Mussolini col nasone e “the House of Fasci”

La nuova serie tv di Sky sulla vita del duce lascia tanti dubbi sotto tutti i punti di vista come sottolineato dallo storico Giordano Bruno Guerri. La sensazione è che l'obiettivo sia quello d'indebolire Giorgia Meloni e l'esecutivo

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Errori storici, strafalcioni su Benito Mussolini e, come se non bastasse, uso strumentale dell’immaginario fascista da scagliare contro gli odierni avversari politici. La nuova serie tv M. il figlio del secolo, che l’altro ieri ha esordito con i primi due episodi su Sky, è tutto questo ma non solo.

Intanto Mussolini ha il nasone. La nasca di Luca Marinelli l’attore scelto per interpretarlo. Una volta si sceglievano gli attori per la somiglianza con il personaggio adesso no. Dicono col trucco facciano miracoli e quindi prendono soggetti che nulla assomigliano ai protagonisti da interpretare e li adattano al ruolo. Lo stesso fecero con Toni Servillo un altro con una nasca notevole, quando interpretò Berlusconi nel film di Sorrentino. Terribile.

Mussolini? No, “The Penguin”

Bracardi nei panni del gerarca Ermanno Catenacci

Il risultato è che Marinelli più che al duce assomiglia a The Penguin il personaggio di un fortunato serial uscito quest’anno sul celeberrimo avversario di Batman. Ma per chi lo ha visto anche Il figlio del secolo ha le stesse atmosfere torbide buie ed inquietanti di Gotham city. La dizione poi se non fosse per il nasone sarebbe il punto forte. Un mezzo romagnolo stentato che sembra più una parodia comica che uno sforzo attoriale serio. Marinelli sembra più Ermanno Catenacci il noto gerarca fascista impersonato da Giorgio Bracardi. Quello che urlava “quando c’era il Duccce i treni arrivavano in orario!” negli sketch di Alto Gradimento degli anni Settanta.

Forse adesso capiamo perché nelle interviste di presentazione per settimane Luca Marinelli ci aveva ammorbato col fatto che per lui, antifascista e di famiglia antifascista, interpretare Mussolini sia stata una sofferenza enorme. Ed il racconto accorato di come lo abbia dovuto dire tentennante alla nonna antifascista, il suo tormento morale neanche fosse il giovane Werther, i dubbi esistenziali.
Tutto poi svanito al pagamento del cachet che ha dissolto tutti i dubbi del buon Marinelli inaugurando un nuovo filone denominato “antifascismo prezzolato”. Soffro ma per soldi si fa tutto.

Dubbi ed incognite sulle riuscita della serie

Giordano Bruno Guerri (Foto: Paolo Gargini © Imagoeconomica)

Ma al di la della grottesca interpretazione dei personaggi il risultato è davvero pieno di dubbi ed incognite. A ribadirlo, ad esempio, ci pensa lo storico e noto studioso del Ventennio mussoliniano Giordano Bruno Guerri. Il saggista, come un professore alle prese con una classe di mascalzoni, prende la penna rossa e ripercorre in tono polemico i primi due episodi della serie che vede l’attore Luca Marinelli nei panni del Duce.

“L’immagine del Figlio del Secolo venuta fuori nell’ultima serie, anche se ben fatta dal punto di vista cinematografico, non è credibile. È una lettura politica, di parte. Non giova all’antifascismo e non offre una lettura completa della nostra storia”, il saggista noto per i suoi studi del periodo fascista smonta in piccoli pezzi la narrazione che la serie vuole far passare al grande pubblico.

Ma l’unico vero e grande obiettivo rimane quello di indebolire politicamente la premier Giorgia Meloni e l’esecutivo che presiede. Insomma, prendere l’ossessione fascismo della sinistra e usarla come clava anti-governativa. “Si riparla molto di Mussolini da quando Meloni è al governo. Il pericolo fascista viene usato a scopo politico, sovrapponendo l’immagine del duce a quella della premier”.

Errori storici a volontà

Da qui passa in rassegna tutti gli “strafalcioni storici” che ha notato nella prima parte della serie. “Il protagonista riceve una lettera di d’Annunzio con la calligrafia Mussolini. La scena, poi, del samurai è ridicola. D’Annunzio tra i suoi uomini aveva un giapponese, ma era un quieto docente dell’Università di Napoli”, spiega Bruno Guerri quella che lui stesso definisce una “forzatura”.

