Quella str… aordinaria comunicatrice della Meloni

I colpi di sciabola tra Meloni e De Luca. Dietro c'è un capolavoro di tecnica della Comunicazione: si chiama co-optation. Una piccola carrellata degli insulti più celebri. Anche quelli della I Repubblica. Ma attenti: chi di stronzo ferisce...

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

L’insulto è un genere al quale tutti noi, anche le nature più impassibili, finiamo prima o poi per ricorrere, trascinati da inevitabili circostanze della vita. Ma, al pari della scherma o di qualsiasi altra tecnica di attacco e difesa, l’insulto, per risultare efficace e raggiungere il suo scopo, deve diventare oggetto di studio.

Benché di solito lo si associ alla rozzezza e alla collericità, saper lanciare all’indirizzo altrui l’ingiuria, l’invettiva o l’improperio adatti, scientificamente studiati, implica infatti una vera e propria arte.

L’arte dell’insulto

Lo sapeva bene Schopenhauer che scrisse “L’arte dell’insulto” proprio per non lasciare nulla al caso, all’improvvisazione. Non una trattazione astratta dell’insulto in tutte le sue forme e varianti, ma una silloge di ingiurie concretamente proferite e scagliate con categorica impertinenza contro tutto e contro tutti: la società, il popolo, le istituzioni, le donne, l’amore, il sesso, il matrimonio, i colleghi, il genere umano, la storia, la vita – insomma: contro il mondo intero.

Esse si imprimono nella nostra mente con la forza del paradigma da emulare non appena la vita ce ne offrirà l’occasione. Un’arte di insultare, dunque, che oggi ci viene insegnata come nelle antiche scuole si insegnava l’etica: non con la teoria ma con l’esempio e la pratica.

La pratica appunto, mai settimana politica fu più prolifica di questa appena trascorsa per comprendere appieno l’arte dell’insulto.

Difatti in barba ad ogni dettame del politicamente corretto questa è stata la settimana in cui hanno troneggiato il saluto della Presidente del Consiglio al governatore De Luca: “piacere quella stronza della Meloni”. E con un uguale clamore quel “c’è troppa frociaggine nei seminari” ancora più inaspettatamente pronunciato da Papa Francesco.

Sfida tra titani

Uno dei meme sulla frase di papa Francesco

Papa Francesco ha subito minimizzato scusandosi, ma ciò non ha impedito che la settimana si svolgesse tra meme, video e post ironici su tutti i social che spaziavano con adattamenti che andavano da Lino Banfi che cantava “benvenuti a sti frocioni”, fino alla canzone di Checco Zalone sugli “uomini sessuali” o la scena con lo zio sul lungomare apostrofati come “recchioni” da un passante in motorino. Roba da fare impallidire il povero Zan la cui legge se fosse stata approvata ci avrebbe privato di cotanta meraviglia dialettica. E diciamolo di un sacco di divertimento.

Ma la vera disfida è stata quella Meloni, De Luca. Due campioni della dialettica politica d’attacco. Partì tutto da un fuori onda carpito al governatore campano che, adagiato sui divanetti del Transatlantico, dopo che aveva condotto in giro per Roma decine di sindaci campani per protestare contro il Governo, si lascio scappare un sonoro “stronza” riferito alla gentile Presidente del Consiglio. Un momento privato ma subito diventato pubblico e virale.

La presidente che evidentemente per quattro lunghi mesi aveva covato rancore e risentimento alla prima occasione non si è tenuta il cecio in bocca. Ed intervenendo ad una pubblica manifestazione per una riuscita iniziativa a Caivano, arrivando, ha testualmente detto a Vincenzo De Luca stringendogli la mano e guardandolo fisso negli occhi: “piacere quella stronza della Meloni”. De Luca che non se lo aspettava è rimasto semi muto e gli astanti erano evidentemente sospesi tra lo stupito ed il divertito.

Il confronto surreale

Non è certo usuale che un capo di stato in occasione di una cerimonia ufficiale esordisca con un saluto così volgare e polemico. Questo ha scatenato ovviamente reazioni contrapposte tra chi ne lodava l’intraprendenza con il solito forza Giorgia e chi ne sottolineava l’inopportunità. De Luca stesso, basito, ha partorito una risposta al curaro solo il giorno dopo, in cui diceva di non averla sentita al momento pronunciare quelle parole ma che era felice che la presidente avesse rivelato “la sua nuova e vera identità”. (Leggi qui i due punti di vista. Qui: Top e Flop, i protagonisti di mercoledì 29 maggio 2024. E qui: Top e Flop, i protagonisti di giovedì 30 maggio 2024).

La Meloni di tutta risposta alle critiche ribatteva che era vittima di sessismo e misoginia e tutto un armamentario simil femminista e che era nel diritto di reagire all’insulto subito. Tutto molto surreale, sospeso tra il buono ed il cattivo gusto.

