
I fagiani che inneggiano alla chiamata alle armi contro Trump e Putin dovranno accorgersi tra poco tempo che è una battaglia che non esiste
È successo davvero. Lo scontro inedito tra il presidente ucraino Zelensky ed il suo omologo americano Trump alla Casa Bianca in diretta mondiale. Secoli di diplomazia, democrazia, bon ton e dialogo spazzati via in cinquanta minuti di colpi e controcolpi degni di un incontro di MMA. Ed il mondo si divide tra i due litigandosi il sostegno all’uno ed all’altro. Molti fingendosi sorpresi ,ma l’impressione generale è che fosse tutto ampiamente voluto e preparato. Da entrambe le parti. Solo che probabilmente è scappata un po’ la mano, ad entrambe.
Eppure gli annunci erano stati trionfanti. Venerdì Zelensky verrà a firmare un accordo sulle “Terre Rare” tuonava la Casa Bianca. Già, queste benedette terre rare. Mentre Zelensky non aveva dissimulato il suo disappunto per l’incontro tra Usa e Russia a cui non era nemmeno stato invitato.
La sfilata dei due attorno alla Manica

Prima avevano sfilato a Washington i premier francese e inglese Macron e Starmer due tra i più assidui sostenitori del conflitto anti russo. Gli incontri erano stati già vivaci. Con le famose pacche e strette di mano tra Macron e Trump che caratterizzano da sempre gli incontri tra i due. Ma quando è arrivato Zelensky che l’aria non fosse ottima si è capito già dal primo passo che ha compiuto scendendo dalla vettura blindata davanti all’uscio della casa bianca.
Lo attendeva Trump in completo blu e cravatta rossa d’ordinanza. Ed appena il leader ucraino è stato vicino a lui ha esclamato: “He is all dressed up today!”. Che il italiano potremmo tradurre “è vestito di tutto punto oggi”. Mentre Zelensky si era presentato come sempre vestito con una magliettina e i calzoni stile militaresco. Lo stesso look di sempre da quando c’è la guerra, in genere nei toni militari oggi per l’occasione più sul nero. Colore che evidentemente non gli ha portato fortuna perché gli incontri non sono andati benissimo.
Atteggiamento e desantificazione

Ma quello che si è capito subito era l’atteggiamento. È stata la fine della continua e pervicace santificazione di Zelensky che oramai era abituato ad apparire nei vari consessi internazionali come la star del momento da almeno tre anni. Incensato, sostenuto, glorificato come martire della resistenza ai cattivoni russi ovunque venisse invitato era l’attrazione indiscussa.
Ed è qui l’unico e più grande errore che Zelensky ha fatto. Non aver calcolato che l’avvento di Trump aveva cambiato completamente gli scenari internazionali. O perlomeno era cambiato il suo interlocutore più importante, il capo dello stato che più di tutti lo aveva spinto alla guerra e sostenuto.
È per questo che il leader ucraino è Stato completamente spiazzato dai comportamenti del duo Trump Vance. Perché nonostante sia un attore consumato non ha saputo cambiare ruolo. E le battute sul vestiario lo avrebbero dovuto mettere in guardia subito. Invece niente. E allora il seguito è stato un evidente caso di bullizzazione. Ma non intendiamo solo politica ma anche realmente fisica. Da veri bulli americani.
Bulli Usa e tweet

Lo sintetizza il tweet di Donald Trump junior il figlio di Trump che con una durezza inusitata nei riguardi comunque di un capo di Stato riposta un meme in cui i due americani incalzano anche fisicamente l’ucraino a cui fanno chiedere: “Where is my money”? A sottolineare che il tema principale di Zelensky sia sempre il denaro e non la pace.
Ma le didascalie sotto Trump e Vance sono peggiori. Trump esclama “listen here little shit…”. Che con una certa gentile approssimazione tradurremo con “senti un po’stronzetto” che però in inglese ha un tono ancora più volgare. E con Vance di fianco che esclama: “this midget and his demands” che ancora gentilmente tradurremo come “questo nano e le sue pretese”.
Il figlio di The Donald

