L'irriconoscenza mostrata da più parti nei confronti di Trump dopo l'accordo per il cessate il fuoco nella striscia di Gaza impone profonde riflessioni. Come anche le parole poco edificanti di Landini verso la Meloni. L'insegnamento dei grandi filosofi possono aiutare a districarsi in questi meandri dei tempi attuali
“L’ingratitudine è sempre una forma di debolezza. Non ho mai visto che uomini eccellenti fossero ingrati“ scriveva Johann Wolfgang Goethe. Non devono averla pensata così i detrattori del presidente Donald Trump che per tutta la settimana si sono affannati a trovare difetti ed incongruenze al cessate il fuoco imposto a Gaza dalla politica statunitense. E non sembravano affatto felici i manifestanti ad oltranza nè i flottilleri vari che una forma di provvisoria pace fosse raggiunta.
In fondo gli toglieva uno dei migliori motivi di movimentismo delle ultime settimane. Adesso bisognerà trovare un altro tema da cavalcare per i professionisti della protesta. Che languivano in questi giorni e si davano alla macchia quando si trattava di protestare per le morti di innocenti palestinesi ma stavolta per mano di Hamas.
Gli Indiana Jones della critica all’accordo di pace

Si perché la scena più barbara circolata in questi giorni riprendeva le sommarie esecuzioni dei miliziani di Hamas che giustiziavano altri palestinesi accusati di collaborazionismo durante il conflitto freddandoli con colpi alla testa inginocchiati in pubblica piazza. Immagini raccapriccianti che però in occidente non hanno suscitato nessuna ondata di sdegno tra i difensori della causa palestinese anzi impegnati tra molti imbarazzi a far passare la teoria dello scontro fra bande locali. Come se questo lo rendesse meno barbaro.
Ricordate cosa diceva Nietzsche: “Se uccidi uno scarafaggio, allora sei un eroe, e se uccidi una farfalla sei cattivo. La morale ha standard estetici”. In questo caso si inverte l’ucciso con l’uccisore ma il concetto è il medesimo. E gli standard morali sono a geometria variabile se un palestinese è ucciso da un ebreo oppure da un altro palestinese di Hamas.
Su una cosa però hanno ragione gli Indiana Jones della critica all’accordo di pace, i ricercatori della critica ad ogni costo. Che questo cessate il fuoco arriva quando non c’è più niente da distruggere se non altre vite. Israele ha raggiunto con violenza inaudita tutti gli obiettivi militari che si era prefissa distruggendo e radendo al suolo in ogni dove. Con altissimo prezzo di vite umane. È stata una devastazione. La striscia di Gaza è diventata un deserto.
La pax romana

Per questo buon gioco ha avuto chi ha qualche reminiscenza storica a riesumare la frase citata da Tacito sulla celeberrima pax romana quando nell’Agricola fa dire ad un capo caledone queste parole a proposito dei romani: “Là dove fanno il deserto gli danno il nome di pace”.Frase che di fronte al conflitto sulla striscia di Gaza appare quanto mai attuale e significativa.
Nell’Agricola, opera dedicata, per l’appunto, al generale Giulio Agricola, impegnato sul fronte della Britannia, lo storico parla di Càlgaco, un capo che riuscì a riunire sotto il suo comando tutte le tribù della Caledonia (l’attuale Scozia). Prima di combattere Càlgaco cerca di infondere coraggio ai suoi uomini e pronuncia un discorso in cui propone due alternative: la libertà o la morte. I romani, infatti, sono visti come insaziabili dominatori.
Significativa è la frase che Tacito fa pronunciare al capo caledone a proposito della pax romana: “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant”, che vuol dire, “là dove fanno il deserto gli danno il nome di pace”. Questa frase è stata anche oggi utilizzata per definire la politica imperialista delle grandi potenze. Ed è tornata prepotentemente alla ribalta sui social in questi giorni. E non senza validi motivi viste le immagini che circolano sulle devastazioni nella striscia.
Potentiae cupiditas
La pax romana era una pace imposta con la forza e volta al dominio e alla sottomissione di un popolo conquistato. I romani giustificano la loro spietatezza definendosi i “migliori” e in quanto tali a loro si devono sottomettere i popoli più deboli. La morale con gli standard come dicevamo prima citando Nietzsche.

