita mia. La capacità descrittiva di raccontare un avvenimento subito in prima persona non è da tutti. Non sempre il cronista sa parlare di sé, abituato a descrivere le realtà altrui.

È una dote in possesso dei grandi scrittori. Ed unire il distacco della cronaca alla descrizione delle emozioni così ben delineate da fartene quasi provare la sensazione è dote ancora più rara. Farlo con questa lucidità e concretezza è unico.
Diciamocelo ci siamo messi un po’ timore ma quando la paura si scioglie, all’arrivo di notizie positive, ti lascia quell’onda mista di piacere e paura appena passata che è unica.

La grande onda delle emozioni

La Grande Onda di Kanagawa

Ma io nel leggere questo articolo ho provato una sensazione inusitata, il salire e scendere delle emozioni mi ha fatto sentire come quei pescatori quasi sommersi dalla “Grande Onda di Kanagawa” del maestoso pittore giapponese Hokusai.
Non potete non averlo mai visto quel quadro che raffigura una gigantesca onda a tinte blu con sullo sfondo il monte Fuji innevato. Lo trovate immotivatamente anche nelle emoticon del vostro telefonino quando scrivete onda. Un capolavoro.

Ma è cosi preponderante la forza, la maestà di quell’onda che nessuno quasi mai scorge nel dipinto le due barche di pescatori in balia della forza inarrivabile della natura. Piegati come a difendersi su quelle barche, piccole come gusci di noce nella tempesta, aspettano ineluttabile il loro destino consapevoli che poco possono fare.

Ecco leggendo Alessio nel suo racconto io mi sono sentito come quei pescatori sentivo l’onda del racconto portarmi su e giù seguirla come l’unica cosa che potessi fare, lasciandomi andare convinto che la fine sarebbe stata dura ma salvifica. Ogni capoverso sentivo salire e scendere la marea delle emozioni proprio come le stessi vivendo io in quel momento ed avido scorrevo le righe in cerca del finale. Ed il finale per fortuna è stato positivo.

Il significato dell’Onda

La grande onda veicola un magnifico significato simbolico e spirituale. Si può interpretare come una contrapposizione tra la forza della natura che incombe sulla fragile umanità. Da qui il titolo che ho scelto che sa un po’ di Kundera L’insostenibile leggerezza degli esseri.

Lo stesso tema appartiene anche alle rappresentazioni naturali del Romanticismo quali i dipinti di Caspar David Friedrich. Inoltre il rapporto tra natura madre e matrigna e lavoratori della terra si ritrova anche nelle opere di Giovanni Segantini. Ma l’onda è rimasto un capolavoro unico nel suo genere. Inimitabile.

La forza della natura

La grande onda è quindi la rappresentazione della forza della natura che incombe e minaccia l’umanità. Il Monte Fuji sul fondo è un elemento religioso che in questo caso osserva indifferente il compimento del dramma. Un po’ come scrive Alessio, quasi da una prospettiva terza, come se osservasse le cose da un punto in alto, incredibilmente distaccato ed in attesa.

La stessa onda viene anche antropomorfizzata. Infatti la forma della spuma è simile ad una mano che sembra abbattersi e artigliare i pescatori sottostanti. In questo senso la grande onda rappresenta anche la potenza della natura e del destino che incombe sulle persone. Ma per fortuna oggi quei pescatori così come Alessio sono rientrati in un porto sicuro dove come dice lui la forza protettrice degli uomini organizzati a difesa degli altri uomini è stato elemento determinante. Così come i particolari. È sacrosanto.

Come scriveva Haruki Murakami, nel suo bellissimo libro “Kafka sulla spiaggia”: “Poi, quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato”.

La cultura giapponese insegna

Chi mi conosce sa che sono un appassionato di cultura giapponese. Ritengo la civiltà nipponica superiore. Per questa capacità di unire le cose grandi con quelle minute. Il rispetto per il passato con la modernità del presente. E per dare vita ad una serie di elementi unici e straordinari che non hanno eguali in altre culture in tutto il globo. E adesso che il peggio è passato sceso dai saliscendi di questa terrificante onda nella tranquillità, che ci aiuterà a rimettere presto tutti i pezzi al loro posto, mi torna in mente un altro concetto bellissimo.

Kintsugi la chiamano i giapponesi. Letteralmente significa “l’arte di riparare con l’oro”. Quando un vaso si rompe noi tristi consumisti abbiamo l’abitudine di gettarlo come se una cosa danneggiata avesse improvvisamente perso il suo senso la sua bellezza primigenia. I giapponesi no lo riparano, ma invece di cercare di nascondere i segni della rottura, li riparano con l’oro, il materiale più prezioso. Ed in modo che quelle venature che lo ricompongono siano ben visibili a ricordare l’evento ma contemporaneamente il prezioso materiale nobilita ancora di più l’oggetto, lo rende unico e più prezioso.

Ogni oggetto riparato con questa tecnica, infatti, diventa unico nel suo genere. Non sarà mai possibile rompere due pezzi in maniera identica. Il risultato finale, dopo essere stato aggiustato, sarà sempre un pezzo d’arte unico al mondo. Il fascino di questa tecnica di riparazione va oltre la bellezza del materiale prezioso utilizzato. Il Kintsugi ha infatti una forte valenza filosofica, sia per gli artigiani che eseguono la riparazione, sia per chi assiste al processo o riceve l’oggetto riparato.

Riparare è una forma di terapia psicologica molto potente, poiché trasferiamo un possibile evento negativo della nostra vita sull’oggetto rotto. Una volta aggiustato, sarà come fossimo riusciti a sistemare una piccola parte di ciò che di negativo abbiamo patito.