Ecco che il figlio del presidente posti un offesa così evidente non tanto politica ma proprio fisica verso un capo di stato dà l’idea di come è stato trattato realmente Zelensky. Dargli del nano non solo è irrispettoso. Anche se ammettiamo non è così prestante fisicamente. Ma è la logica conseguenza del bullismo istituzionale a cui è stato sottoposto in maniera pervicace e tra l’altro chiarissima.
Infatti il colloquio tra i due durato circa cinquanta minuti sopravvive nei primi quaranta senza disastri ma negli ultimi dieci diventa una specie di uno contro tutti. Intanto la sede del confronto. Avete presente l’arena degli incontri di MMA? Un ottagono. Diversa dal ring di box che è quadrato e con le corde. Nell’ottagono invece ci sono barriere molto alte, non puoi scappare. Infatti in gergo lo chiamano “cage” cioè la gabbia. Perché sei imprigionato come una fiera.
Così appariva la scena di Zelensky nello studio ovale di Washington. A fianco a lui schierati a mo’ di plotone di esecuzione Trump, Vance e Rubio il Segretario di Stato. Intorno, intendo tutto intorno come una arena gladiatoria, un nugolo di giornalisti e addetti vari che componeva una specie di cerchia fisica delimitata da telecamere, microfoni e persone. Senza contare che X ha trasmesso tutto in rigorosa diretta raggiungendo i centocinquanta milioni di spettatori.
La situazione precipita

E quando Zelensky ha iniziato, visibilmente innervosito dall’andamento della discussione, a rispondere meno a modo la situazione è precipitata. Se all’inizio i toni erano distesi, e si è parlato di un possibile accordo, man mano che il confronto tra i due andava avanti, la tensione è salita.
Nel diverbio, durato circa cinquanta minuti, Trump – spalleggiato dal suo vice JD Vance – ha accusato il presidente ucraino di “mettersi in una pessima posizione” e di “non avere le carte di mano” per una accordo. “Dovete essere riconoscenti!”, ha poi urlato Trump. Non solo: il tycoon ha accusato il leader ucraino di “giocare con la Terza Guerra Mondiale”. Poi, è stato Vance a rincarare la dose: “Pensi che sia rispettoso venire nello Studio Ovale degli Stati Uniti d’America e attaccare l’amministrazione che sta cercando di impedire la distruzione del tuo Paese?”.
Vance lo sparring perfetto

Fino ad arrivare alla minaccia lanciata da Trump: “O fai un accordo o noi siamo fuori!”. A un certo punto, il presidente americano ha anche detto al leader ucraino che, “senza le armi degli Stati Uniti, avresti perso la guerra in due settimane”. In un altro passaggio, lo ha insultato dicendogli che “non è tanto intelligente”.
Dal canto suo, Zelensky ha provato a rispondere, dicendo di essere arrivato negli Stati Uniti “non per giocare a carte”. “Tutti hanno problemi” ha detto al tycoon, “tu hai un Oceano di mezzo e non senti adesso l’impatto della guerra, ma lo sentirai in futuro”.
A conclusione del colloquio, Zelensky ha subito lasciato la Casa Bianca, su richiesta, secondo quanto riferito da Fox News, dello stesso Trump, e la conferenza stampa prevista alla fine del faccia a faccia è stata repentinamente annullata. Secondo la Cnn, invece, Trump avrebbe chiesto al suo segretario di Stato – Marco Rubio – e al suo consigliere per la Sicurezza nazionale – Michael Waltz – di comunicare agli ucraini alla Casa Bianca, incluso Volodymyr Zelensky, di lasciare l’edificio.
“Torni quando sarà pronto”

“Può tornare quando sarà pronto per la pace”, ha scritto, in ogni caso, lo stesso Trump su Truth, accusando il leader ucraino “di aver mancato di rispetto agli Stati Uniti”. Ma il vero andamento della discussione si è capito alla prima domanda. Nelle immagini si vede uno dei giornalisti che presenziavano alla conferenza stampa, Brian Glenn, chiedere a Zelensky perché non indossa un abito (un completo giacca e cravatta) per l’incontro con Trump, come si usa nelle occasioni ufficiali.
“Sei nell’ufficio al livello più alto degli Stati Uniti (lo Studio Ovale) e non porti un abito? Perché? Non ne hai uno?” La domanda lascia incredulo Zelensky che infatti chiede sottovoce: “What? Cosa?” mentre intorno a lui molti ridono. Compresi Trump e Vance. Subito dopo Zelensky risponde così: “Indosserò un abito quando sarà finita la guerra. Magari ne indosserò uno come il tuo, o forse di migliore qualità o forse un tipo più economico. Non lo so. Forse. Vedremo”.
Insomma il bullismo istituzionalizzato. Anche giornalistico.
Nani, giganti e spalle

