L’organo a canne (il Duro del weekend)

Luciano Duro

Narratore e Sognatore

«Vieni, ascolterai la musica come mai l’hai ascoltata». Eravamo due ragazzi, da poco lui era entrato a far parte della band. Ma la sua grande aspirazione era sostituire il vecchio maestro cieco nelle funzioni religiose e aveva grande rispetto per quell’uomo che da bambino gli aveva insegnato a suonare il maestoso organo a canne installato nella chiesa di San Lorenzo.

Entrammo da una porticina che pareva essere sorretta a stento da due vecchie cerniere ormai stanche di essere sollecitate. Percorremmo una scala di legno stretta e buia, la conosceva gradino per gradino, tante volte aveva condotto il suo maestro in quell’angusto tragitto. La chiesa era vuota non c’erano fedeli, neanche il parroco e il sacrestano, lui sapeva benissimo gli orari delle funzioni religiose perchè spesso era venuto ad esercitarsi, senza che nessuno lo ascoltasse o lo vedesse, troppo prezioso era quell’organo per essere manipolato dalle mani di un ragazzo.

Il percorso parve lungo, per i gradini sconnessi e per il timore che qualcuno ci scoprisse. Arrivammo su una sorta di loggia, in alto, non c’era tempo da perdere, «Ascolta, mi disse, adesso suono “A Writer shade of Pale”». Era un brano famoso perchè inciso in italiano dai Dik Dik con il titolo “Senza Luce” al quale Mogol adattò un testo molto distante dalla traduzione originale. Poggiò le mani sulla tastiera, con la stessa grazie e la leggerezza di chi spolvera un prezioso oggetto di cristallo e ne conosce la fragilità. La musica fuoriusciva da quelle canne e si diffondeva occupando ogni spazio disponibile. I tasti che la mano sfiorava mettevano in vibrazione la mia anima. Ero affascinato dalla totale astrazione che si può raggiungere tramite la costruzione musicale.

Quell’organo le cui canne erano sapientemente disposte vestivano la musica di una sacralità che mai avevo colto attraverso i diffusori del mio impianto HI-FI, tanto che mi rivolsi all’amico con sussiego, intimidito dal’ambiente sacro che sembrava essere profanato.«Non è forse il caso di suonare questa roba in chiesa». «Non temere – replicò convinto – conosci solo Beatles e Rolling Stones, questa é musica classica e sacra, il pezzo è ispirato all’ Aria sulla quarta corda dalla Suite n. 3 in sol maggiore di Bach». Restai stupito dalle sue conoscenze, non lo facevo così appassionato di classica e confesso oggi che mi sentii allora molto ignorante, e qualche giorno dopo lo pregai di scrivermi dei titoli di dischi che potessi ascoltare per approfondire i mie interessi musicali.

Te ne sei andato via dopo un lungo sonno, insieme a quel prezioso organo, ormai in disuso che nessuno suona più, ma non mi hai lasciato solo, quando la sera, sentirò la tua mancanza, aprirò la finestra e ti ascolterò mentre esegui la nostra musica, solo allora capirò che ancora ci sei e non sarò triste.

Questa mattina prima della cerimonia funebre, mentre entravamo nella stessa chiesa, ci ha accolto, diffuso da un altoparlante “A Writer Shade of Pale“, non può essere una coincidenza, un omaggio, con un brano da lui tanto amato, non voglio crederlo, forse la nostra storia era già scritta.

Siamo viaggiatori di passaggio, su questa terra, che sperimentano la vita, non ci è dato conoscere il tempo per riempire la nostra bisaccia, ma è certo che la morte è l’ultima grande esperienza che sintetizza tutto il percorso terreno di quello che è stato e di quello che doveva essere. Ma una cosa, mentre commosso ascoltavo, mi è stata chiara: la musica è un dono divino, esprime gioie e dolori, parla alla mente e al cuore. Senza che ce ne fossimo accorti, quella sera avevamo sperimentato la presenza di Dio.

error: Attenzione: Contenuto protetto da copyright