
Il mood parlamentare? Reagire come quei ripetenti che dall’ultimo banco prendevano in giro il secchione dei primi posti che aveva studiato
“Prometto da oggi che farò del mio meglio per adeguare il mio eloquio alle capacità cognitive del senatore Renzi”. Questa la sferzante risposta che ha chiuso la querelle. Fantastica. La cosa più divertente di questa settimana politica infatti è stato senza dubbio lo scontro verbale andato in onda al Senato tra il neo ministro Alessandro Giuli ed il senatore Matteo Renzi. Il neo ministro della Cultura da un lato e il leader di Italia Viva dall’altro. L’aula del Senato si è trasformata in un ring perfetto. I colpi bassi non erano ammessi: lo scontro si è consumato sulla capacità oratoria, l’ironia sferzante e l’acume politico.
I motivi dello scontro sono stati principalmente due. In primis la nomina fatta dall’allora ministro Sangiuliano a Fabio Tagliaferri, già vicesindaco di Frosinone scelto per guidare la società di servizi del Ministero ALeS S.p.a.. Ma a finire in mezzo al diverbio è anche l’audizione del ministro di qualche giorno fa in commissione alla Camera, condita da riferimenti filosofici considerati, con sommo sfoggio di ignoranza, dall’opposizione come mera e “saccente disquisizione”.
Renzi e le infosfere di Giuli

È stato infatti il mix di queste due cose ad infiammare il discorso come non si vedeva da tempo in un Aula parlamentare, con il buon presidente Ignazio La Russa nelle parti di arbitro.
Così Renzi conclude il suo intervento: “Intende fare repulisti anche sul buon Tagliaferri? Perché, cito (e riporta ironicamente le parole del ministro) ‘di fronte a questo cambiamento di paradigma. La quarta rivoluzione epocale della storia delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale’, il rischio che si corre è duplice e speculare”, insiste Renzi prendendo spunto dalle parole di Giuli.
Poi incalza: “Io trovo interessante sia la citazione, non contenuta qui, di Hegel che quella che io vedo di Luciano Floridi, sia una citazione di Monicelli e di Tognazzi e del conte Mascetti a proposito della sua strategia culturale. Ma le domando che ci azzecca con Hegel e la rivoluzione permanente dell’infosfera globale uno di Frosinone alla guida di un’azienda di servizi culturali?”.
Il dente avvelenato su Tagliaferri

Ora a parte svelare il dente avvelenato di Renzi contro il nuovo dirigente di ALeS Tagliaferri, che come arrivato ha costretto la “sua” banca di riferimento Mps ad adeguare i tassi sui depositi al 3.50% mentre prima erano addirittura a zero. Con un guadagno per la società di circa tre milioni di euro dimostrando invece nei fatti una ottima capacità manageriale.
Ma è proprio sulla citazione del conte Mascetti e delle note supercazzole inaugurate dal film di Monicelli Amici Miei che invece Renzi fa il tonfo più grande e fragoroso. Ed è proprio questo il centro della questione: il paradossale rapporto tra la sinistra e la Cultura. Vissuto negli anni con una presunta, ma mai dimostrata, egemonia che poi alla prova effettiva sconfina invece nella superficialità e forse anche nella crassa ignoranza.
Per questo la risposta di Giuli “adeguerò il mio eloquio alle sue capacità cognitive” ha certamente un divertente valore dialettico polemico contingente. Ma ha anche in se un innovativo e profondo valore di scelta culturale.
La sinistra colta che non ama i colti