Già Sallustio prima di Tacito aveva scritto nelle Historiae che “i romani fanno la guerra a tutti, ma soprattutto a quelli la cui disfatta promette spoglie opime: osando, ingannando, passando da una guerra all’altra si sono ingranditi”.
Sono le parole che Sallustio fa pronunciare a Mitridate, re di Ponto per convincere il re siriano Arsace ad un’alleanza. Ma sebbene a pronunciare quelle parole nelle Historiae è Mitridate, a scriverle è pur sempre Sallustio il quale è cosciente della decadenza dei “boni mores” sostituiti ormai dalla “potentiae cupiditas” dei Romani.
Così come noi indipendentemente dal lato in cui siamo schierati anche oggi ci rendiamo conto della disparità delle forze in campo e degli interessi a queste sottesi.
Ma allora non siamo d’accordo sulla pace?

O siamo semplicemente degli irriconoscenti. Che pur di non lodare il lavoro del presidente americano critichiamo anche il cessate il fuoco. La riconoscenza questa sconosciuta penserà il biondo presidente. Già la riconoscenza. La riconoscenza è l’unica moneta con cui ricambiare un favore ricevuto, ne è convinto Seneca che sui “benefici” ha scritto un ampio trattato suddiviso in sette libri.
Ma il “grazie” non può essere un gesto passeggero che cade nel dimenticatoio poco dopo il beneficio ricevuto: di ciò che riceviamo occorre, infatti, ricordarsene sempre. Degli ingrati, ammonisce il filosofo romano, si lamentano tutti, persino gli ingrati stessi. Ingrati contro ingrati.
“Consideriamo certe persone come i nostri peggiori nemici, non solo dopo aver ricevuto dei benefici ma per il fatto stesso di averli ricevuti“. Sembra un paradosso ma Seneca spiega bene perché questo accade: “succede in alcuni per via della loro natura malvagia, ma per la maggioranza delle persone accade perché il tempo intercorso annulla il ricordo“.
Il tempo può cancellare i ricordi ma ciò per Seneca è imperdonabile: “Il più ingrato di tutti è chi dimentica“. Il ricordo del passato è per Seneca fondamentale, è un gesto di rispetto verso il prossimo, verso colui che ci ha teso una mano senza voler nulla in cambio. Dimenticarsene significa non aver nemmeno pensato ad una possibile forma di riconoscenza.
Il ricordo rende rinoscenti
Ci sono vari motivi per cui spesso ignoriamo coloro che ci hanno aiutato. Uno di questi è proprio l’attenzione frenetica che rivolgiamo alle cose del futuro: “Siamo sempre presi da nuovi desideri, sempre attenti a ciò che ci manca, quello che abbiamo ci sembra privo di valore“.

Siamo attenti agli altri finché non otteniamo ciò che desideriamo, dopodiché ci sbarazziamo di chi ci ha aiutato perché nuovi desideri prendono il sopravvento nel nostro animo. Sempre proiettati al futuro, spiega Seneca, “sono veramente in pochi quelli che ritornano con la mente al passato“.
Il filosofo dà quindi ragione ad Epicuro: “Egli non smette di lamentarsi del fatto che siamo ingrati verso le cose passate… Eppure non c’è piacere più saldo di quello che non può esserci portato via“. I beni del presente non sono completamente al sicuro, quelli del futuro sono incerti: “ciò che invece è passato riposa al sicuro“. E voi sapete quanto io apprezzi Epicuro dunque come non concordare. E’ quindi il ricordo che rende riconoscenti. Chi dà più peso alla speranza ne toglie alla memoria.
L’ingratitudine vizio odioso
Per Seneca l’irriconoscenza è un vizio odioso, quasi un crimine. Ma andrebbe punito come se fosse una violazione di legge? Magari. Ma sarebbe un controsenso. Il filosofo spiega che in un favore la cosa più bella è proprio l’averlo accordato senza contropartita, l’essere disposti anche a perderlo perché ci si affida totalmente all’arbitrio di coloro che lo riceveranno.

