Pigna, canascione e ciambella simboli delle tradizioni da salvare

Pasqua è tempo di dolci e prelibatezze che i nonni amavano preparare con cura e passione. Specialità che affondano le radici nel passato remoto e rendono unico il nostro territorio. Per questo vanno tramandate e valorizzate

Rita Cacciami

In punta di stiletto. Il veleno è previsto nella ricetta.

Sarà perché si avvicina Pasqua. O forse perché domenica è appena dietro l’angolo. Prepotente è il ricordo di certi profumi. Sapori. Sensazioni di cultura antica, di ricette che si tramandano e ti ricordano il passato. Quando dai nonni trovavi quel dolce che a molti non piace. E che a te fa impazzire. Perché rustico, un po’ grezzo. Ricco ma non morbido. Un po’ come le nostre esistenze.

La pigna. Semplificata, strutturata, resa lieve come un ciambellone. Mille modi. Ma quella autentica resta senza eguali. Tanti canditi, impasto lievitato 48 ore e tosto, uva passa e quel sapore zuccherino che ti conquista.

Non piace ai bambini ma era un lusso

Difficile che piaccia ai bambini. Eppure a me faceva impazzire. Ed era un lusso di una volta l’anno, nella cucina di mia nonna. Magari non la preparava neanche lei, ma chi se lo ricorda più. Non avrebbe nessuna importanza e non farebbe alcuna differenza. Nel mio album personale c’è.

Ogni primavera, chi mi ama mi fa dono della pigna più simile a quella lì. E ogni volta continuo la mia ricerca personale pensando di averla trovata. Riconosciuta. Ma non finisce così. Perché se fosse proprio la stessa, il gioco della memoria sarebbe concluso. E non avrebbe più senso.

Altro paese, altra terra. Una zia che era un mix di grembiule e pazienza sfornava ciambelle e canascioni. Dalla mia altezza sembravano un quantitativo enorme in quella piccola cucina. Sgranavo gli occhi di fronte a quelle bontà dorate e perfette, ne pregustavo tutto. E lei me le faceva portare via nella carta velina bianca, chiuse in due scatole di cartone.

Un dono che profumava tra le mie braccia lungo le scale senza ascensore. E  che purtroppo finiva sempre troppo presto. Uno dolce, l’altro salato. Ma anche qui le metafore potrebbero rincorrersi a perdifiato.

Intrecci di culture da non dimenticare

Queste erano le radici e non si toccano. Eppure, ogni città o paese in cui si vive lascia un profumo differente. Da nord a sud, tra colori naturali. E cotture diversificate. Imparando inedite combinazioni. Provando quelle connessioni gastronomiche che rivelano intrecci di culture. Di popoli distanti in origine. Eppure destinati a diventare l’uno ispirazione culturale dell’altro. Utilizzando i prodotti che ogni terra custodisce e dispensa.

Gustarli, apprezzandone la fattura e il tempo che gli viene dedicato, serve ad onorare i tanti nonni e bisnonni che hanno reso grandi le nostre tradizioni.  Quelle che ci rendono unici al mondo. E che meritano di non essere mai dimenticate.