La vita come una tazza da tè artigianale

Il Kintsugi è spesso associato alla resilienza, la capacità di rialzarsi sempre dopo una caduta. Facendo un semplice paragone, possiamo pensare alla nostra vita come ad una tazza da tè artigianale: ognuno è unico al mondo, poiché ogni artigiano ha una mano unica. Per quanto due pezzi siano simili non saranno mai completamente identici. Eppure la nostra vita non è statica come quella di una tazza: ci muoviamo, viviamo, amiamo, odiamo, soffriamo e ci rialziamo. Ognuna di queste azioni può rinvigorire la forza della nostra tazza oppure può spezzarla, più o meno gravemente. Possiamo subire ferite fisiche ma anche (e soprattutto) ferite emotive. Ognuna incide più o meno profondamente in noi, lasciando segni che a volte ci accompagnano per tutta la vita.

Nonostante tutto quello che può capitarci, noi ci rimettiamo in piedi e continuiamo a vivere. Scegliamo quindi di “riparare” queste ferite, o lasciamo che sia il tempo a guarirle per noi. Ogni volta che una ferita si chiude lascia una cicatrice.
Il significato spirituale del Kintsugi sta proprio in questo aspetto: non dobbiamo nascondere le ferite che abbiamo o vergognarcene, perché se le “ripariamo” nel modo giusto, ovvero superando il trauma che ci hanno lasciato e imparando da esso, diventeranno medaglie, trofei che celebrano le battaglie a cui siamo sopravvissuti.

Come guarire da questa ferita spetta a noi: se lasceremo che si sistemi passivamente, continuando a soffrire per il dolore provocato, allora avremo una riparazione rudimentale ma se invece sapremo rialzarci, anche lentamente, ma con l’orgoglio dell’essere riusciti a superare il problema, allora l’opera sarà a tutti gli effetti una riparazione dorata degna dello Shogun.

Le cicatrici il nostro distintivo

(Foto: © DepositPhotos.com)

Ogni ferita che ci portiamo dietro racconta chi siamo, da dove veniamo, cosa abbiamo sopportato fino ad oggi e come ne siamo usciti. Sarà la nostra personalissima arte di Kintsugi, una splendente cicatrice dorata chiusa a regola d’arte. Una visione appartenente al buddismo zen è chiamata Wabi-sabi e affonda nel Kintsugi i propri principi: questa visione esalta la bellezza dell’imperfezione e dell’effimero, ovvero “niente è eterno”. Nonostante quindi l’ineluttabilità di tutte le cose, vi è una bellezza profonda nella loro impermanenza, nel fatto che non rimarranno così come sono per sempre.

Nell’oggetto riparato si vede esaltata questa bellezza effimera poiché si ricompone in maniera sempre nuova e sempre più bella. Questa è l’arte giapponese dell’accettare il danno: non possiamo cancellare ciò che è stato, piangere non riporterà la nostra tazza da tè com’era prima. Se però raccogliamo i cocci e ci rimbocchiamo le maniche, potremo riuscire a ripararla e a renderla ancora più bella di quanto non fosse prima: ma questo non sarà mai possibile se prima non accettiamo ciò che è stato.

Tutto sta a noi e a come decidiamo di affrontare i problemi della vita e trasformarli in opportunità di crescita. Dalle più grandi tragedie all’inezia più insignificante, abbiamo lo straordinario potere di rialzarci più forti di prima. In giapponese esiste una parola molto adatta a questo concetto che però non ha una traduzione precisa in italiano: shouganai. Può essere utilizzata in vari modi, ma il significato che a noi interessa è quello di accettare qualcosa che, per quanto faticoso o noioso, non possiamo evitare. Ancora una volta, accettare il “danno” per quello che è, risolverlo nel miglior modo possibile e soprattutto, accoglierlo come una preziosa lezione di vita che renderà le nostre crepe ancora più preziose.

L’hanami un simbolo di rinascita

(Foto: © DepositPhotos.com)

“Solo l’effimero dura” sosteneva con abile paradosso Eugène Ionesco. Ed un po’ di leggerezza di fronte ai problemi non fa mai male. E cosa c’è di più effimero e leggero ma incredibilmente affascinante come simbolo di continua rinascita nella cultura del sol levante come la fioritura dei ciliegi il rito che compie ogni anno la natura che sta iniziando in questi giorni accompagnato dalla primavera nel paese del sol levante.

L’hanami lo chiamano, letteralmente “osservare i fiori”, è la tradizione millenaria di contemplare la bellezza effimera dei fiori di ciliegio giapponese, i sakura. Un mio amico carissimo ingegnere anagnino ha sposato una deliziosa ragazza giapponese e si è trasferito li definitivamente. Quando lo sento in questo periodo lo ammorbo sempre con la stessa battuta. “Cosa dice un ciliegio giapponese ad un altro durante l’inverno: il futuro è fiorito”.

Lui dice sarcastico “non fa ridere” e intanto ride. Forse è un po’ autoreferenziale lo ammetto ma anche io, come voi, ho le mie cicatrici dorate che mi rendono vivo, fortunato ed ancora più forte. Un’opera d’arte perfetta, la più bella creata, poi incrinata, danneggiata, rotta, per un errore o per gli eventi della vita può tornare sempre a splendere riparata con cura con le sue nuove lucenti venature d’oro.
Proprio come i ciliegi giapponesi non importa quanto sia stato duro l’inverno, come un rito ineluttabile, ogni anno possono tornare a fiorire.