Le idi di Marzo: I traditori non passano mai alla storia, loro malgrado

Se vi trovaste a non avere la possibilità di essere nessuno dei due tra essere un Giuda ed essere un Dongiovanni scegliete sempre la seconda

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Ieri erano le idi di marzo. Il termine “idi” deriva dal latino e indica la metà del mese. Nelle idi di marzo, cioè il 15 marzo, avvenivano festeggiamenti per il dio della guerra Marte, ma questa data è ricordata soprattutto per l’assassinio di Giulio Cesare. Cassio e Bruto, che architettarono il piano per far fuori il dittatore, decisero di porre fine alla sua vita proprio il 15 marzo, giorno di seduta al Senato.

Alla congiura, tenutasi nella Curia di Pompeo, aderirono circa ottanta senatori, sebbene all’atto pratico solo venti persone parteciparono attivamente all’omicidio. Cesare infatti venne assassinato con 23 pugnalate, di cui 22 non mortali. Quella che lo uccise fu la seconda di Bruto, in pieno petto mentre Cesare lo guardava esclamando con voce flebile “tu quoque”.

“Anche tu, figlio mio?”

L’espressione latina tu quoque è la forma abbreviata di una celebre frase che si ritiene tradizionalmente attribuita a Giulio Cesare e che è “tu quoque, Brute, fili mi?”. La frase per intero significa “anche tu, Bruto, figlio mio?”. Tu quoque dunque significa anche tu.

L’espressione si usa oggi, ancora in latino, per esprimere un certo stupore, rammarico e rimprovero, anche soltanto in tono ironico, nello scoprire determinate azioni di una persona.

In particolar modo questa espressione viene usata quando si coglie in fallo una persona che si riteneva irreprensibile, oppure quando si ritiene di essere stati abbandonati o traditi in qualche modo da una persona ritenuta amica, fedele e leale.

La versione di Shakespeare

Anche nella celebre opera Giulio Cesare di William Shakespeare, il dittatore rivolge le sue ultime parole famose a Bruto, con un inserto in latino nel testo originale in inglese: “Et tu, Brute? Then fall, Caesar.” (“Anche tu, Bruto? Cadi, allora, Cesare.”).
Dunque il tradito fu Cesare. Ed i congiuranti tra cui moltissimi a lui vicini festeggiarono sul corpo del caduto appropriandosi momentaneamente del potere dopo l’eliminazione del Divo Giulio sostituendolo poi nel governo di Roma. Erano loro vittoriosi dunque seppur nel sangue.

Ma perché nella storia Giulio Cesare è rimasto ad imperituro esempio di grandezza mentre i congiurati al contrario additati da millenni come volgari traditori.

Gloria per doti o per inganno

Perché il traditore non passa mai alla storia. Perché una cosa è la gloria ottenuta per capacità per doti un’altra quella conquistata col tradimento e l’inganno. Quella del traditore è sempre una gioia momentanea. Ma la storia lo condanna sempre. E come in Cesare l’elemento davvero affascinante è comprendere come mai è sempre il tradito a passare alla storia come un eroe e non il traditore.

Anche se il traditore svolge una sua innegabile funzione di utile idiota. Per dire: se non ci fosse stato il tradimento di Giuda come avrebbe potuto, Gesù, sacrificarsi per l’umanità?

Oppure: Bruto, è vero, ha tradito Cesare, ma non l’ha fatto inaspettatamente proprio perché Cesare sublimasse il suo mandato?

Sono loro che creano i miti

È filologicamente giusto dire pure con estremo paradosso che Bruto stesso è il creatore del mito di Cesare. E la soddisfazione momentanea che Bruto trasse da quell’assassinio è stata sopraffatta da millenni di gloria imperitura di Cesare. Ma veniamo ai giorni nostri. Dove il tradimento, in tutti i campi, è all’ordine del giorno.

È possibile trovare un legame fra le categorie politiche di tradimento, trasformismo, opportunismo? E vi sono personalità che interpretano tali concetti nel mondo di oggi? La storia dell’umanità si fonda sull’infedeltà? Se si pensa a Eva, parrebbe di sì. E proprio dalla coppia dell’Eden sarebbe divertente ripercorre tutti i casi della storia.

