Stanotte ho avuto un incubo. Uno di quelli che ti svegli tutto sudato e non riesci più a prendere sonno. E non ci riesci perché in fondo hai paura che quell’incubo possa tramutarsi in realtà da un giorno all’altro. Da un momento all’altro. Perché il mondo, come dice uno tra i più recenti luoghi comuni, scorre così veloce che nemmeno te ne accorgi.
Stanotte ho sognato di svegliarmi, provare ad entrare in bagno ma non riuscirci perché per farlo serviva una password. Una cavolo di password dimenticata e che proprio nessuno, in quel momento, poteva suggerirmi. Alle tre del mattino. O giù di lì. Se sei solo inutile guardarsi intorno. Se in compagnia a quell’ora la lucidità vacilla per tutti.
Eccolo qui, l’incubo peggiore. Avere una password anche per recarsi alla toilette, ché tanto la strada pare essere quella.
Le password si sono impossessate della nostra vita. La controllano, la sbirciano, la tengono d’occhio. Sempre. Dalle cose serie alle banalità. È il grande fratello che ti osserva dall’alto. Sono le sbarre alle finestre di casa. Una sicurezza, certo, ma che ti fanno guardare il sole come se fossi in galera. Le password sono la nostra prigione. È tutto al sicuro, per carità, ma a che prezzo!
Una password ci vuole per tutto. Mail, conto in banca, computer, accesso telefonico, accesso ai dati di casa, della macchina, della casa al mare, in montagna, della macchinetta del caffè, del telefonino, del tablet, della denuncia dei redditi, del tagliaerba che altrimenti non si accende, dell’abbonamento al giornale, al cinema, al teatro, allo stadio. Una password serve per il sistema operativo con cui lavori, per Facebook, Twitter e Instagram. Serve persino se hai perso l’ultima delle dodici puntate della fiction poliziesca che hai visto per due mesi consecutivi e vuoi rivederla in streaming. È gratis, ma se non hai la password di accesso sei fregato.
Una password è per sempre, come i diamanti. Solo che questi te li tieni pure dopo il divorzio, mentre la password è per sempre fino a quando non la cambi. Che poi succede ogni volta che te la scordi. In tutte le occasioni in cui compare l’odiosa scritta “hai dimenticato la password?”. Grrrrr… che rabbia!
E provateci un po’ a ricordarle tutte senza vacillare nemmeno per un secondo. Senza pensare per un solo momento “ma ci ho messo il mio nome o quello di mio marito? Di papà o di mamma? Della squadra del cuore o della città di residenza? Di mio fratello? O di mia sorella? Dei figli? Ma sì, dei figli sicuro. Ma di entrambi? O magari mescolati? Di uno solo? Forse sì, il maggiore, o magari il piccolo”.
E a quali accessi corrispondono tutti questi dati?
E l’anno (perché le password sono fatte di numeri e lettere) è quello di nascita o del matrimonio? Del diploma o della laurea? Della medaglia d’oro di pinco pallino o dello scudetto? Oppure era l’anno dei mondiali? E quali cavolo, quali? Dell’indimenticabile urlo di Tardelli o di quello del più dimenticato Fabio Grosso? Certo non quelli del ’66, che non è che siamo tutti Venditti. Che ci frega di Pelè e della regina. Noi al massimo ce l’abbiamo con Pellè.
Divagazioni calcistiche a parte, che non guastano mai, sicuro pure che quando l’abbiamo decisa, la maledetta password, avremmo pure fatto qualche ragionamento contorto di sicurezza, solo che nel momento in cui serve l’abbiamo inesorabilmente dimenticato. Puff. Spazzato via dalla mente in un momento.
E arriverà il giorno, sì che arriverà, in cui l’accesso negato sarà anche per il bagno, alle tre del mattino, quando non ci sarà il tempo di rispondere alle domande sulla sicurezza di accesso e noi saremo terribilmente fregati in maniera del tutto imbarazzante.
Sicurezza o libertà? L’eterno conflitto sintetizzato in otto caratteri tra numeri e lettere.
A ricordarseli!