Quando la libertà di sapere costa un euro e nemmeno la si vuole comprare

Rita Cacciami

In punta di stiletto. Il veleno è previsto nella ricetta.

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Rita Cacciami

di RITA CACCIAMI

Vice direttore de L’inchiesta Quotidiano

 

Un euro. Uno soltanto. Come quello che occorre per gustare un buon caffè. O parcheggiare la macchina per un’ora. O per tentare la fortuna con il Gratta e Vinci o in una slot. Un po’ meno di quanto occorra per masticare un chewing-gum. Ricorda quel “tutto a mille lire” di qualche anno fa per invogliare all’acquisto. Ma non alla lettura, evidentemente. Se non a sbafo. Mi spiego. E cercherò di non essere troppo acida, perché il tema mi sollecita vorticosi giramenti e malumori.

Chi lavora nella redazione di un giornale, che sia locale o nazionale, che faccia gossip o si occupi di alta finanza, ha molti più doveri di quanti non siano i suoi diritti acquisiti alla nascita.

Tra i primi senza dubbio l’autorevolezza e la veridicità della notizia. Seguita subito dopo dal consapevole arbitrio che spinge a fare nomi e cognomi, inserire volti e luoghi solo se di pubblico interesse. Senza offendere la dignità di chicchessia.

Per non parlare di eventuali errori, spesso considerati tali a personale discrezione di chi si sente leso e non dovrebbe. Da rimediare all’istante. E per i quali spesso viene richiesto, oltre alla rettifica accompagnata da minaccia di querela, anche il cospargimento di cenere sul capo. Con pubblico ludibrio nei giorni a seguire.

E veniamo a questi famosi diritti. Uno dei quali, chiamiamolo principio cardine, sarebbe quello di essere acquistati. Perché dietro titoli e foto, su quella carta da sfogliare al mattino per farsi un’idea, per condividere un’opinione, c’è il lavoro di un giorno intero.

Mettiamo, a caso, dodici persone che come motore hanno una insana passione. Giornalisti che si illudono di poter essere scelti. E poi letti con attenzione. Quanto di più errato ci possa essere. Perché quel prodotto artigianale e unico, viene letto distrattamente e gratis. Al bar, su internet, nelle rassegne stampa gratuite fornite dagli enti. O in differita, a pomeriggio inoltrato, attraverso la richiesta di una copia omaggio. Adducendo giustificazioni ridicole e inesistenti anche quando su quel numero c’è molto di sé. Uno scritto vergato personalmente, una foto di famiglia, un evento a cui si sottolinea di tenere in particolar modo.

Evidentemente non tanto da pensare che con quell’euro si poteva acquistare una copia. E allo stesso tempo contribuire a garantire alla conservazione di dodici posti di lavoro. Già. Basta un euro. O un po’ in più per scegliere qualcosa di differente da L’inchiesta. Ma almeno, sceglieteci, cari lettori. Acquistate il nostro lavoro. Così come noi compriamo vestiti, scarpe, cellulari. O visite mediche. Riparazioni di computer. Benzina. Tagli di capelli e cure estetiche. Quando abbiamo lo stipendio in tasca.

Non offendete la nostra dignità. Soprattutto se siete dei professionisti a cui un euro non fa alcuna differenza. Poi, con il quotidiano acquistato potrete anche lavare i vetri. O incartare le uova per il vicino. O pulirvi le scarpe prima di entrare in casa dopo un’acquazzone. Calpestateci pure.

Ma dopo. Non prima.