Ed è su questo tema che è necessario svolgere un ragionamento culturale che passa per questo assunto. La sinistra contesta da sempre presunte carenze culturali verso la destra. Ma nel momento in cui un ministro si presenta al parlamento facendo citazioni colte e dando, come ha fatto Giuli, un idea di politica culturale ben definita la reazione della sinistra è pressappoco questa. Cioè non si capisce cosa ha detto, ha utilizzato vocaboli incomprensibili, ha fatto una supercazzola, per finire al “parla come magni” dei commentatori meno strutturati lessicalmente.
Ma cosa ha detto esattamente Giuli? Lo riporto testualmente per poi analizzarlo:
«La conoscenza è il proprio tempo appreso con il pensiero. Chi si appresta a immaginare un orientamento per l’azione culturale e nazionale non può che muovere dal prendere le misure di un mondo entrato nella dimensione compiuta della tecnica e delle sue accelerazioni. Il movimento delle cose è così vorticoso e improvviso, così radicale nelle sue implicazioni e applicazioni che persino il sistema dei processi cognitivi delle persone, non solo delle ultime generazioni, ha cominciato a mutare con esso».
Poi il ministro ha continuato:
«Di fronte a questo cambiamento di paradigma, la quarta rivoluzione epocale della storia delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, il rischio che si corre è duplice e speculare. L’entusiasmo passivo, che rimuove i pericoli della ipertecnologizzazione, e per converso l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa. Impugnando un’ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro intese come una minaccia».
Come alzi i toni del discorso, il buio

È sicuro che il neo ministro certamente preso da un nuovo ed inaspettato incarico abbia tenuto al fine di fare la migliore figura possibile ad inserire un gran numero di citazioni colte e di termini aulici o altisonanti. Lo si può perdonare a tutti i novizi. Ma il testo dal punto di vista culturale è molto profondo, incisivo e determina una visione chiara e netta degli intendimenti del dicastero.
E qui il primo punto. È possibile che nella più prestigiosa Aula parlamentare italiana si sia scesi di livello così tanto da non riuscire a comprendere termini perfettamente italiani, colti si, altisonanti si, ma italiani. Da qui il primo paradosso: i presunti detentori della cultura che si spaventano difronte ad un discorso colto?
“La conoscenza è il proprio tempo appreso con il pensiero”. Renzi sfotte ma chiunque abbia frequentato non dico un ateneo ma anche un semplice liceo comprenderebbe certamente il parafrasare della famosa massima Hegeliana “La filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero”.
È dunque diventato anche Hegel troppo ostico e difficile per l’imbarbarito parterre parlamentare e politico italiano? Eppure è una frase di semplice comprensione.
Fenomenologia del piacere

Ma adesso arrivo al centro della questione. Ecco la frase maggiormente incriminata: “Di fronte a questo cambiamento di paradigma, la quarta rivoluzione epocale della storia delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, il rischio che si corre è duplice e speculare.”
Ora io appena ho sentito in diretta questa frase ho avuto un piccolo sussulto di piacere. E vi spiego semplicemente il perché. E mi anche vergogno un po’ a doverlo spiegare. Perché chi si erge a uomo di cultura, ma soprattutto chi pretende di voler guidare attraverso la politica le scelte di questa nazione, non può non conoscere il testo da cui questa citazione è presa.
Ed è un libro importante e fondamentale scritto da Luciano Floridi, tra le più grandi menti contemporanee partorite dalla Ciociaria. Nelle vene ha sangue di Guarcino, città dove torna spesso. Il titolo del libro dal quale è stata presa la citazione “La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo”. (Leggi qui: Il prof di Guarcino che bacchetta la politica).
Chi è Luciano Floridi