Poi, in un commento sul Fatto Quotidiano, lo studioso riprende un “gruzzolo” di altri errori storici. Dal Duce che parla di “paradisi fiscali”, una parola che “non esisteva all’epoca”, fino a Benito pilota d’aereo “che imparerà a guidare solo anni dopo”, passando per alcune scene che ricordano “sagacemente Putin”. Insomma una serie di errori e forzature dovute al progetto ambizioso e imbarazzante di fare una serie antifascista parlando del Duce.

Perché diciamoci la verità nessuno riesce bene a spiegarselo ma la storia di Mussolini e del fascismo è sempre tra le più viste in tv e vendute nei libri. Dunque ha un pubblico corposo, ma fare serie che rischino di essere celebrative di una delle figure più amata ed odiata del secolo è rischioso, quasi apologetico. Un tema molto di moda ultimamente.

Una storia che fa sempre audience

Dunque nasce questo ircocervo culturale nel quale si parla di Mussolini ma non se ne parla bene. E soprattutto ricordatevi ne parlo da antifascista e soffro. Ed infatti vengono fuori delle opere che come questa serie sembrano parodie. Ma pecunia non olet.

Antonio Scurati (Foto: Ermes Beltrami © Imagoeconomica)

Il libro da cui è tratta la serie infatti è di Antonio Scurati. Che si comporta da bravo allievo di Saviano che sulla saga di Gomorra ci campa per le prossime generazioni esaltando la delinquenza napoletana fino a farla diventare un mito. Poi seguito da Romanzo criminale e la Banda della Magliana.

Scurati, l’autore, avete presente quello con la faccia uguale al Duca Conte Semenzara. Quello che portò Fantozzi al casinò come amuleto e lo costrinse a tenergli la mano sotto il sedere e bere una cassa di acqua Perrier. Si proprio quello. Scurati si presenta in tv con quella nobile pappagorgia a declamare quanto detesti il fascismo e quanto si senta minacciato dai suoi epigoni oggi al governo.
Nel frattempo però ha solo scritto libri su Mussolini. E con questi ci si è fatto una lauta pensione che oggi rimpingua coi diritti sulla serie tv. L’antifascismo prezzolato dicevamo.

E la sinistra gongola

Frame dalla serie “M Il Figlio del Secolo”

Ebbene, come prevedibile a sinistra c’è chi osanna l’operazione, soprattutto per la prima scena che rivela l’obiettivo molto politico di creare un collegamento con l’attualità: “Mi avete amato follemente (…) poi mi avete odiato follemente perché mi amavate ancora. Mi avete ridicolizzato. Scempiato i miei resti (…). Ma ditemi a che cosa è servito. Guardatevi intorno. Siamo ancora tra voi”, dice shakespearianamente il duce Marinelli parlando in camera in stile House of cards.

La “quarta parete” la chiamano i cultori della cinematografia. Quella immaginaria di quando l’attore si gira verso la camera e parla direttamente col pubblico. Ed è uno dei lati più deboli della serie perché attraverso questo stratagemma dialettico fanno dire a Mussolini castronerie che in vita sua non aveva mai pronunciato. Come in una sorta di transfert antifascista che cerca di demolire il personaggio dal suo interno.

Non riuscendoci però perché la narrazione risulta goffa e grottesca. In primis perché si parla di un personaggio che dal nulla è riuscito a creare un Partito ed andare al governo per venti anni fino a finire in una dittatura. Auto descriverlo come una mammoletta insicura ridicolizza il tutto.

E non ha aiutato la regia di Joe Wright un altro regista sinistrorso ma inglese. Come se in Italia non ne avessimo abbastanza. Che ha reso ancora più macchiettistica la storia.

Un circo barnum

Ma non è solo Mussolini. D’Annunzio è un idiota vanitoso, Marinetti un deficiente ripetitivo ossessivo, la Sarfatti una peripatetica arrivista, donna Rachele una sguattera sottomessa. Più che la fucina di idee e ideologie più prolifica del secolo scorso sembra il circo barnum. Un’impostazione ipocrita che distrugge ogni fascino alla narrazione.

