Le macerie di Amatrice per inalzare il sindaco… e poi seppellirlo

Rita Cacciami

In punta di stiletto. Il veleno è previsto nella ricetta.

Rita Cacciami

di RITA CACCIAMI
Vice direttore
L’inchiesta Quotidiano

 

Mi ha colpito da subito. All’alba di quel terribile giorno con la voce rotta dal pianto. Ho pensato fosse anziano. Fragile. Forse un po’ malmesso. Erravo. E’ diventato in poche ore e nei giorni a venire il coach più amato dagli Italiani. Per ora.

Cinquantuno anni. Indossa la felpa bianca con il logo del suo paese con orgoglio. Lo stesso con cui Marchionne guida una Ferrari. O un’Alfa Ro meo. Dirige la comunità a schema, adora la zona pura e se deve marcare a uomo non guarda in faccia a nessuno. Puoi essere anche il capo supremo, ma di fronte alle macerie del suo paese devi toglierti il cappello. E fare ammenda. E’ così che abbiamo imparato a conoscere Sergio Pirozzi, il calcio nelle vene. Sindaco e allenatore all’amatriciana. Trainer senza peli sulla lingua e senza capelli in testa. Rude ma educato, virile quanto basta. Mai dinoccolato. Sempre ben eretto sulle gambe.

Come un vero leader batte i pugni sul tavolo e ottiene udienza. Sposta i funerali. Chiede giustizia. Promette sfaceli. Non ci sta. Quasi mai. E quando è in linea, nessuno se lo aspetta. Santi numi. Proprio l’uomo che ci vorrebbe ovunque. A dirigere le poste. O le ferrovie. Uno di quelli che quando si rimbocca le maniche, resta pur sempre un boss. Rendendo operoso anche il fancazzista più incallito. Lo vedrei bene al Pronto Soccorso del Santa Scolastica, alle prese con la sala piena di pazienti in attesa. O all’anagrafe del comune, a discutere con personale e sindacati. O perché no, a discutere con Acea quando i rubinetti restano a secco dal venerdì sera alla domenica pomeriggio.

Ma i Pirozzi non sono graditi. E non piacciono a lungo. Quindi si cerca prima di neutralizzarli. E poi di abbatterli definitivamente. Come i tetti delle loro case. E così, dopo la prevedibile infatuazione si passa alla fase due. Quella del dubbio. Forse indagato. Forse colluso. Magari sapeva e ha taciuto (se è vero si vedrà). Girano soldi. Costruito. Artefatto. Arrogante.

Ci vuole poco. Ma il guaio è che non è solo. C’è anche un prete che gli somiglia. E che ha fatto fare retromarcia persino alle corone di fiori. Non servono. Fanno ombra ai parenti in lutto e in lacrime. Nascondono alla loro vista le bare. I politici? Come le corone. Pari pari. Presenzialisti non a fin di bene. Don Fabio Gammarota come Pirozzi. Senza filtri. Fuori dalle balle chi non è utile alla causa. Due eroi, a modo loro. Su una barca che affonda. Ma sappiamo bene come va.

C’era una volta un comandante. Si chiamava Gregorio De Falco. Suo quel “torni a bordo, cazzo!” imperiosamente gridato a Schettino. Accadde al telefono, la notte in cui affondò la Costa Concordia. Un comando che non ammetteva repliche. E che gli è costato tre anni di esilio con un ruolo di nessun rilievo. Pirozzi, in guardia. Altro che capitani coraggiosi. Un giorno da pecora non ce lo toglie proprio nessuno, in questo nostro Bel Paese. E a belare bene, si sa. Si fa una grande e luminosa carriera.

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