Dunque il mio orrore è duplice prima per l’ignoranza della fonte e poi per l’incapacità anche non conoscendola di riconoscere un termine facilmente intellegibile come infosfera. Una banale crasi. Anche qui roba da liceo.
Ma chi è Luciano Floridi? E’ un filosofo italiano, romano di nascita, ciociaro di Guarcino per la precisione, naturalizzato britannico, professore ordinario di filosofia ed etica dell’informazione presso l’Oxford Internet Institute dell’Università di Oxford, nonché professore di Sociologia della comunicazione presso l’Università di Bologna. Uno studioso notissimo a tutti coloro che si occupano di cultura ma soprattutto di comunicazione moderna. È lui ad avere teorizzato l’infosfera e da anni viene considerato un totem vivente da Google e Microsoft. Uno che può permettersi di dire ai politici di tutta l’Europa che non hanno idee. (Leggi qui: Un ciociaro ad Oxford. «Al futuro governo serve un matrimonio tra green e digitale»).
Floridi è principalmente conosciuto per il suo lavoro di ricerca filosofica riguardante: la filosofia dell’informazione, la filosofia dell’informatica e l’etica informatica e per aver coniato il termine “Onlife”. Onlife un’altra crasi. Tradotto in italiano sarebbe la “vita on line”. È un termine ormai usatissimo per definire il nostro stato attuale di una vita completamente connessa.
Ma perdonatemi se indugio perché io apprezzo molto questo libro e ne consiglio la lettura. Parlamentari in primis. La quarta rivoluzione scientifica, secondo Luciano Floridi, è la rivoluzione dell’informazione, che sta producendo effetti sul nostro senso del sé. La maniera in cui ci relazioniamo gli uni con gli altri e nella quale diamo forma al nostro mondo e interagiamo con esso.
Cosa cambia il pensiero umano

Floridi sostiene che la caratteristica peculiare delle tre rivoluzioni classiche è il fatto che siano state in grado di provocare un profondo cambiamento del pensiero umano su di sé e sul mondo. E che la rivoluzione dell’informazione rispetta questa caratteristica. Chi siamo e che tipo di relazioni stabiliamo gli uni con gli altri? Floridi sostiene che gli sviluppi nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione stiano modificando le risposte a domande così fondamentali.
I confini tra la vita online e quella offline tendono a sparire e siamo ormai connessi gli uni con gli altri senza soluzione di continuità, diventando progressivamente parte integrante di un'”infosfera” globale. Ecco il termine apparentemente incomprensibile per alcuni. Questo passaggio epocale rappresenta niente meno che una quarta rivoluzione, dopo quelle di Copernico, Darwin e Freud.
L’espressione “onlife” allora definisce sempre di più le nostre attività quotidiane: come facciamo acquisti, lavoriamo, ci divertiamo, coltiviamo le nostre relazioni. In ogni campo della vita, le tecnologie della comunicazione sono diventate forze che strutturano l’ambiente in cui viviamo, creando e trasformando la realtà.
Comunicare e (è) vivere

Insomma quello che noi facilmente tutti i giorni comprendiamo di vivere ma che definiamo in genere con termini più banali. Ma è davvero così difficile comprendere un termine come infosfera o capire la citazione della quarta rivoluzione? Reagire come quei ripetenti che dall’ultimo banco prendevano in giro il secchione dei primi posti che aveva studiato?
Definire una dotta citazione culturale una supercazzola solo perché incapaci di riconoscerla? Scatenarsi sui social dicendo di non aver capito la costruzione della frase cadendo da soli in un autonomo esercizio di ammissione di ignoranza? Ma soprattutto quello che perdoniamo agli illetterati leoni da tastiera lo possiamo perdonare alla nostra classe parlamentare e dirigente?
Perché il quadro tristissimo e paradossale che ne esce è che oggi viene attaccato il ministro della cultura per aver dato sfoggio di cultura nelle sua dichiarazioni programmatiche. O tempora o mores. Ed in questo ci sono tutti i limiti di un opposizione che si ammanta di cultura nominalmente ma alla prima sfida culturale concreta dà sfoggio di ignoranza modello osteria.
Elly che rappa come Pippo Franco

Perché se la risposta alla comprensione del testo è che è una supercazzola siamo davvero messi male. D’altronde consideriamo che mentre si dibatteva su queste dinamiche culturali la segretaria del PD Schlein stava sul palco con J-Ax a rappare le sue canzoni con la stessa intonazione con cui Pippo Franco cantava “Chichichi cococo curucurucurucurucu quaqua”. E non aggiungo altro.
Vuol dire dunque che non abbiamo una classe dirigente in grado di comprendere appieno le sfide immediate del nostro tempo e che arriva completamente impreparata di fronte alla quarta rivoluzione. Anzi peggio la ignora. Non la percepisce. Nemmeno quando la citano testualmente.
Vuol dire in modo allarmante che se neanche in parlamento si hanno gli strumenti per comprendere i movimenti epocali che avvengono quotidianamente intorno a noi non si hanno certamente neanche gli strumenti per poterli governare o indirizzare o addirittura difendersi da essi. Perché possono non sempre essere positivi.
Ma ci crediamo ancora, alla cultura?

