Antonello Coletti Conti, l’ex astemio che da 11 anni miete premi con il suo vino

L'incredibile storia di Antonello Coletti Conti. L'ex astemio che da 11 anni consecutivi stupisce il mondo del vino con i suoi Cesanesi e la Passerina del Frusinate. Tutto iniziò per caso. E con molta fortuna. "Che non piove dal cielo"

Marco Stanzione

Non invitatemi mai a bere...

C’era una volta un Papa, un astemio e un visionario… sembra l’incipit di una barzelletta. Ma non è così. Questi sono semplicemente i tre punti cardine di una storia vitivinicola centenaria ed avvincente.  L’appuntamento con Antonello Coletti Conti è ad Anagni, mi fa salire in macchina, giriamo per le vigne: le casse dell’impianto stereo pompano nell’abitacolo le note di Atom Hearth Mother dei Pink Floyd, ogni tanto fa capolino Shine on You Crazy Diamond ma quella è solo la suoneria del suo telefono… Capisco fin da subito che oggi ci sarà da divertirsi!

La Storia e il Pontefice
Il vigneto La Caetanella

I vini di Antonello Coletti Conti  sono ormai dei classici del Basso Lazio, eccellenti, rinomati e premiati costantemente; questa però è cosa nota a tutti, io voglio saperne di più e per fortuna incontro Antonello in stato di grazia: “Sono una persona sincera e non ho problemi ad ammettere che nella vita sono stato fortunato, in questa azienda ho dato anima e corpo ma sono stati dei colpi di follia a spianarmi la strada. Certo non è che la fortuna cala dal cielo a casaccio, il lavoro duro ha pagato ma sono anche consapevole che non a tutti possano capitare situazioni simili alle mie”.

Antonello è un personaggio eclettico e schietto: “Siamo ad Anagni, la città dei Papi, la zona in cui ci troviamo si chiama Caetanella e durante il pontificato di Bonifacio VIII (Benedetto Caetani) i miei avi, la famiglia Conti, vendettero queste terre alla famiglia Caetani, successivamente negli anni queste terre tornarono alla mia famiglia ma la testimonianza di questa compravendita è ancora conservata in un documento che è custodito a Roma dalla fondazione Caetani. Questo dimostra che i terreni che danno oggi i nostri vini appartenevano ai Conti già dal 1200”.   

Nel corso dei secoli si susseguono generazioni, culture e colture, fino ad arrivare alla storia recente: “Il primo ad imbottigliare vino sono stato io, mio padre lavorava le vigne, vinificava e vendeva il vino sfuso, oppure vendeva l’uva alla Cantina Sociale. Ad inizio degli anni ’90 papà iniziò ad ammalarsi e il suo fisico non reggeva più, quindi mi sono ritrovato a prendere le redini dell’azienda. Io, poco pratico ed inesperto; non potrò mai scordarlo, era il 7 gennaio del  1992, dovevo vigilare altri agricoltori che facevano la potatura e io non sapevo reggere in mano un paio di forbici, da allora decisi di dare anche una svolta alla mia vita, iniziando a dare anima e corpo all’attività di famiglia, studiando, ricercando, a chiedere consigli e a rompere le scatole a persone che ne sapevano molto più di me!

Sconfiggere l’Astemio

C’era un problema però, Antonello è l’astemio della nostra storia e di bere vino proprio non gli andava (niente panico, tutto si aggiusterà!): “Mio padre ha sempre bevuto vino a tavola, non si sedeva mai con la famiglia se prima non aveva la bottiglia di vino di fronte, non si poteva assolutamente bere acqua. Ma a me non piaceva nemmeno l’odore, quindi il mio approccio col vino è stato di totale rifiuto. All’inizio della mia avventura nelle vigne mi ero appassionato molto di vita contadina ma il vino continuavo a non berlo».

«Succede poi che nel 1995 esco con la prima annata del Cesanese Hernicus (vinificato all’epoca nella cantina sociale del Piglio che dava questa opportunità alle piccole aziende) prendo qualche bottiglia e salgo al Vinitaly, così, totalmente alla cieca, o la va o la spacca! Tra i banchi della fiera conosco Marco Trimani titolare di una prestigiosa enoteca di Roma che aveva rilevato una vecchia azienda storica di Anagni, cantina Colacicchi. Visto che non era attrezzato mi chiese se potevo aiutarlo a fare i primi trattamenti in vigna, gli feci questo favore e non volli nemmeno una lira».

