L’eristica dei sessi e la calma olimpica.

Le polemiche della settimana appena trascorsa sul genere di una pugilessa. Arrivano addirittura nel dibatti presidenziale Usa. Dimenticando la guerra in Ucraina, i missili tra Teheran e Geruslemme, l'equilibrio sempre più in bilico. La riscoperta dell'eristica

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Ricordate il dialogo di Platone chiamato “Menone” in cui viene esposto il paradosso della ricerca e della conoscenza. Menone che interloquiva nel dialogo con Socrate espone un argomento di matrice eristica, ossia un argomento che ha lo scopo di prevalere sull’avversario, sostenendo che la ricerca non è possibile laddove si ignori completamente l’oggetto della ricerca, in quanto anche se incontrassimo tale oggetto non saremmo in grado di riconoscerlo.

Ecco, fatte le debite proporzioni filosofiche, è quello che ho pensato io assistendo al pervicace dibattito di questa settimana sul genere sessuale della pugile Algerina Imane Khelif che si contrapponeva in un incontro poi durato pochi secondi con l’italiana Angela Carini.

A prescindere dai dubbi sul reale sesso dell’algerina, dalla presenza di cromosomi XY che sono quelli che contraddistinguono il genere maschile, e dall’aspetto tutt’altro che femminile della pugilessa olimpica sappiamo solo che la federazione mondiale di boxe l’ha esclusa mentre il Cio il Comitato Olimpico l’ha ammessa. Null’altro è stato chiarito dal Comitato.

Spirito eristico

Imane Khelif (Foto: Ansa)

Ecco è fantastico che a fronte di così poche e frammentarie notizie tutto il mondo e dico tutto il mondo si sia cimentato, proprio con spirito eristico, ad elaborare le più fantasiose e straordinarie teorie facendole diventare certezze da sostenere fino alla morte.

Chi scommetteva che fosse maschio, chi si era operata, chi fosse nata donna ma producesse ormoni maschili, chi fosse transessuale qualcuno ha anche giurato di averla vista mettersi a posto il pacco dopo l’incontro. Una ridda di argomentazioni tanto fantasiose quanto basate sul nulla, su un argomento di cui fino a poco prima non si sapeva un bel niente ignorando completamente anche l’esistenza del caso. Eppure tutti con la verità in tasca e pronti a combattere per affermarla.

Il trionfo dell’eristica appunto. Arte del disputare (in greco ἐριστική τέχνη) attraverso schermaglie dialettiche volte a far prevalere la propria tesi, indipendentemente dal suo contenuto di verità. Ogni volta mi stupisco di quanto sia attuale la filosofia, quella greca in particolare.

Ma non basta. È bastato qualche intervento politico come ad esempio quello di Giorgia Meloni o addirittura di Donald Trump a farlo diventare un caso internazionale. Dove la destra schierata contro la filosofia woke e gender urlava a gran voce che non era giusto che un uomo di fatto, così sostenevano, combattesse contro una donna in evidente svantaggio fisico. Con la sinistra invece a rintuzzare con le teorie sul genere in cui affermavano con certezza che sentendosi donna era completamente legittimata a combattere con le donne non importa se avesse livelli di testosterone maschili e cromosomi XY.

Miracoli dell’eristica

La versione olimpica dell’Ultima Cena

A via giù con i meme, da una parte la donzella brutalizzata da un uomo mascherato, dall’altra i gretti e retrivi conservatori che non si aprono all’idea che il genere è quello che uno sceglie non quello con cui uno è nato. E tutti quelli che non ne sapevano niente si sono istantaneamente schierati dalla parte politica per cui tenevano prima senza neanche domandarsi da che parte fosse la ragione o farsi dei dubbi.

La Meloni e Trump sostengono la pugile italiana? Allora Imane Khelif è la nostra nuova beniamina dichiarano a sinistra e la difenderemo fino alla fine. Anche andando a favore di un’algerina contro un italiana. Miracoli dell’eristica. In cui la capacità di prevalere come dicevamo conta molto di più della ragione.

