Un addio improvviso. Nemmeno il tempo di scoprire la malattia e comprendere che non darà scampo. Ofelia Palombo è stata il pilastro delle Segreterie di Mario Abbruzzese
Ho partecipato ad uno dei tanti funerali di questo nostro tempo. Ma non sono mai uguali. Lasciano lacerazioni, dubbi, lacrime sempre differenti. L’addio ad Ofelia, però, è andato oltre.
I suoi figli, due adulti, l’hanno salutata con una innocenza e una gratitudine che credevo possibile solo nell’infanzia, come sentimenti in dissolvenza progressiva.
Quell’essere grati alla madre che ti ha messo al mondo e poi si è presa cura di te, ti ha preceduto e ti ha accolto, ti ha guardato le spalle e valorizzato. Parole che spezzano il cuore più arido, perché non di circostanza, ma d’amore.
Per una donna andata via in un attimo. Giusto il tempo di capire di non star bene e subito dopo avere la certezza di non avere scampo. Con la serenità di chi sa che deve lasciarti nel ricordo limpido di ciò che è stato e che non sarà dimenticato.
Ofelia e la normale straordinarietà
Ofelia è stata tante cose. Due per le quali era nota al grande pubblico sono state la sua professione di insegnante e la sua straordinaria capacità i organizzare le cose. À stata a lungo il pilastro della Segreteria dell’onorevole Mario Abbruzzese: quando è stato presidente del Cosilam e quando è stato Presidente del Consiglio regionale del Lazio.
“Non vi dispiacete per me. E’ andata così” ha detto don Remo nel dare voce alla professoressa Palombo, la docente “che ha saputo onorare quell’insegnare a saper fare e saper essere” che la scuola dovrebbe sempre rappresentare. Sostenendo e accompagnando nella crescita, incarnando anche quel pensiero benedettino dell’ora, labora et lege che ha visto questa donna fare grandi sacrifici per studiare, essere una buona cristiana, lavorare per avere il piacere di raccogliere i frutti della terra.
“Tutte le madri sono eccezionali, ma tu sei stata davvero eccezionale: eri la soluzione a qualsiasi nostro problema. E la seconda mamma anche di altri, perché c’eri sempre. Non avevi ruoli alti, non potevi fare grandi favori se non ascoltare. E tanto bastava“.
“Tre mesi fa si pensava a tinteggiare casa, si progettavano viaggi, si pensava alla raccolta delle olive. Dicevi a tutti che eravamo i tuoi capolavori. E tali ci sentiamo. A noi bastava dire sono il figlio di Ofelia e si spalancavano sorrisi e porte“.
Può bastare un elogio funebre a rimettere a posto le cose? Non proprio. Ma serve a pareggiare i conti dentro di sé con quel dolore provato davanti a ciò che resta quando figli e genitori si armano per distruggerla, quella preziosa vita. Quando la cronaca ti schiaffeggia con fatti così aberranti da toglierti l’equilibrio. Una cronaca distante, ma mai abbastanza.