Torna il professor H.D. Toro con le sue riflessioni. Ora trapiantato dal liceo di Frosinone ad una scuola della Bassa Modenese dove è dirigente scolastico. È tornato a vedere, come vent'anni fa, le differenze tra due mondi: quello del Nord e quello a sud del Tevere. E scopre che...
Faccio una premessa, doverosa: il pezzo che segue è pieno di luoghi comuni, gronda di banalità e semplificazioni. Ma è un fatto, secondo me, che ogni luogo comune nasconda anche un fondo di verità.
Ed il luogo comune “più comune” in Italia è il seguente: a nord di Roma molte cose funzionano decisamente meglio che a sud della capitale (da un bel pezzo non più caput mundi) .
Infatti quando, vent’anni or sono, lasciai l’amata patria di Cicerone, Caio Mario e dei fratelli Bragaglia per recarmi nella produttiva Milano fui subito colpito dalla efficiente rete metropolitana (allora solo tre linee, che però si biforcavano in fondo, andando a coprire così tantissimi quartieri). E ancor di più dal fatto che, nonostante la metro, in superficie v’era un affollamento di tram e bus tale che se perdevi un mezzo dopo 6 o 7 minuti subito in fondo alla strada vedevi sbucare il successivo. Il che in una città molto più piccola di Roma era un bel vedere; ed anche un bel vivere.
Curiosamente – questa è una cosa che ho imparato quasi subito vivendo al Nord – gli aborigeni lombardi (e gli aborigeni del Nord in genere) erano soliti lamentarsi dell’inefficienza delle loro amministrazioni non appena il loro bus giungeva dopo 9/10 minuti anziché i consueti 6. E tu, emigrato dal Centro o dal Sud, sorridevi guardandoli con un misto di affettuosa simpatia e un po’ di malcelata rabbia per questi giudizi che sapevi essere totalmente fuori dalla realtà, essendo pratico delle innumerevoli inefficienze sudiste.
Avendo insegnato Storia per un bel po’ di anni riconducevo queste anomale differenze italiche a profonde cause storiche. Al Nord piemontesi, lombardi, veneti, emiliani (non i padani, perché i padani non esistono – lo dice sempre la Storia) negli ultimi secoli se l’erano vista con francesi, Savoia (che erano mezzi francesi), tedeschi, austriaci oltre ad aver sperimentato forme di auto-governo come i Comuni: tutte esperienze (forse con l’eccezione delle dominazioni spagnole) che avevano arricchito quei territori, portato sviluppo economico e manifatturiero e instillato nelle popolazioni una cultura civica e un sentimento di comunità.
Viceversa a Roma, in Ciociaria per arrivare fino a Napoli, dopo la fine dell’Impero romano avevamo subito invasioni barbariche, turche, dominazioni bizantine, spagnole per finire con i governi assoluti di Santa Romana Chiesa che, fino a pochi anni prima della breccia di Porta Pia, mandava ancora a morte coloro che fossero accusati anche di solo sovvertimento dell’ordine pubblico. È fin troppo naturale che in queste regioni dove dominavano governi conservatori, spesso corrotti, dove i baroni e i grandi latifondisti la facevano da padroni le popolazioni avvertissero lo Stato e gli Stati come oppressori e limitatori delle libertà. In buona sostanza: dei nemici.
Certo, direte voi, sembrano luoghi comuni. Oggi i tempi sono cambiati, al Nord non sono tutti angeli e il Sud non è l’inferno che alcuni vorrebbero dipingere. E’ vero, ma è un fatto che tornando nuovamente al Nord dopo venti anni, stavolta nella Bassa modenese (in quello che pochi secoli fa era il Granducato di Modena e Reggio) ho provato le stesse identiche sensazioni del mio primo arrivo nella capitale meneghina: amministrazioni efficienti, luoghi pubblici curati, senso di appartenenza alla comunità, valorizzazione piena di ogni eccellenza storico-architettonica, agroalimentare, ambientale e via dicendo.
Insomma un mondo in cui si ha ancora voglia di impegnarsi per il futuro, per le prossime generazioni e di gestire le risorse (che qui pure sono ingenti) per il bene di tutti, anche e soprattutto di chi è più in difficoltà.
A Sud del Tevere invece, dove le risorse sono molte meno a causa della crisi, sembra rafforzarsi un nuovo egoismo, un individualismo e una incapacità di progettare il futuro dei nostri figli (che infatti scappano via appena possono), in un misto di pessimismo e rassegnazione, pur consapevoli perfettamente della situazione e delle cause che hanno portato a tutto ciò.
Qualcosa che il compianto regista Gigi Magni aveva magistralmente colto nel bellissimo film del 1969, Nell’anno del Signore, quando contrappose all’idealista carbonaro modenese Angelo Targhini, venuto a Roma per ordire trame contro il Papa Re nel 1825, il ciabattino Cornacchia (impersonato non a caso dal ciociaro Nino Manfredi), disilluso, apparentemente analfabeta ma in realtà l’anonimo fustigatore dei costumi romani che scriveva e appendeva alla statua di Pasquino epigrammi ironici e duramente critici del governo papale. Cornacchia, da vero uomo del Sud, sapeva che non c’era nulla da fare contro il governo oppressore e tirannico, a parte fustigarne anonimamente l’operato; e pur legato da amicizia sincera con Targhini non poteva far altro che stigmatizzarne la giovanile irruenza, esclamando: “Aho’, questo c’è venuto pure dar Granducato de Modena!”