Da Cassio a Mastella e Fini

Clemente Mastella. Foto © Paolo Lo Debole / Imagoeconomica

Il problema è che, oggi, raramente ci capita di trovarci di fronte a un Bruto o a uno Cassio: ci tocca, ahinoi, più facilmente un Mastella, un Conte, o per il centro destra ad esempio un Fini. Il paragone, in realtà, appare improprio, essendo abissali le differenze fra la statura politica di Berlusconi e di Cesare, di Fini e di Bruto.

Del resto, è ormai entrato nel linguaggio corrente un termine preciso per definire chi cambia più o meno disinvoltamente schieramento politico: non sono traditori, ma “voltagabbana”. Figure ben note nel panorama politico italiano che collochiamo nel girone dei trasformisti.

Il claim della destra

Il tradimento è stato un termine molto usato a destra, l’antitesi della lealtà, non a un partito, non a un ideale, ma al capo. Lo abbiamo visto anche in tempi recenti. Fini ha chiuso la sua carriera a causa di questo crimine, e di questo marchio che non è più riuscito a togliersi di dosso.

Gianfranco Fini con Pinuccio Tatarella (Foto: Carlo Carino © Imagoeconomica)

“Badoglio” lo chiamavano che per un “fascista” è l’appellativo più dispregiativo. Naturalmente il tradimento ha antiche tradizioni anche nella cosiddetta sinistra.

Ppensiamo a Lev Trotsky in Unione Sovietica, alle Grandi Purghe di Stalin o a Amadeo Bordiga per fare un esempio nostrano.

Da Trotsky a Badoglio

E proprio ai giorni nostri cosa dire di un Conte che mette alla porta l’inventore, il fondatore, l’anima del partito, i cinque stelle, che dal nulla aveva creato Beppe Grillo. Che cosa significa “tradire” ? Quanto e come si tradisce ? E chi tradisce veramente il proprio paese o la propria comunità ? Sono alcune delle domande che pone Avishai Margalit, nel suo saggio “Sul tradimento” edito da Einaudi.

Il concetto di ciò che significa tradire è costante attraverso i secoli e le culture. Il tradimento mina la fiducia più solida, dissolve il collante che mantiene unite le nostre relazioni più salde, mettendo in discussione l’etica: di ciò che dobbiamo alle persone e ai gruppi che ci forniscono un senso di appartenenza.

Tradimento e identità politica

Per venire al caso italiano, in un tempo in cui la politica sembra percorsa da una bassa tensione valoriale, parlare di “traditori” e “tradimenti” offre allora l’occasione, al di là di qualsiasi moralismo, per una riconsiderazione non banale sui temi dell’identità politica, della rappresentanza, del rapporto eletti ed elettori, andando al cuore del nostro sistema democratico, non a caso in forte crisi.

(Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Dice l’art. 67 della Costituzione italiana: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Si stabilisce cioè che i parlamentari eletti sono liberi di esercitare le loro funzioni senza essere obbligati a votare come dice loro il partito con cui sono stati eletti. Tutto normale, nel segno dell’auspicata autonomia degli eletti? Al contrario.

Come nei Comuni…

E non è solo una questione di vertice capita pure che candidati a sindaco di paesi qualsiasi di provincia dopo qualche settimana passino dall’opposizione alla maggioranza con modalità che farebbero vergognare lo stesso Giuda Iscariota. E girino lo stesso in pubblico con un una faccia incredibile invece di sotterrarsi.

(Foto: Saverio De Giglio © Imagoeconomica)

Di fronte a questo costante spostamento di fronte, come dovrebbe reagire il singolo cittadino-elettore? Attenersi al testo costituzionale, nel nome della libertà dell’eletto, subendo così il “cambio di casacca” (il “tradimento” del patto elettorale) ovvero chiedere il rispetto della propria volontà politica, con le conseguenti dimissioni del parlamentare ?

Politica e metapolitica

La questione è evidentemente politica e metapolitica insieme. Per tornare a Avishai Margalit con il tradimento la persona tradita deduce di non essere importante agli occhi del traditore, nonostante la certezza di esserlo stata per tanto tempo, nonostante il “senso di appartenenza” che caratterizza, appunto, ogni rapporto forte.