L’uva di Coletti Conti

«Per sdebitarsi mi fece dono di una cassa con una dozzina di bottiglie di alto pregio ma io, astemio, non immaginavo nemmeno il gusto ed il valore di quelle bottiglie, così le riposi in cantina  (calmatevi, rilassatevi,ve l’ho detto tutto si aggiusterà!). Qualche mese dopo avevamo ospiti a pranzo, mia madre fa il classico abbacchio al forno e mi fa “Antonè perché non prendi una bottiglia di vino, una di quelle di Trimani?” . Scendo in cantina e ne prendo una a caso, tanto per me una valeva l’altra. I commensali apprezzarono molto e decisi di assaggiarla… Boom! Amarone Allegrini del 1990 e fu subito amore. Epifania. Fu quello il giorno in cui scoprii che il vino era diventato la mia stella polare” (ve l’avevo detto che tutto si sarebbe aggiustato!).

La Svolta e la Fortuna

Questa è la svolta personale ed umana, il primo step. Decisivo tra l’altro perché l’Hernicus piacque al Vinitaly ’95, ad Antonello iniziavano a piacere i vini…dunque perché non avviare una cantina?

Detto fatto? Non proprio, i dubbi erano tanti e la paura di fare il passo più lungo della gamba c’era, ma c’era anche parecchia determinazione. La consapevolezza è venuta con gli anni, con dei cambi radicali e con varie sperimentazioni. Arriviamo nel nuovo secolo e la creatura Coletti Conti inizia a prendere forma, i vigneti vengono piantati a filari e nuove terre vengono acquistate.

Antonello Coletti Conti

Nel 2001 il GAL dei Monti Prenestini affidò ad un enologo molto famoso, Roberto Cipresso, il compito di fare degli studi approfonditi sul Cesanese e sulle sue effettive potenzialità. Dopo aver vinificato diverse campionature questi riunì ad Olevano Romano una manciata di produttori per spiegare i risultati di quella ricerca. Porta con se tre bottiglie senza etichetta ne capsula ce le fa assaggiare ed è di nuovo Boom! Inutile dire che noi produttori ci siamo sentiti all’improvviso una manica di imbecilli perché non avevamo mai assaggiato il “nostro” Cesanese così buono, era eccezionale! E’ stato il momento in cui ci siamo resi conto di avere l’oro in mano”.

Tuttavia quelle splendide creature erano state prodotte in Toscana, a Sarteano in provincia di Siena, nella storica Tenuta di Trinoro del Barone Franchetti. Andrea Franchetti è il visionario della nostra storia perché lui amava il Cesanese fin da ragazzo quando il padre lo portava su a Roma passando per la Ciociaria, un vino che ha sempre apprezzato e che gli ricordava la sua infanzia. Piantata questa selezione di barbatelle di Cesanese selezionate da Cipresso, Franchetti tirò fuori questo vino clamoroso.

Andrea Franchetti, il winemaker che scoprì il talento di Coletti Conti

Subito si organizzò una delegazione di produttori per andare a conoscere questo Franchetti: “C’ero io, il padre di Maria Ernesta Berucci (leggi qui Berucci, quando il Cesanese si sposa con l’arte), l’allora responsabile della Cantina Sociale e qualche altro produttore, andammo a Sarteano e conoscemmo Franchetti, tornammo in Ciociaria carichi di esperienza e anche con qualche Barrique usata dalle Tenute Trinoro».

«In una di queste misi del Cesanese che avevo fatto qualche mese prima per consumo personale nella vecchia cantina di mio padre, i primi tempi lo tenni sotto controllo, poi mi stufai e lo lasciai li, chiuso in barrique con mastice enologico. Dopo un anno e 4 mesi quasi l’avevo dimenticato, torno in cantina e per curiosità assaggio il quel vino pronto a dare a mia madre un bell’aceto in barrique ed invece…caspita non è aceto, passa mezz’ora e caspita è davvero buono».