In fondo questa è l’olimpiade delle polemiche partite dalla manifestazione inaugurale e mai sopite anzi rinvigorite ogni giorno da nuovi casi. (Leggi qui: Vanitas vanitatum et olimpic vanitas).

Polemos la parola greca da cui deriva polemica in realtà significa guerra. Letteralmente guerra. E che queste siano le olimpiadi di polemos non riguarda solo la dialettica quotidiana ma anche il suo significato più profondo. Sono olimpiadi in cui forse per la prima volta nella storia non si è fermata alcuna guerra. Anzi come in questi giorni nuovi focolai mettono a rischio il quadro internazionale come non mai.

La calma olimpica

Avrete usato mille volte l’espressione “calma olimpica” che cito nel titolo. Nell’accezione tradizionale intendeva la tregua olimpica. Cioè il blocco di tutte le ostilità durante i giochi. La tregua olimpica ha quasi tremila anni, e un po’ come i Giochi Olimpici è stata per lungo tempo dimenticata prima di essere ristabilita in tempi recenti.

La prima tregua olimpica, Ekecheiria dal nome della personificazione della cessazione delle ostilità nella mitologia greca, viene siglata nel 776 a.C. da Ifitos re dell’Elide, Cleostene re di Pisa e Licurgo di re Sparta per permettere lo svolgimento dei Giochi tra città spesso in guerra tra loro. Negli anni seguenti il trattato viene adottato da altre città: il santuario di Olimpia e la regione dell’Elide ottengono un’immunità di fatto che permette ad atleti e spettatori di raggiungere Olimpia e partecipare ai Giochi senza dover temere per la propria sicurezza. Nelle settimane precedenti i Giochi, gli Spondophoroi partono dall’Elide con una corona di olivo in testa e il caduceo (il bastone alato di Hermes) per annunciare l’inizio della tregua.

Ma all’epoca era sacra, veniva rispettata. Oggi di quella calma olimpica non rimane nulla. Mentre in Ucraina incessantemente urlano i cannoni, Israele bombarda in Iran uccidendo uno dei capi di Hamas. Una situazione tesissima a rischio fortissimo di escalation immediata. E di fronte a tutto questo l’attenzione di tutto il mondo è nel dibattito se una pugilessa algerina abbia o no gli attributi. Un po’come il dito e la luna. Quando il saggio indica la luna lo sciocco guarda il dito.

Nel dibattito presidenziale

La vice presidente Kamala Harris (Foto © Gage Skidmore)

Una questione di transizione direbbero gli esperti di gender. E se non bastava che se ne parlasse al bar dello sport  in Italia, è diventata argomento anche del dibattito ad esempio dei candidati presidenti Usa. L’algerina islamica, dalla pelle ambrata, gender fluid, viene difesa dalla candidata presidente Democrat Kamala Harris e dai progressisti. Mentre l’italiana cristiana, eterosessuale, che ringrazia per prima la famiglia, viene lodata da Trump.

E proprio sull’argomento transizione si è vissuto un acceso dibattito dove Trump sulla scia del caso Carini ha ribadito che se diventasse presidente si opporrebbe alla teoria gender e la vieterebbe nelle scuole americane. Ma la parola transizione Trump l’ha usata anche nel dibattito più infuocato della settimana dove ospite del convegno delle giornaliste americane di colore è stato sotto posto ad un fuoco di fila senza precedenti. Nel rispondere ad una domanda che lo accusava di non avere le carte in regola per ottenere il voto degli afro americani Trump ha sganciato la bomba usando proprio la parola transizione. Non a caso.

Conosco da anni la Harris ha detto ed è sempre stata fiera di essere indiana (i genitori della Harris sono Giamaicano il padre e Indiana la madre) da quando, si è chiesto, è avvenuta questa transizione in cui è diventata afro americana? Accusando di fatto la Harris di barare sulle sue origini per motivi di consenso.

Siamo ciò che ci sentiamo

Donald Trump

E da li apriti cielo mentre lui continuava si sentiva in sottofondo l’intervistatrice che urlava “lei si identifica da sempre come afro americana”. Ecco tornare il tema della identificazione che insieme a quello della transizione sembrano le due parole preferite dai democratici di oggi.

