La vittima sotto processo. Meglio se donna

Rita Cacciami

Vice direttore L'Inchiesta Quotidiano

Rita Cacciami di RITA CACCIAMI

Vice direttore de L’inchiesta Quotidiano

 

Si impara molto di più in un’aula giudiziaria durante un singolo processo che in sei mesi di università. E sia chiaro, la teoria è importantissima. La tecnica altrettanto. Ma valli a spiegare quei meccanismi. Che regolano quel sottile gioco delle parti che fa della difesa un accusatore e della vittima un reo.

Respirarli è un’altra cosa. Sei lì a cogliere le sfumature, osservare le reazioni. E valutare l’autocontrollo che serve di fronte a certe provocazioni. Quelle che fanno reagire in modo incontrollato. Facendo esattamente il gioco di chi vi ha provocato.

Lo sanno bene quelle donne che denunciando una serie di insostenibili molestie o anche una sola, non fa differenza lo schifo che si prova, si trovano a subire un processo nel processo. Hanno avuto coraggio. Ma non basta. Devono essere passate al setaccio perché belle o intelligenti. O perché sembrano troppo sicure di sé. Per il loro modo di vestire. O per il tipo di amicizie. E le abitudini. A ritroso, perché non radiografare anche le vite delle loro madri. Frugando nelle chat, gli sms, le telefonate, le relazioni precedenti. A caccia di tutto ciò che possa essere utile per screditare agli occhi di chi dovrebbe giudicare. Non loro, ma l’imputato.

Accade anche che il processo inizi molti anni dopo. Eri una ragazzina. Ed ora sei una donna. Chi ti vede oggi non immagina come eri fragile a 13 anni. Come ti torcevi le mani mentre eri costretta a raccontare una, due, tre, quattro e più volte la tua brutta storia ai carabinieri, all’assistente sociale, poi di nuovo ai carabinieri e poi ancora al consultorio. A tua madre, tuo padre, la tua amica del cuore. Al tuo avvocato. La stessa storia che da adulta racconti al giudice. Mentre il legale della difesa cerca di demolirti. Hai subito quella violenza il giorno prima degli esami. Eri sconvolta. Volevi solo silenzio intorno a te. E in aula, sette anni dopo, sentirai ripetere ossessivamente: ma poi, a scuola, come è andata?

Certo, l’esame è andato bene. Perché eri brava, avevi ottimi voti. Eri una ragazzina studiosa e preparata. Però quel giorno avevi il buio dentro. E nessuno poteva immaginare che da allora avresti avuto il terrore degli occhi azzurri. Come quelli dell’autista che ti portava a scuola ogni giorno.

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