Zozzoni di tutta la città, guardatevi

Quelli che non fanno la differenziata, quelli che l'olio lo battano nel lavandino, quelli che il mixer rosa lo abbandonano nell'aiuola, quelli che si fanno la birretta e lasciano la bottiglia sulla panchina, quelle che non vogliono i mastelli e quelli che appiccicano la gomma sulla panchina...

Rita Cacciami

In punta di stiletto. Il veleno è previsto nella ricetta.

Non ho mai capito perché le persone si indignano quando si parla di rifiuti. Tutto ciò che scartiamo è frutto del nostro lavoro, è scandito dal tempo quotidiano, è ciò che abbiamo scelto e acquistato, utilizzato e poi infine gettato via. E’ componente delizioso di piatti gourmet e di abbinamenti spesso anche spregiudicati, speziati e anticonformisti. Tolte le bucce e gli scarti, ovviamente.

È parte della nostra vita, a tutti gli effetti. E noi, che del tempo e dello spazio abbiamo una visione molto personale, li gestiamo secondo i nostri (poco ortodossi) criteri.

Pensieri (non troppo) circolari

Il mixer rosa abbandonato

Esempio. Il mixer rosa che ci piaceva tanto e che non funziona più, dove lo butto? Ha il filo della corrente e materiali raee. Ma è anche di plastica. E allora vince lei, su. Non c’è storia. Però perché aspettare il venerdì? Lo porto giù, faccio due passi e lo ‘appoggio’ nell’aiuola dei giardini pubblici. Mica sul terreno, pare brutto. Lo lascio in quel vaso rettangolare realizzato in legno che fa tanto sostenibile. Magari a qualcuno piace e se lo porta via. Lo ripara anche, che non sarebbe male, e lo riutilizza. Così facciamo anche un po’ di riciclo virtuoso. Tutto questo deve aver pensato chi lo ha messo ‘in vetrina’ per giorni. Finché un’anima buona non lo ha rimosso.

Intanto, sulla panchina c’è un signore che ha appena fatto la spesa e rovista nella busta. È sempre bene controllare lo scontrino (da far scivolare con nonchalance tra l’erba) e poi, fatti due conti, farsi venire voglia di una bella birretta. C’è il prezzo sulla bottiglia, che faccio? Un po’ dà noia, come sul dentifricio. Ce l’ho tra le dita, basta attaccarlo sullo schienale della panchina e guardare anche se aderisce bene. Con malcelata soddisfazione. Un po’ mi ricorda quelli che sotto il banco di scuola in legno e formica ci appiccicavano di tutto. Guai ad andare a sbirciare là sotto…

L’isola (ecologica) che c’è

Sete soddisfatta,  vuoto a perdere. Portarselo a casa, giammai. Fare due passi in più verso il cestino dei rifiuti mi pare una perdita di tempo. Meglio trovargli una collocazione anche artistica. Direi che il tronco di un albero che presenti una cavità irregolare, in qualche modo somigliante ad una edicola (non quella dei giornali, eh) è proprio come il cacio sui maccheroni. Aggiudicato. E’ nella cornice sua.

Se vogliamo dirla tutta, c’è anche chi davvero fa delle creazioni molto particolari, che potrebbero anche andare all’asta. Ma parliamo di menti sopraffine. Quelle che infilzano le siringhe usate nel cartone dei medicinali senza però smaltirle negli appositi contenitori accanto alle farmacie. Li lasciano in bella vista perché fanno un bell’effetto.

L’isola ecologica nel centro urbano? E’ come la millefoglie. Più alta la fai (la catasta di sacchetti sparsi, altro che tessera per conferire), e più ti si sparge la monnezza intorno come zucchero vanigliato e pezzetti di pasta sfoglia.

I tre fori per piccoli raee, batterie esauste e medicinali mi fanno tanta tenerezza. Ignorati da anni. L’olio che ha fritto centinaia di crocchette e supplì? Va giù che è una bellezza nello scarico del lavandino. E’ la morte sua.

La battaglia dei mastelli

E poi c’è lei. La signora del secondo piano. Quella che vuole i mastelli davanti al suo condominio. Mentre gli altri no. E allora è guerra. Su quelle rotelle cambiano direzione tre volte a settimana. E li spinge e li sposta e li fa caracollare. Dondolano, si rompono. Passa la gang del sabato sera e gli dà fuoco. Problema risolto, no?

La puzza di plastica bruciata sovrasta quella della monnezza. E’ questa  la forza dell’umanità. E del sano convivere cittadino.