
Si chiude il sipario sul Festival più ortodosso di tutti ma con qualche momento di rara intensità in più. Non sempre sono solo canzonette.
Ha vinto ‘Tutta l’Itali-a’. Perché siamo il popolo degli inni (alcuni anche unni). E perché nelle vene abbiamo fisarmoniche e tamburelli. Quelli che ci fanno scattare come molle. Il resto, per una settimana, è servito a non pensare. Alla Naspi che tarda sempre, alla cassa integrazione da sette anni, al caro-zucchine, alla rata dell’assicurazione.
Per cinque giorni ci siamo sentiti meno soli. E più grati alla vita. Che dispensa disagi, malattie, tormenti, disabilità temporanee o permanenti. In una parola, dolore. Ma anche lacrime di gioia. E tanta tenerezza. Per chi gattona e poi barcolla prima di trovare il proprio equilibrio. Per chi ha il naso umido e ti lecca. Per chi non sa più che ora e che giorno è. Per chi convive con una pietosa bugia. O una falsa verità.
L’invidia per Giorgia, i muscoli di Mahmood

Abbiamo provato invidia per Giorgia. Non per la sua estensione vocale straordinaria. Ma per quel gran figo, giovane e atletico di Emanuel che ha accanto. E che dopo anni arriva inatteso a bussare alla sua stanza. La vera sorpresa è lei. Che apre e sgrana gli occhioni commossi.
Abbiamo desiderato i lunghi paltò di Achille Lauro. E le gambe sinuose di Clara.
I muscoli a prova di destrezza di Mahmood. La classe di Damiano David. La esse di Rkomi. Lo snobismo intellettuale di Brunori Sas. La simpatia coinvolgente di Katia Follesa. L’arguzia senza limiti di Geppy Cucciari.
Ma non la catenona di Tony Effe. Né i cuoricini di Coma Cose. Meglio la pugliesità ritmata della Brancale.
Social ed intensità
Le serate sono scivolate via tra commenti, pronostici. E l’attesa dei punteggi del Fantasanremo. Con i social che scoppiano. È finita, si scende dalla giostra e si torna alla quotidianità di sempre.
Ma con qualche momento di rara intensità in più. Non sempre sono solo canzonette.