Quando si tradisce, indipendentemente dal tipo di tradimento, si cancellano la storia e la memoria condivise, ci si mostra indifferenti all’altro, si rimette in discussione l’appartenenza comune.

Indifferenti all’altro

E’ qui il nocciolo della questione italiana: l’indifferenza del sistema parlamentare rispetto all’ “altro” (il cittadino elettore e le sue scelte), l’azzeramento delle storie condivise (i programmi elettorali), l’annullamento di qualsiasi appartenenza comune (le visioni politiche ed i valori che dovrebbero sostenerle).

Giuseppe Conte (Foto: Alessandro Amoruso © Imagoeconomica)

E’ il senso attuale di una “crisi di sistema” che, anche attraverso una legge elettorale di taglio verticistico, ha di fatto snaturato ogni corretto rapporto tra eletti ed elettori, permettendo ai primi di essere liberi di “tradire” ogni vincolo e lasciando i secondi privi di qualsiasi strumento di controllo-intervento.

In sintesi: passata la festa (elettorale) gabbato lo santo (elettore), con i risultati a tutti ben evidenti, naturalmente nel nome della democrazia parlamentare.

La tesi di Giorello

«Pur nel cambiamento delle modalità fisiche, il tradimento resta il meccanismo della storia, con la minuscola e con tutta la sua concretezza». Ne è convinto il filosofo Giulio Giorello, che ci ha scritto sopra un bel libro, intitolato, appunto, “Il tradimento. In politica, in amore e non solo” edito da Longanesi. Ma c’è tradimento e tradimento, pur nella concretezza della storia con la minuscola.

Beppe Grillo (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

C’è il tradimento per cause nobili, per un machiavellico “bene comune”, come nel caso di Bruto e Cassio che hanno tradito, dicevano, per salvare la Repubblica a cui Cesare aveva impresso una deriva totalitaria (quanto a Cassio, c’era anche un risentimento patrimoniale, per via di certi leoni, bottino di guerra, che spettavano a lui e che invece Cesare, a Megara, requisì per sé: ma questa è solo una piega della storia).

Dante poco convinto

Anche il Sommo Poeta ha affrontato il tema dei calunniatori
Dante e il suo poema, affresco di Domenico di Michelino nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze (1465)

Peraltro, la finta buona causa di Bruto e Cassio non convinse Dante, che mise i due traditori a far compagnia a Giuda nelle fauci stritolanti di Lucifero, laggiù in fondo all’imbuto gelido dell’Inferno. Ed aveva tutte le ragioni. E c’è il tradimento abietto per meri scopi di potere personale come in Macbeth; mentre Iago è il traditore che si pasce nella mera voluttà del tradire.

C’è anche il tradimento per gioco (con tragici risvolti) del burlador Don Giovanni. Il più “divertente” è il capitolo mozartiano del Don Giovanni e di Così fan tutte. Certo, chi ha il cuore spaccato per un tradimento subito, difficilmente giustificherà Don Giovanni, che tradisce le sue vittime per “troppo amore”, e non ne apprezzerà la rigorosa coerenza che lo induce a infilare senza tentennamenti la porta dell’inferno cantando con Mozart «No ch’io non mi pento!».

Mozart e i sensi di colpa

Anche se qui il traditore per troppo amore, come si giustificava Don Giovanni fa una brutta fine, autodistruggendosi per i sensi di colpa mai espressi, spedito all’inferno suo luogo consono, e anche un pochettino per il karma. Che non guasta mai.
Non poteva mancare un capitolo “teologico” su Giuda, ma qui ci atteniamo al “tradimento” in politica, che si analizza attraverso Dante, Machiavelli e Simone Weil.

«Weil e Dante in nome di un cristianesimo qui sì davvero agostiniano rifiutano la politica della città terrena: Dante, però, rispondeva alla crisi del suo tempo con la sua politica cosmoteologica; dopotutto, un sommo rege poteva ancora venire a rinverdire i fasti di Cesare; e se anche quest’ultimo reggitore avesse fatto ricorso alla “paura”, poco male se la Provvidenza avesse giustificato tale modus operandi».