Non l’avessero mai fatto, anche qui, come per il sesso della pugilessa, le due squadre DestraSinistra si sono schierate per schemi contrapposti. L’ala democratica a rivendicare che ha la pelle scura e si può identificare a suo piacimento in una donna di colore. Quella repubblicana tirando fuori milioni di video e foto della famiglia indiana tradizionale della Harris immortalata con il Bindi, quel punto rosso che gli indiani si dipingono al centro della fronte che simboleggia la riattivazione delle nostra energia interiore. E i video dove lei rivendicava con orgoglio di essere la prima eletta indiana al senato e poi la prima vicepresidente del sud est asiatico. Parole sue.

Ma anche qui il dito e la luna perché mentre si dibatteva molto modernamente di transizioni e riconoscimenti è intercorso un avvenimento che ci ha riportato nel pieno della guerra fredda. Lo scambio di prigionieri tra Usa ed Urss. Ah no scusate Russia ero rimasto agli anni Ottanta.

Se qualcuno di voi ha mai visto la serie Americans che racconta della vita di una famiglia russa ma trapiantata negli Usa come spie, sa di cosa parlo.

Tra Ucraina e Palestina ecco lo scambio

Frame dal film ‘Il Ponte delle Spie’ © DreamWorks / LLC / Twentieth Century Fox

Così nel pieno della guerra ucraina e del conflitto palestinese con i rapporti ridotti ai minimi termini le due superpotenze si accordano per uno scambio di prigionieri. Un avvenimento molto particolare che si spiega solo con l’importanza specifica di alcuni soggetti forse molto più importanti di quanto ci raccontano le note ufficiali.

Tra i passeggeri del volo che li ha portati ad Ankara dove è avvenuto lo scambio anche Sophie e Daniel 11 e 9 anni. I genitori accusati di essere spie furono arrestati in Slovenia. Ufficialmente la madre è una gallerista greco argentina ed il padre austriaco argentino è titolare di un’azienda informatica. Fino a quel giorno la loro vita era tranquilla e spensierata. Solo ieri imbarcati senza preavviso su un volo in direzione Ankara e poi su un altro in direzione Mosca hanno capito che tutto quello che finora sapevano della loro vita era falso e che i genitori Artem Dultsev e Anna Dulteseva erano in realtà due spie dei servizi segreti russi.

I due bambini hanno scoperto di essere russi solo quando hanno trovato ad accoglierli a mosca Vladimir Putin. Un dejavu per chi ha visto The Americans che in fondo è ispirata a fatti veri. Ma quella era l’epoca della guerra fredda, della cortina di ferro. Eppure la storia si ripete sempre uguale a se stessa.

La differenza con il passato

La differenza con il passato è che mentre prima ogni blocco contrapposto voleva convincere di essere nel giusto e lo scontro culturale era totalizzante oggi funziona ancora tutto nello stesso modo ma il popolo non è coinvolto. Tutto si svolge nei canali dovuti mentre il resto del mondo discetta sul sesso dei pugili o sulla transizione che sia cromosomica o del colore.

Mentre tutti discutono del tema del giorno in genere rinfocolato apposta dai media compiacenti le vere decisioni vengono prese altrove. Una sorta di distrazione di massa mascherata dalla futilità degli argomenti. Temi così bassi ed alla portata di tutti da risultare accessibili al dibattito per chiunque.

Il resto lo fa l’eristica la connaturata capacità dell’uomo da millenni di accanirsi su qualsiasi argomento al solo fine di avere ragione. È talmente potente che fa passare di mente le guerre e la calma olimpica.

D’altronde aveva ragione, come sempre Orwell che in 1984 scriveva: “Calcio, birra e soprattutto il gioco d’azzardo riempiono l’orizzonte delle loro menti. Tenerli sotto controllo non è stato difficile“.

E come diceva Renzo Arbore nella nota pubblicità della birra: meditate gente, meditate.