L’oro delle donne… è una Birba (Nunc est bibendum)

L'Oro delle Donne è un brand affermato nel campo oleario. Ora ha lanciato una sfida nel mondo delle birre artigianali. Come nasce Birba: malto d’orzo, frumento Senatore Cappelli e luppolo interamente coltivati nelle zone di produzione

Marco Stanzione

Non invitatemi mai a bere...

Tra le tante tradizioni enogastronomiche del belPaese quella dell’olio extravergine d’oliva è sicuramente tra le più longeve e ricche di soddisfazioni. Il filo dorato che ha attraversato i secoli ha origini che si perdono nella notte dei tempi, ha valicato continenti, miti e generazioni, dalle sponde del Tigri e dell’Eufrate agli antichi Greci fino ad arrivare ai Romani che impararono l’arte che aveva spopolato nell’intero bacino del Mediterraneo. Una coltivazione che si è diffusa in tutto il territorio nazionale e che nel Lazio è rimasta salda fino al giorno d’oggi.

L’olio, le Donne, il Vino e la Birra

Uno degli uliveti dell’azienda L’Oro delle Donne

E proprio a due passi dalla Capitale, a Marino in piena zona dei Castelli Romani, si trova l’azienda agricola “L’oro delle donne” che fa del proprio olio extravergine d’oliva un vanto da diversi anni.

Il nome stesso dell’azienda è un omaggio alla donna ed un richiamo alla fertilità: “Gli anni del dopoguerra sono quelli della rinascita della dell’olivicoltura e della viticoltura nell’Agro romano, grazie alla distribuzione di nuove terre agli agricoltori, incentivando la messa a dimora di nuove piante. In quel periodo, quando nasceva un figlio, si seminava in un vasetto, un olivo.Ti servirà da dote” dicevano le madri alle figlie, sarà messo a dimora quando sarà il momento di sposarsi. Un legame dunque, eterno e indissolubile.

A spiegarmi il concetto alla base dell’azienda è Chiara Gargano, figlia dei titolari. Lei, dopo aver terminato gli studi all’università ritorna dove è cresciuta per dare una mano all’attività di famiglia. Ma Oro delle Donne è un’azienda in pieno “fermento” e non si pone limiti: olivicoltori e viticoltori da diverse generazioni e, coerentemente al loro concetto di oro e donna, hanno pensato bene (benissimo direi!) di continuare a produrre oro, con le bollicine e col nome di donna, la Birra!

Birba Blonde ALE

Un esperimento che ha dato vita alla prima creatura, la Birba Blonde ALE, un prodotto artigianale di assoluta qualità e di elevata bevibilità, cosa non scontata quando si parla di birre artigianali.

La birra… Birba

L’idea di iniziare a produrre birra è venuta proprio a me” prosegue Chiara “ci sto lavorando da almeno due anni, è uno step ulteriore che voglio fare per l’azienda di famiglia. Mio nonno era viticoltore e tutt’ora facciamo vino. I miei genitori si sono specializzati nell’olivicoltura. Credo che i tempi siano maturi per questa nuova sfida”.

Oro delle Donne deve essere per forza rappresentata da una birra, non solo per la femminilità del sostantivo ma anche perchè si narra che una la prima ad utilizzare il luppolo nelle giuste dosi per fare la birra fu proprio una donna, la Badessa Hildegard von Bingen, già nel 1067.  Abbiamo iniziato con le materie prime nei nostri terreni e nel 2019 abbiamo fatto uscire sul mercato la nostra prima creatura, Birba“.

Birba è il risultato di una lavorazione scrupolosa, fatta con materie di prime selezionate scrupolosamente: in primis la scelta di lavorare con il frumento “Senatore Cappelli”, una storia nella storia, una cultivar di grano duro inventata dal genetista Nazareno Strampelli ormai un secolo fa e dedicata da lui stesso al marchese abruzzese Raffaele Cappelli, senatore del Regno d’Italia, che lo aveva sostenuto nelle sue ricerche. Dunque malto d’orzo, frumento Senatore Cappelli e luppolo interamente coltivati nelle zone di produzione dell’azienda

Artigianale vera

Birba è una birra artigianale a tutti gli effetti, Blonde Ale ad alta fermentazione, non filtrata e non pastorizzata, rifermentata in bottiglia.

Il luppolo Oro delle Donne

Nel bicchiere si presenta giallo dorato abbastanza torbido ed impenetrabile, decisa la schiuma ma si affievolisce in pochi secondi. Profumi intensi e fruttati, meno luppolati rispetto ad una American Pale Ale ma comunque ben presenti.

Secca e decisamente “beverina”, va giù che è una meraviglia e, caratteristica che più apprezzo, non appesantisce lo stomaco.

È una birra decisamente Birba, mio padre quando ero bambina mi chiamava proprio così per il mio carattere allegro ed estroverso, quindi volevamo un prodotto che rispecchiasse le stesse caratteristiche, una birra di qualità ma capace di provocare la beva compulsiva“.

Da bere con una bella selezione di formaggi di media stagionatura, non sfigura con una bella pizza bianca, con un hamburger, è piuttosto duttile all’abbinamento e ha una discreta capacità sgrassante. Io l’ho bevuta alla mia maniera, come alle feste della birra d’estate, bicchiere pieno di Birba e noccioline, perché a noi ci basta poco per essere felici!

Consiglio di stappare una bella bottiglia di Birba e mettere su “Pretty Good at Drinkin’ Beer” di Billy Currington in sottofondo, scenderà ancora più velocemente ma in totale relax, come la canzone!