Ma tutto in quella riunione ha dato un solo messaggio a Zelensky ed ai suoi partner residui europei: “Sveglia perché l’aria è cambiata”. Cosa che il coraggioso ucraino non sembra aver percepito o di certo non si percepiva dalla continua aria di sfida dimostrata. Ecco per dirla con parole più semplici non credo che Zelensky abbia mai letto il famoso filosofo francese medievale Bernardo di Chartres.
Bernardo di Chartres, un filosofo francese vissuto nella prima metà del XII secolo, è stato il primo a pronunciare la famosa frase “Siamo come nani sulle spalle dei giganti”. Questa espressione è diventata un modo di dire per indicare che la conoscenza e la comprensione di una generazione si basano su ciò che è stato scoperto e sviluppato dalle generazioni precedenti.
Bernardo intendeva sottolineare che, nonostante la nostra statura fisica possa essere inferiore a quella dei giganti, grazie ai loro contributi siamo in grado di vedere più lontano e comprendere meglio il mondo che ci circonda. Questo concetto ci ricorda l’importanza di riconoscere il valore del passato e di apprezzare il lavoro dei pensatori e degli innovatori che ci hanno preceduto. In questo modo, possiamo costruire su ciò che è stato realizzato in passato e progredire ulteriormente nella nostra comprensione e nel nostro sviluppo.
Vedere più lontano

“All’interno di un’appassionata apologia del pensiero antico Bernardo di Chartres, a cui tale aforisma è originariamente attribuito, definisce i contemporanei come coloro i quali, rispetto agli antichi, possono vedere più lontano solo perché possono sollevarsi alla loro altezza, in quanto seduti sulle spalle dei giganti (nos esse quasi nanos gigantum humeris insidientes)”. Scriveva così Umberto Eco nella storia della civiltà europea.
Ed anche egli come noi non metteva alcuna accezione negativa alla parola nano, lo specifico per chi fosse permaloso o sensibile, ma serviva letterariamente ad evidenziare le diverse grandezze, in questo caso culturali.
Metafora invertita

Ecco partendo dalla battuta di cattivo gusto del figlio di Trump verso Zelensky che lo ha definito nano la vorrei invertire in senso filosofico ed attuale come la stessa metafora per la quale il piccolo Zelensky fino a che si è poggiato sulle spalle del gigante Usa ha potuto avere una vista ed un trattamento privilegiato ma soprattutto la protezione, non solo culturale ma stavolta anche materiale di un gigante. Perché non vi è dubbio che gli Usa siano un gigante.
Ed è stato questo nell’incontro il suo più grande errore di valutazione. Non realizzare, come fanno altri presuntuosi, che ciò che si è ottenuto sedendo sulle spalle dei giganti una volta che questo termina non è detto che possa continuare nello stesso modo. In genere i piccoletti fanno in breve o medio termine una brutta fine.
Ed è quello che si teme proprio per questo comportamento di Zelensky. Che ha ancora l’atteggiamento spavaldo del re del mondo. Nonostante non ne detenga la forza. “Non dai più tu le carte” gli ha tuonato Trump. Rispondendo male quando l’ucraino con un anatema gli aveva detto poi soffrirete anche voi. Mai si era vista una tale brutalità linguistica in incontri di questo livello.
Chiari a costo di polemiche

E il ritornello sulla pace. Con Trump che nominava in continuo il cessate il fuoco. Parola a cui Zelensky sembra allergico. Certo ha ragione a rivendicare una pace giusta. Senza umiliazioni per nessuno. È un suo diritto. Ma di certo un cessate il fuoco immediato favorirebbe i dialoghi di pace non vi è dubbio.
D’altronde più o meno tutti gli stati europei hanno mostrato il petto dichiarando sostegno incondizionato. E Zelensky deve avergli creduto vista la spocchia dimostrata. Ma poi si sono sbrigati dopo un vertice fantoccio convocato da Macron a correre tutti alla corte di Trump per imbonirlo prima dell’incontro con Zelensky. Francia, Inghilterra, Polonia poi Ucraina alla corte del presidente americano in una sola settimana non si erano mai visti.
L’autodifesa Ue che non esiste

Ma vogliamo essere molto chiari anche a costo di qualche polemica. Se qualcuno si raffigura in questo momento un Europa indignata da Trump che lo condanna, lo isola, gli tiene testa evidentemente si è perso tutti i fatti rilevanti di questa settimana. Per primo la processione dei leader da Trump. Dove invece che a sfidarlo sono andati a supplicarlo di non abbandonare l’Europa. Aggiungendo, tra l’altro, ognuno richieste per il proprio Paese.
L’autodifesa dell’Europa da sola non esiste. È un sogno, chi ne sta parlando oggi fa dei ragionamenti forse utili per un futuro distante. Ma al momento è fantapolitica. Senza gli Usa l’Europa si troverebbe di fronte a delle scelte drammatiche. O diventare facile preda dell’espansionismo e dell’imperialismo di Putin. Oppure sobbarcarsi una immane impresa di riamo a tappe forzate che avrebbe dei costi che nessuna opinione pubblica europea in questo momento è in grado di sostenere.
È infatti evidente che come abbiamo scritto più volte l’Unione europea, questo strano ircocervo fatto solo di economia e ambiente, è rimasta schiacciata prima dalla offensiva russa e poi dal cambio di rotta americano. Due cose tra l’altro ampiamente preventivabili. E la soluzione quale sarebbe: armarci per fare la guerra sia alla Russia che agli Usa?
Cinque minuti e adieu…