Rivolgersi invece ad un giudice significa trasformare il beneficio in credito, il che annulla il senso naturale dell’aiuto reciproco. In secondo luogo la riconoscenza è un gesto nobile, pertanto non può divenire obbligatorio; ne verrebbe meno proprio quella sua nobiltà e purezza. L’ingratitudine è quindi un “crimine” morale, non giuridico. E tornano gli standard morali aggiungo io.
“Abbiamo rovinato le due cose più belle del vivere in società: la gratitudine e il beneficio”, si rammarica Seneca. Le riflessioni del filosofo stoico sono, come sempre, straordinariamente attuali. Proviamo a pensarci: con quante persone che in passato ci hanno accordato un favore, piccolo o grande che sia, siamo ancora in rapporti? Di quanti favori ricevuti ci ricordiamo? Quanto spesso alimentiamo la gratitudine col ricordo?
Come diceva Torquato nel “De finibus” di Cicerone: “gli stolti si tormentano ricordando i mali passati, i sapienti invece ricevono diletto ricordando i beni passati. E’ in nostro potere seppellire nell’oblio le avversità e mantenere vivo con dolce gioia il ricordo degli avvenimenti felici“. Nella ricostruzione di un “linguaggio del buonsenso”, quindi, ricordiamoci dell’importanza delle parole “grazie”, “riconoscenza” e “ricordo”.
L’uscita di Landini

Ma questa lezione che con piglio modernistico si definirebbe “buonista” non sembra attecchire proprio tra coloro che buonisti si professano. Prendete il segretario della Cgil Landini. Piccato del fatto che la nostra premier Meloni sia stata invitata alla firma degli accordi di pace e le sia stato dato pubblico riconoscimento dell’impegno profuso si innervosisce.
Prende a pretesto dei complimenti sui suoi standard estetici, di nuovo come li chiama Nietzsche, rivolto da Trump alla Meloni con fare in effetti piacionesco e fuori luogo per esibirsi poi in una malcelata serie di contumelie. La più grave ad avviso di tutti quello di chiamare la Meloni una ”cortigiana” di Trump. Cortigiana recita il dizionario è sinonimo di donna di facili costumi, prostituta.
E Landini lo sa bene anche se poi arrabatta una spiegazione per intendere che era alla corte di Trump. Ma cortigiana significa cortigiana. Ed anche qui precisazioni a parte la morale ha standard anche di collocazione politica scopriamo. Perché sembra che a tali offese nessuna femminista abbia obiettato nulla rivelando che il sessismo ed il maschilismo sono validi solo se espressi verso donne non di destra. Se invece di destra gli puoi dare della prostituta legittimamente.
La morale Signore-Servo
Ma per comprenderlo come sempre ci viene in aiuto il maestro Nietzsche che sul tema ha dedicato un libro intero dal titolo: “Genealogia della Morale”. Nel quale distingue la doppia morale Signore-Servo.

La moralità signore-servo infatti è un tema centrale nelle opere del filosofo tedesco, in particolare nella Genealogia della morale. Nietzsche sosteneva che vi erano due tipi fondamentali di moralità: la morale del signore e la morale del servo. La moralità del padrone pesa azioni su di una scala di conseguenze buone o cattive, a differenza della morale dello schiavo, che pesa le azioni su una scala di intenzioni buone o cattive. Ciò che Nietzsche intende per “moralità” si discosta dalla comune comprensione di questo termine.
Per Nietzsche, una determinata morale è inseparabile dalla formazione di una cultura particolare. Ciò significa che il suo linguaggio, i codici, le pratiche, i racconti e le istituzioni sono plasmati dalla lotta tra questi due tipi di valutazione morale. Per Nietzsche, la morale padrone-schiavo costituisce la base di tutte le esegesi del pensiero occidentale. Mentre la morale degli schiavi valorizza cose come la bontà, l’umiltà e l’amicizia; la moralità del padrone valorizza invece l’orgoglio, la forza e la nobiltà.
Ed infatti ritradotto in chiave moderna questo standard della doppia morale permea tutto il dibattito attuale e cambia il giudizio in base a quale dei ruoli sociali si ricopre. Così una morte può essere buona o cattiva. Lo abbiamo visto con Charlie Kirk e oggi coi morti ammazzati da Hamas. E guardate è tardi per parlarne ma anche nella vicenda cha ha visto morti i tre carabinieri vittima della esplosione durante un sequestro.

Così anche un insulto come cortigiana può essere giudicato passabile o meno in base a quale ruolo si ricopre. È lo standard della doppia morale che permea tutto quello che ci circonda. O almeno io lo vedo dovunque. Forse chi ha meno strumenti fatica a scorgerlo con questa nitidezza ma è dovunque nei dibattiti odierni.
Resta solo da decidere una cosa nella morale Nietzschiana padrone servo. Nel dualismo conseguenze – intenzioni. Quale dei due si desidera essere.
Tertium non datur.



