È Renzi il nuovo Tavecchio. Fenomenologia delle sconfitte (di Franco Fiorito)

Il parallelo tra Matteo Renzi e Carlo Tavecchio. E la metafora della politica italiana, nella parabola discendente del nostro calcio. Secondo la visione di Franco Fiorito

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Uno è fighetto e logorroico, l’altro parla poco, male ed è un tappo, anche bruttarello ed intrallazzone (nel senso legale del termine). Matteo Renzi e Carlo Tavecchio. Volti differenti del potere. Così diversi a guardarli così uniti da un improvviso, imprevisto ed ineluttabile destino: la sconfitta.

 

Oggi un uomo di potere quasi mai è anche un leader solido e formato nel tempo. Dunque, nell’epoca contemporanea, può farci poco un uomo di potere di fronte alla sconfitta.

Forse in altri tempi, dove arrivare alla responsabilità di governo era un percorso duro e per persone preparate, si era vaccinati alle intemperie, si resisteva rinculando senza tuttavia crollare, in attesa di alterne fortune.

Nell’epoca della velocità, tanto si sale in fretta e senza fondamenta solide, tanto rapidamente si cade. “In occidente non esiste la cultura del perdente, solo l’esaltazione del vincitore” cantava Leonard Cohen. Lo sconfitto viene rapidamente cancellato.

 

Ricordate il Renzi rottamatore, arringatore di folle contro il vecchio sistema, portato a furor di popolo e di promesse dai successi della provincia addirittura al governo nazionale, con una nascente spinta popolare che raggiunse vette rapide ed altissime.

Lo stesso percorso che il prode Tavecchio partendo dal basso con l’appoggio delle leghe minori intraprese scalzando l’allora governo del calcio ma con promesse simili di cambiamento e rivoluzione gestionale.

Così diversi i nostri eroi, così simili nel percorso di crescita ma identici nella caratteristica, una volta al comando, di dimenticare quanto proclamato e governare secondo i più rigidi canoni delle vecchie gestioni.

 

Dunque la rivoluzione non per il cambiamento, ma per il raggiungimento del potere. In fondo gli italiani quando sentono la parola cambiamento si innamorano, non resistono ad inseguirla. Come è facile illuderli.

 

Ma il potere in sé ha sempre un suo antidoto. La sconfitta.

E dunque i nostri personaggi con nelle mani le salde redini dei rispettivi governi politico e sportivo non si aspettavano i rispettivi incidenti di percorso. L’infausto referendum e la disastrosa eliminazione dai mondiali.

Ed ecco il potere salvifico della sconfitta. La scintilla, unica ancora, a scuotere i sentimenti popolari.

Gli italiani la sconfitta non la perdonano mai, anzi, come diceva Flaiano sono sempre pronti a correre in soccorso del vincitore.

 

A maggior ragione quando proprio te la vai a cercare. Indicendo un referendum di cui non si sentiva il bisogno e dichiarando di dimettersi in caso di sconfitta. Oppure nominando ct il povero Ventura reduce da squadre sempre di bassa o mezza classifica e non avendo il coraggio di rimuoverlo quando  aveva perso la bussola.

 

Ora li osserviamo lottare con le unghie e coi denti per mantenere qualche brandello di potere, per tentare di non soccombere. Uno come segretario di Partito, l’altro come commissario di Lega. Convinti che restando a galla una nuova chance si ripresenti. Forse hanno letto Churchill quando scriveva che “Il successo è l’abilità di passare da un fallimento all’altro senza perdere il tuo entusiasmo”. Ma hanno fatto male a crederci.

 

Resteranno delusi. Oggi le persone aspirano alla felicità, corrono a supportare chi glie ne promette di più, chi si dimostra il migliore in quel momento ad alimentare i propri sogni le proprie speranze di cambiamento. Tanto velocemente si invaghiscono, quanto rapidamente si disamorano. Non seguono più coloro che portano il marchio della sconfitta.

Per cui si facciano bonariamente da parte lasciando aprire il totoleader per il futuro che emoziona, interessa ed intriga più della loro resistenza. Anche se la scelta di un nuovo leader a cui tributare fiducia mette sempre qualche preoccupazione, maggiormente se, come sembra ultimamente, per il governo del calcio si propone un politico e speriamo non il contrario.

Si perché al posto di Tavecchio per il calcio c’è chi propone Veltroni, un similrenzi più anzianotto logorroico. È possibile allora, con gli stessi canoni, che per la politica ci si possa indirizzare verso un tracagnotto intrallazzatore (nel senso legale del termine).

 

Magari, con questi meccanismi assurdi di consenso, per la somma felicità del nostro presidente Stirpe, è capace che ci ritroveremo un Lotito a fare il presidente del consiglio.

Si scherza. Ma neanche troppo.