Ma fuori dalla dimensione ludico polemica è stato un episodio che mi permette di sviluppare con voi un piccolo ragionamento che volevo proporre da tempo e che non trova migliore occasione di questa. Vi parlerò di un esercizio dialettico in cui la Meloni eccelle ed è addirittura azzarderei maestra incontrastata.

Insuperabile Giorgia

Giorgia Meloni

Cosa fa in questa occasione la Meloni. Non insulta direttamente De Luca. Lo stronzo non è per lui. Almeno non direttamente. È una sorta di sarcastica autodefinizione ma certamente riferita all’insulto iniziale di De luca. Del quale lei si appropria ed usa come arma di risposta. È una specie di ribaltamento prospettico dove lo stesso insulto ricevuto viene riutilizzato e ribaltato contro chi lo ha pronunciato

È una tecnica che in lingua inglese chiamano Co-Optation e la Meloni ne è maestra assoluta ed incontrastata. È quella tecnica comunicativa che consiste nell’appropriarsi di parole ed espressioni che appartengono ad un altro contesto ma utilizzarle a proprio favore ribaltandone la prospettiva.

Avete visto il video di qualche giorno fa dove lei stessa parla, presentando la sua rubrica di appunti,  di “Telemeloni”, espressione dispregiativamente usata dall’opposizione per sottolineare un forzato dominio comunicativo. La Meloni se ne appropria di quella parola e la “risignifica”. Così ha fatto anche ad esempio pubblicando il discorso di Scurati. Se ne appropria lo ricontestualizza e governa a suo vantaggio quelle stesse parole. (Leggi qui: Da Capri parte il peana dell’occidente. Aspettando il 25 aprile).

Ma gli esempi sono decine. La chiamano pesciarola, lavannara, carciofara? Lei se ne appropria li utilizza ed enfatizza la sua appartenenza popolare con orgoglio.

Il rovescio della Co Optation

Giorgia Meloni

In questo processo di Co-Optation ogni elemento è curato nel minimo dettaglio anche se a noi sembrano espressioni spontanee veraci popolari.

Per concludere il ragionamento questa appropriazione lessicale da parte della Meloni le permette di governare meglio la narrazione pubblica che la riguarda. Le permette di erodere giorno per giorno le porzioni di vocabolario utilizzabili dalle opposizioni per attaccarla.

Sono certo avrete compreso perfettamente il ragionamento e le implicazioni immediate che ne derivano. Infatti questa grande capacità mediatica della presidente è evidentemente il motivo principale che la tiene ancora in una buona posizione con il pubblico in queste elezioni europee dove spera di mantenere se non aumentare il consenso. Funziona. Per ora.

Ma tutto ha un rovescio della medaglia. Ovvero non si potrà all’infinito far reggere una compagine politica solo sulla capacità dialettica e comunicativa della propria leader.

Prima o poi ci si dovrà confrontare sui temi. E come abbiamo già scritto, tranne gli inviti costanti ed apodittici al voto, di temi veri in questa campagna elettorale ne abbiamo ascoltati pochi. Il fatto che un episodio tutto sommato simpatico ma ininfluente come lo scambio Meloni De Luca da giorni monopolizzi il dibattito politico ne è la prova più cristallina. Al fine della scelta degli elettori sui grandi temi infatti conta zero. (Leggi qui: In fuga dal confronto ed anche da Alcatraz).

Quel furbacchione di Vannacci

Ed anche se è vero che oggi si vive nella politica spettacolo, prima o poi, i contenuti dovranno tornare alla ribalta. E non parlare di temi importanti per l’Europa è un danno, perché almeno per l’ottanta per cento delle leggi italiane le decisioni europee tracciano nettamente la strada da seguire.

Forse l’unico caratterizzato da qualche tema specifico, anche se spesso divisivo, è il solo Vannacci. Un altro furbacchione della comunicazione. Spara un colpo che già sa che creerà polemica e tutti li a lodarlo o criticarlo. Con una capacità di monopolizzare il dibattito invidiabile. Bene o male purché se ne parli diceva Andreotti. Il tutto con la complicità di una sinistra che ormai va solo a rimorchio sui temi altrui.

Lo avete visto il video in cui il generale invitando al voto invece di dire fate una croce sul simbolo dice “fate una decima” intendendo il numero romano che si scriveva come una X. Ma richiamando neanche tanto velatamente l’assonanza con la Decima Mas. E giù un dibattito interminabile con la sinistra che leva gli scudi con l’unico effetto di enfatizzare e pubblicizzare le parole del militare candidato.

Prestando il fianco ed ulteriori pubblicizzazioni. Simpatica per esempio quella di Francesco Storace che in un video fingendo di chiamare il generale per parlargli delle critiche ricevute, nella telefonata inserisce solo apprezzamenti ed un invito al voto ed alle manifestazioni in programma. Segno che ha capito tutto di come funziona, ma che fosse anche lui un grande comunicatore già lo sapevamo.

Il ribaltamento dell’insulto

Bruno Magliocchetti con Giorgio Almirante

Dunque non solo l’insulto come arma politica ma oggi anche il ribaltamento dell’insulto come arma ancora più efficace. Un cambio prospettico rilevante. Tanto, lo sappiamo, la nostra scena politica è stata sempre piena di insulti e contumelie.