Weil e la ripugnanza

Simone Weil, invece, «esibisce la sua ripugnanza per la politica; e lo fa dopo ed entro Machiavelli, convinto sostanzialmente della veridicità del ritratto machiavelliano del tradimento come pratica abituale dei machiavellici politici di professione». Ecco di questi machiavellici traditori di professione che ne fanno una pratica abituale ne vediamo tutti i giorni a decine nella politica quotidiana.

Probabilmente sono la peggiore specie perché ne fanno un argomento di lucro non di ideale. Particolare non trascurabile, a dispetto dell’iconografia che vuole il traditore certamente viscido e mellifluo, tradire richiede una certa dose di incoscienza. Sempre che, beninteso, si tratti di alto tradimento, dove “alto” non sta per “grave” ma ne definisce il livello.

La messa a fuoco di Giuda

Giuda, Don Giovanni, Baruch Spinoza (la cui interpretazione delle sacre scritture gli guadagnò l’accusa di eresia e tradimento) non agiscono nell’ombra ma, come scrive Giorello, «definiscono il corso delle loro azioni non nel vuoto dell’indifferenza ma nella messa a fuoco delle loro responsabilità nei confronti dei codici umani e persino della legge di Dio».

E aggiunge: “Il traditore deve essere un incosciente: per quanto siano subdole le sue azioni, infami i suoi scopi, deve avere almeno l’audacia di tradire – tutto e tutti, comprese le sue più radicate convinzioni: solo a questo prezzo diventa davvero l’angelo (cioè il messaggero) della libertà malata del soggetto.

“Traditori di talento”

Ecco costoro che si definiscono “Traditori di talento” che passano sopra a tutto e tutti per vanagloria e avidità sono quanto di peggio esprima la politica attuale. Ma anche per loro prima o poi si schiudono le porte della caduta, dell’inciampo, dell’insuccesso. Spesso quando meno se lo aspettano. A volte nei momenti che credono di maggiore potere. Perché nella storia è sempre successo così.

Il potere per sua natura è transitorio. Il potere ottenuto col tradimento immeritatamente svanisce così come è arrivato. E ci riduce come nella storia ad essere dei laidi Bruto e Cassio. E non servirà come giustificazione il mozartiano “così fan tutte”, ovviamente intendo l’opera non il film di Tinto Brass, perché l’epilogo sarà lo stesso.

Altri tempi

Negazione di San Pietro (Caravaggio, 1609-1610) New York, Metropolitan Museum of Art

O come il Dongiovanni traditore “per troppo amore”. La giustificazione di tutti coloro che non hanno nemmeno il coraggio di rivelare a se stessi la propria luciferina debolezza e continuano ad autogiustificarsi e a fare le vittime.
Tutte opere divertenti piacevoli illuminanti. Anche modernizzate.

Altri tempi, altri tradimenti, altri strumenti. Oggi, digitando su Google la parola “tradimento” si capita per primo sul portale dell’infedeltà: “Informazioni, news sul tradimento, e forum per traditi e traditori” e, poco più sotto, su “Incontri extraconiugali – Primo sito di incontri dedicato alle persone sposate”. Tutti moderni Dongiovanni eh, poi si lamentano.

Le differenze tra passato presente

Avete capito quindi a questo punto la differenza di livello tra le raffinatezze anche nei tradimenti del passato e le pochezze delle prestazioni del presente. Considerazione che mi fa dire ironicamente in chiusura: per il libretto dell’opera non sembrano esserci problemi a scriverlo, purtroppo è un Mozart che manca. Sono i Mozart che mancano.

Io poi che a questi temi sono particolarmente affezionato perché nato il 13 di luglio lo stesso giorno di Giulio Cesare e ne ho sempre amato la figura, conosco bene le vicende del tradimento in politica, ma a differenza di Cesare da millenni destinato a gloria imperitura io, cicatrici da coltellate a parte, sono ancora vivo ed in ottima forma. E questo mi da la possibilità, quando voglio, di recuperare.

Perché Cesare è Cesare e Bruto è Bruto. Se poi non avete la possibilità di essere nessuno dei due tra essere un Giuda ed essere un Dongiovanni scegliete sempre la seconda. Finirete sempre all’inferno ma almeno vi sarete divertiti.

Quoque tu, fagianus.