Solo dei minus habens potrebbero credere ad una soluzione del genere nella quale verremmo spazzati via in cinque minuti. È proprio questo infatti il convitato di pietra di questa settimana. La crisi europea e la dissoluzione delle istituzioni europee che ormai è evidente a chiunque.
Allora torna di prepotente attualità il capolavoro di Oswald Spengler “Il tramonto dell’occidente”. Un libro che seppur pubblicato più di un secolo fa nel 1918 è di una spaventosa attualità. Crisi, declino, sconfitta, eclissi, deriva, debolezza, stanchezza, ritirata, disfatta, decadenza.
È ormai in atto un saccheggio del vocabolario da parte di giornalisti, accademici e politici per descrivere, in un clima emotivo che si avvicina sempre più ai toni di uno psicodramma collettivo, la situazione in cui – a detta di costoro – si troverebbero imbrigliati l’Occidente, i suoi valori e i suoi modelli, sia istituzionale che culturale. Mea culpa, dibattiti che assomigliano a sedute di autocoscienza e consulti per trovare un rimedio alla malattia e scongiurarne l’evoluzione in catastrofe si susseguono sui palcoscenici mediatici e su quelli intellettuali.
Un’epoca intera passata

Sembra passata un’intera epoca da quando, solo poco più di sei anni fa, sulle pagine di quotidiani, settimanali e riviste engagés, sfruttando l’occasione del centenario della pubblicazione del primo volume dell’Untergang des Abendlandes spengleriano, ci si faceva beffe delle fosche previsioni dell’eclettico pensatore prussiano, contrapponendo alla sua immagine del tramonto di una Zivilisation spiritualmente inaridita la realtà di una Kultur trionfante ed in continua espansione, veleggiante, grazie soprattutto alla spinta dell’innovazione tecnologica, verso la definitiva conquista – economica, militare, ma soprattutto psicologica – dell’egemonia planetaria.
Che cos’è accaduto, in un così breve lasso di tempo, per trasformare gli entusiastici proclami di vittoria in sofferti piagnistei? Quali eventi hanno indotto alla drastica revisione dei giudizi di cui si fa eco un sempre più nutrito plotone di Cassandre?
Semplice è cambiato l’uomo al comando. L’insediamento di Trump, come abbiamo più volte predetto, avrebbe portato conseguenze dirompenti. Lo dovrebbero capire coloro che ancora oggi lo prendono in giro e ne stigmatizzano i comportamenti.
Trump che sa cosa fare

Ma il presidente americano ha ben chiaro cosa deve fare. Lo fa nei modi spesso errati che lo contraddistinguono ma ha chiaro quali sono i propri interessi, gli interessi della nazione più potente del mondo. Avete fatto caso come invece di pace si parli solo di accordi sulle terre rare? Così li chiamano quei territori che sono ricchi di materiali necessari per la tecnologia odierna. Forse adesso realizzerete che dietro i problemi libertari l’unico vero interesse da entrambe le parti è sempre stato solo quello. Solo un motivo economico.
Lo sanno bene gli Stati Uniti che per primi hanno adocchiato le terre ucraine. Lo sa bene la Russia che si è accaparrata i territori più ricchi di minerali, mentre i soloni li sbeffeggiavano perché non entravano a Kiev. Non sanno cosa farsene di Kiev non gli serve è solo un fastidio.
E mentre i due potenti contendenti si battagliavano sulle risorse da spartire l’Europa occupata tra le macchine elettriche e la farina di grilli autodistruggeva la propria economia in nome di una guerra che sapeva già di non poter mai vincere. Pensa se la possano vincere adesso senza il sostegno Usa.
Autodistruzione Ue

Ed oggi tutti i fagiani che inneggiano alla chiamata alle armi contro sia Trump che Putin dovranno accorgersi tra poco tempo che anche questa è una battaglia che non esiste. Perché tranne che siate appassionati di Tolkien e del signore degli anelli dove i nani combattono valorosamente al pari degli altri, nel mondo reale i giganti, prima o dopo schiacciano sempre i più deboli nanerottoli.
È una legge della natura. Prima la capiremo meglio vivremo. Ubi maior, minor cessat.