La parola stronzo poi è tra le più gettonate da sempre. Ante litteram qualcuno ricorderà quando il segretario missino Giorgio Almirante, altro grandissimo comunicatore, al repubblicano Oronzo Reale dopo una lunga invettiva antifascista, rispose: “Oronzo quanto sei… (pausa) strano. Ma tutti capirono l’assonanza con la parola che realmente pensava.

Stronzo poi è una parola multiforme. Stefano Bonaga, in “Semantica dello stronzo” splendido brano pubblicato negli anni novanta su Cuore scrisse: 

“È molto più facile dire chi è uno stronzo di quanto non lo sia dire cos’è uno stronzo. Una controprova della opacità ontologica di questa categoria consiste nella difficoltà’ nel trovare il suo contrario. Qual è il contrario di stronzo? Qualcosa che non può concettualmente coesistere con l’essere stronzo? Si può infatti dire: è intelligente ma stronzo. È educato ma stronzo. È simpatico ma un po’ stronzo. È bravo ma stronzo. Etc.”.

Piccolo campionario di insulti

Roberto Giachetti (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Ma la gamma di episodi è infinita, così per citare a memoria: Giachetti che diede della faccia di culo a Speranza in piena assemblea Pd, Barbato che urlò in Aula avete rotto i coglioni, Corsaro che per spiegare una battuta antisemita contro Fiano disse “ma io volevo solo dirgli che è una testa di cazzo”.

E le esternazioni di Bandecchi in consiglio comunale a Terni, il dito medio della Santanchè e di Bossi di cui ricordiamo anche il celodurismo. Le parolacce di Di Battista nei suoi interventi e l’inossidabile ed eterno Sgarbi che costringe da anni i “bippatori” della tv ad un lavoro continuo ed estenuante. Che dire poi del suo mitico “capra” pronunciato ad ogni fiato. E che vogliamo ricordare in più del “Vaffanculo” sui cui Grillo ha fondato le fortune dei pentastellati.

Oggi poi coi telefonini ed i social è un attimo. Ma non pensiate che nella prima repubblica non ci fossero insulti vari.

Durante la Prima Repubblica, l’insulto c’era, ma o era confinato nei Palazzi, senza smartphone pronti a registrare, o era servito con un certo stile. Quando a Craxi chiesero se i socialisti avessero voluto “autoaffondare il Governo“, nel 1986, il leader socialista rispose “chi lo dice è un coglione“. “Ma lo dice Altissimo“. “Allora è un Altissimo coglione“, riferendosi al capo del Partito Liberale.

Rino Formica che chiamò “comare” il collega di Governo Beniamino Andreatta, che lo aveva definito “un commercialista di Bari esperto di fallimenti e bancarotte“. Palmiro Togliatti in un comizio a piazza San Giovanni nel 1948 promise un “calcio nel sedere” a De Gasperi. E poi Francesco Cossiga, parlando dei parlamentari italiani, citava Churchill: “Quando gli dissero che c’erano dei cretini in Parlamento, lui rispose meno male, è la prova che siamo una democrazia rappresentativa“.

Elogio del turpiloquio

Il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca Foto: Marco Cremonesi / Imagoeconomica

Tutte battute geniali. Forse prima c’era maggior classe e ritegno ma gli effetti erano gli stessi.

Per finire però la divertente carrellata un piccolo consiglio di lettura che corona il ragionamento che vi ho proposto. “Elogio del Turpiloquio. Letteratura, politica e parolacce.” Un libro simpatico edito nel 2010 da stampa alternativa e scritto da R.G. Capuano. Esecrato dalla morale, vituperato dalle buone maniere, censurato dal linguaggio quotidiano, il turpiloquio appare nel libro in una luce nuova, rivoluzionaria, inaspettata. Addirittura, utile. Tanto che, leggendo i brani presentati, sostiene l’autore, ci si domanda come sia possibile farne a meno.

Scopriamo che le parolacce sanano l’economia di una nazione, tengono lontano il male, giovano alla salute, rinfrancano lo spirito. Ci forniscono informazioni preziose sui misteri del sesso e della struttura della società. Insomma, le parolacce servono! Dunque anche le parolacce hanno un ruolo salvifico e positivo. A volte strategico e dirimente. Soprattutto quando come la Meloni hai una innata capacità di ribaltarle a tuo favore.

Occhio però a non tirare troppo la corda, non si sa mai. E mi viene perfetta la citazione di Carlo Emilio Gadda che scrisse così in un dialogo: «… Ci ha detto anche stronzo … E, in quanto a stronzi», crollò il capo, «siamo tutti compagni …».

Occhio quindi alla misura sia Meloni che De Luca perché parafrasando il detto popolare “chi di stronzo ferisce di stronzo perisce”. E la saggezza popolare, alla lunga, non sbaglia mai. Absit iniuria verbis.