Cosa che non ha stupito me che ci ho messo mesi a riprendermi dalla narcolessia dopo aver letto il libro di Scurati. Che tengo in libreria solo per quella M bellissima in copertina. Forse tra tanti leccaculismi artificiosi la recensione più azzeccata che ho letto diceva così: “House of Fasci per intrappolare il pubblico nella morsa di un drama sia storico che contemporaneo”.

E rivela tutto quello che giace dietro questa produzione. Il suo animo commerciale. La versione del ventennio di house of card. Per questo non resterà affatto nella storia. Eppure è un peccato perché con le risorse impegnate con gli sforzi fatti poteva uscire un lavoro migliore ma il condizionamento ideologico ha segnato in nuce la vita di questa opera riducendola ed un operazione parapolitica finto accattivante.

Ed è bellissimo leggere tra moltissime recensioni negative quelle entusiastiche degli antifascisti militanti che sono felici che si sia fatta una serie per parlare male di Mussolini. E sai che novità. Dal dopoguerra in poi si è fatto solo quello. Solo che c’è chi lo ha fatto con qualità e chi no.

La colonna sonora completa il quadro

La musica, infine: la scelta di Tom Rowlands, papà dei The Chemical Brothers, è già di per sé la risposta migliore a chi si stesse ancora chiedendo quale sia il tono della serie. Le musiche da lui composte, nel pieno rispetto dello stile elettronico che lo ha reso famoso, danno l’ascesa del fascismo un ritmo asfissiante, da cui è impossibile scappare. Torna, anche in questo caso, il senso di trappola in cui il pubblico si ritrova e che rende ancora più chiare le intenzioni del progetto.

Indubbiamente la scelta del linguaggio da usare per raccontare questa serie deve essere stata al centro di grandi discussioni in quel di Sky. Infine, la scelta è caduta sulla rappresentazione di un Mussolini che, come detto, mostra una sua debolezza iniziale e poi sferra la sua forza malvagia e strategica rivelandone la natura. Almeno nelle loro intenzioni.

Il rischio era quello di far diventare la serie troppo piena di sé, autocelebrativa. Il rischio è stato tentato di evitarlo adottando la misura costante in tutti gli episodi dell’abbattimento della quarta parete, con il protagonista che a più riprese guarda in camera, parla con il pubblico, gli presenta i personaggi e anticipa le loro e le sue mosse. Ma proprio questo risulta stucchevole e ripetitivo.

Il duce come Frank Underwood

Frank Underwood

Il Mussolini di M. Il figlio del secolo è descritto, insomma, come Frank Underwood il protagonista di house of cards: due figure che cercano di non annaspare, disperatamente in cerca di un riscatto e di una conferma delle proprie convinzioni e così nutrite dal dubbio che hanno bisogno di illustrare ogni propria mossa per dare ad esse un senso.

Da qui, la necessità di parlare con qualcuno fuori dalla narrazione, di cercare oltre la messa in scena un appiglio. Mussolini parla a un pubblico che non gli può rispondere, in un dialogo senza contraddittorio che fa da ponte tra l’allora e l’oggi. E che da House of Cards ci porta dentro House of Fasci.

Benito Mussolini

Insomma tutto quello che è stato fatto per non mitizzare la figura di Mussolini rischia di finire nell’esatto contrario perché se l’ascoltatore lo troverà affascinante anche dopo questo fuoco di fila il problema di sempre si pone. Quello di una sinistra che indica nel Duce il male assoluto ma poi ne subisce a un secolo di distanza ancora il fascino sentendo il bisogno di renderlo protagonista anche nel presente. Producendo serie milionarie. Si ma sempre con un ottica antifascista eh. Se lo dite voi.

Indicativa la frase che il Mussolini autoreferenziale ripete più spesso nel libro e nel film.: “È inutile, non c’è niente da fare, io sono come le bestie: sento il tempo che viene”. Ed a giudicare da questa serie quel tempo non è ancora finito.
“Mi avete amato follemente, poi mi avete odiato follemente perché mi amavate ancora. Mi avete ridicolizzato. Scempiato i miei resti. Ma ditemi a che cosa è servito. Guardatevi intorno. Siamo ancora tra voi”.