
Il confronto tra i sindaci Salera di Cassino e Rà di Corleone solleva riflessioni sulla rappresentazione delle città e l'importanza di evitare stereotipi. Entrambi cercano di affrontare problemi reali, ma con approcci che richiedono maggiore sensibilità e consapevolezza.
Uno scontro tra sindaci, un paragone infelice, un passato pesante e un presente che non perdona sviste retoriche: il botta e risposta tra Enzo Salera, primo cittadino di Cassino, e Walter Rà, sindaco di Corleone, offre materia per riflessioni che vanno oltre l’orgoglio municipale e toccano una questione più profonda. Quella delle parole e del loro peso. E del fatto che la verità, spesso, se ne sta scomoda proprio lì, nel mezzo.
Tutto nasce da un’espressione usata dal sindaco di Cassino in Consiglio comunale, nel tentativo (legittimo) di ridimensionare l’allarme sulla sicurezza dopo alcuni episodi gravi, tra cui l’incendio dell’auto di un magistrato. “Cassino non è diventata Corleone”, ha detto Salera, pensando probabilmente a un cliché — quello della Corleone di Riina e Bagarella — che è diventato sinonimo automatico di mafia e criminalità.
I due sindaci
Solo che Corleone, oggi, non è più quella Corleone. E lo sa bene chi la vive, chi la amministra e chi ci mette la faccia, come Walter Rà. Il quale, giustamente, ha rivendicato il cammino di riscatto civile e sociale della sua città, chiedendo rispetto per una comunità che da decenni lotta per scrollarsi di dosso lo stigma di essere “capitale” della mafia. E ha ragione: perché le città non sono le colpe dei loro peggiori figli. Né possono essere inchiodate per sempre a un passato che stanno cercando di superare con fatica e coraggio.
Ma anche Salera non è un folle scivolato nella provocazione gratuita. Aveva un problema da affrontare: la narrazione crescente (e spesso strumentale) di una Cassino “fuori controllo”. E ha scelto — male — di usare il paragone più impattante, la metafora più cruda per dire: “Non siamo al collasso”. Ha sbagliato, certo. Ma non è un insulto, è una goffaggine comunicativa. Involontaria, infelice, umana.
Il punto è che nessuna delle due città merita la semplificazione: Cassino non è Gomorra e Corleone non è più Cosa Nostra. L’una ha avuto negli ultimi mesi dei segnali di allarme (che vanno affrontati senza isterismi), l’altra una storia dolorosa che però non può diventare eterno alibi per l’Italia benpensante quando deve fare i paragoni.
Sensibilità collettiva
In tutto questo, è chiaro che i sindaci rappresentano non solo un Comune, ma anche la sensibilità collettiva delle persone che amministrano. Ed è proprio per questo che serve una lingua nuova. Più consapevole, meno caricaturale. Meno da talk show, più da manuale di cittadinanza.
Perché se continuiamo a ragionare per stereotipi — Cassino come il Bronx, Corleone come il regno del Padrino — finiamo per perdere due volte: una sul piano della realtà e una su quello della convivenza civile.
In fondo, entrambi i sindaci hanno detto qualcosa di vero. Salera ha ricordato che non si può gonfiare tutto all’inverosimile. Rà ha ricordato che non si può restare incollati alle etichette del passato. E forse, da quest’incidente diplomatico tra sud e sud — che più che uno scontro pare un cortocircuito culturale — può venire un invito utile a tutti: usare meno paragoni, fare più paragoni giusti. E capire che le città non sono dei titoli di cronaca, ma delle storie in divenire. Che meritano rispetto, ascolto e, ogni tanto, un po’ di misura.