«Chiamo subito Andrea Franchetti che insiste per assaggiarlo, nonostante i miei timori lo sottopone ad una degustazione di intenditori in un locale romano e da li parte davvero la mia storia, con l’apprezzamento di gente che nemmeno immaginavo e con Andrea Franchetti che mi incita a fare sul serio con la cantina

«Ecco la mia fortuna, da una barrique che avevo lasciato in cantina perché stufo di controllarla nasce il mio primo vino di qualità. La sorte mi è stata vicina nelle annate con grandinate e temperature rigide, l’ho scampata sempre! Caro Marco ho un debito con la fortuna che nemmeno immagini!

I Vini

L’etichetta dei vini di Coletti Conti, ispirata al Cosmato

Il resto è storia recente, la creatura Coletti Conti cresce, le degustazioni sono sempre più convincenti ed il suo nome inizia a circolare su giornali e siti internet specializzati in Italia e all’estero, il Cesanese va pian piano sdoganandosi e iniziano ad arrivare i primi riconoscimenti da Gambero Rosso e Bibenda. Oggi Coletti Conti può vantare 11 anni di premi consecutivi ed un apprezzamento sempre in crescita.

Mentre chiacchieriamo Antonello apre 3 bottiglie e vi assicuro che è un piacere degustarle dopo aver ascoltato la loro genesi!

Iniziamo con Cosmato 2017, il Bordolese di casa Coletti Conti: 40% Cabernet Franc, 30% Merlot, 20% Cabernet Sauvignon e 10% di Cesanese. In teoria sarebbe il vino rosso d’entrata dell’azienda ma Cosmato è davvero un bel prodotto, è abbastanza strutturato e ha caratteristiche davvero particolari. Si presenta al calice rosso rubino con lievissimi riflessi granati, al naso emergono sentori tipici dei tagli bordolesi, frutta di bosco come mirtilli, lamponi, note vegetali e speziate come peperone e paprika. In bocca è abbastanza ampio e rotondo, di buon corpo e buona persistenza, abbastanza fresco e vivace. Un vino trasversale, può abbinarsi agli antipasti di salumi e formaggi ma anche con carni alla griglia.

Il Romanico, top di gamma

Prende aria e respira come si deve il Romanico 2017, vino di punta dell’azienda, Cesanese d’Affile in purezza, proveniente da un singolo vigneto. Qui ci troviamo di fronte ad un vino che punta dritto al cuore, che ti fa innamorare subito nonostante la sua irruenza. Già a guardarlo perdi la testa, rosso granato limpido, quasi brillante; al naso è un’esplosione di profumi, frutta matura, tabacco, caffè, cuoio, leggerissime note balsamiche, al palato ecco l’irruenza nel senso che ti bombarda da subito con tutti i profumi sentiti al naso, ma poi ti accarezza, ti inebria e ti conquista. Robusto, morbido, avvolgente e dai tannini molto delicati, persistenza buona e siamo solo al secondo anno di età, conserverò una bottiglia e l’aprirò tra 2-3 anni, già non vedo l’ora.

La sorpresa di questa giornata è però Arcadia 2016. Lungi da me sminuire Cosmato e Romanico, sono vini eccezionali ma sono una conferma, già immaginavo la loro qualità. Arcadia invece non l’avevo mai assaggiato e non avevo mai provato l’Incrocio Manzoni. Uva che nasce in Veneto negli anni ’30, dagli esperimenti del Prof. Luigi Manzoni, Preside della scuola enologica di Conegliano.

Romanico e Arcadia

Nasce dall’incrocio del Riesling Renano e il Pinot Bianco, e le caratteristiche di quei vitigni ci sono tutte. Antonello lo ha piantato qui per ragioni sentimentali visto che in gioventù il nonno materno era stato allievo proprio del professor Manzoni alla scuola enologica. Vino di qualità eccellenti, fine, profumato e decisamente di corpo, siamo infatti sui 15°. Tuttavia è fresco, dotato di buona sapidità ed estremamente equilibrato, si potrebbe abbinare a molti piatti di pesce, soprattutto quelli più grassi e crostacei. Non sfigura nemmeno con carni bianche  e primi piatti. Ma come consiglio spesso quando mi trovo di fronte a vini eccellenti, bevetelo prima da solo, senza mangiare nulla, godetevelo per bene, assaporatelo in purezza e poi decidete se andare a mangiare o no, l’importante, e credo che Antonello sia d’accordo, è che ci siano i Pink Floyd in sottofondo!