Allora la domanda reale è ma veramente noi crediamo ancora nel valore della cultura? O la abbiamo abbandonata completamente come strumento. E, non mi stancherò mai di ripeterlo, sarebbe l’errore più grave. Vorrebbe dire consegnare definitivamente ogni decisione ogni potere ad un oligarchia che sovrasta anche i poteri parlamentari ormai con una nonchalance assoluta e che ultimamente non si nasconde neanche più.
Ed a questa conclusione non si arriva solo leggendo testi moderni o la quarta rivoluzione di Floridi.
Lo aveva capito già Platone che sosteneva: “Per essere democratici bisogna che la gente sappia di cosa si discute e siccome il popolo di Atene non è abbastanza colto, non possiamo attuare la democrazia e quindi è meglio che governino i migliori, coloro che sanno”. Un concetto del quattrocento avanti Cristo ma così attuale.
Ma poi a vai a vedere, l’ultimo rapporto dell’Ocse dice che noi italiani siamo all’ultimo posto nella comprensione di un testo scritto. Io personalmente mi sono pure un po’ offeso, ma poi guardando le reazioni al discorsi di Giuli insomma. Ed una recente statistica che il 36% degli italiani non capisce quel che legge.
Pesce che ha rappresentato se stesso

Ed è così che noi vogliamo affrontare le sfide moderne? E vengo alla parte che ho preferito del discorso di Giuli che ha retoricamente domandato: «Siamo dunque precipitati nell’epoca delle passioni tristi?». «No», ha risposto. E ha proseguito: “Fare cultura è pensare sempre da capo e riaffermare continuamente la dignità, la centralità dell’uomo, ricordare la lezione di umanismo integrale che la civiltà del rinascimento ha reso universale.” E questa è la risposta giusta.
Ma c’è cultura e cultura e ne abbiamo avuto un plastico esempio in questi giorni. In quel di Napoli si è inaugurata un opera di Gaetano Pesce, nome profetico. Artista, va detto, straordinario scomparso pochi mesi fa. Ma che aveva già lasciato questa sua ultima opera oggi realizzata in piazza municipio nel capoluogo campano.
Si chiama maliziosamente “Tu si na cosa grande”. Dovrebbe raffigurare l’abito dell’amatissimo pulcinella. In realtà non ci girerò molto intorno sembra un enorme simbolo fallico di 12 metri di altezza. Con le luci accese sembra prenda addirittura vita. Guardatela e ditemi se non è facilmente comprensibile.
Ha certamente attratto l’attenzione, le lodi e le critiche di molti facendo parlare tantissimo. E per un opera d’arte è sempre ottimo.
Chi stupisce vince. Sempre

In arte per me chi stupisce vince sempre. Ma mi domando è davvero questa la cultura di cui abbiamo bisogno oggi? Ma soprattutto la stessa sinistra che si spertica di lodi per questo fallo gigante è quella che si dichiara incompetente a comprendere le parole del ministro Giuli?
Perdonerete il linguaggio popolare ma l’intervista più bella l’hanno fatta ad un attempato signore che passeggiava nei pressi dell’opera a cui hanno chiesto le piace? E lui in dialetto ha risposto “me pare o cazz’ co o cappiell”. Severo ma giusto.
Ecco a me al di fuori delle leziosità linguistiche, delle citazioni auliche, continua ad interessare di più l’infosfera e la quarta rivoluzione che il “coso” col cappello che troneggia in piazza municipio.
Quello si che lo possiamo definire una supercazzola. Absit iniuria verbis.