
Le esequie di Francesco ed il messaggio che è passato, e che ha scavalcato il cerimoniale come Francesco scavalcò i ricchi
Senza baldacchino: la cosa che ha colpito di più, sia pur annunciata e vista da tempo dai milioni di fedeli che cumulativamente hanno detto addio a Papa Francesco è stata quella. Un Papa Re senza neanche un baldacchino che testimoniasse che in quel momento il mondo terreno diceva addio ad un sovrano in piena regola. Perché vale la pena ricordarlo: la formula di governo del Vaticano è la monarchia assoluta.
Quello che hanno rimandato le dirette tv, in streaming, le pelosità sui dresscode, sulla disposizione degli astanti di calibro, le centinaia di migliaia di immagini social è stato il senso di un rito atipico e gigantesco. E non perché improntato per volontà del defunto Pontefice a quel pauperismo che lui aveva fatto cardinale nella sua missione terrena e che noi leggiamo sempre nell’ottica del formalismo utile, ma per un altro motivo, più grande ed ancor più percettibile.
Non solo Occidente

Il senso assoluto di ecumenicità che l’opera di Francesco ha saputo dare al cristianesimo proprio nel momento in cui molti credevano (e speravano) che la Chiesa fosse e rimanesse sovrastruttura etica del solo Occidente. Quello ricco, quello che decide, quello che dà la rotta a tutti gli altri. Si è capito subito invece che quello che stava dicendo addio al papa con la croce d’argento era lo stesso mondo vasto che lui aveva voluto investire della responsabilità di testimoniare la Parola.
Da vivo lo fece apposta, Papa Francesco, nominando cardinali in quelle parti del pianeta dove l’Ovest panzone e turbocapitalista perde diottrie e grip morale, da morto il trucco gli è riuscito ancor meglio. Ed ancor meglio è stato evidente avendo come contrappunto il rigido protocollo previsto per le esequie di un Pontefice romano.
La Messa Esequiale ha assunto quindi il tono paradossale di un momento di Massima Solennità Protocollare e di uno spaventoso singhiozzo comune, quello che ha parlato mandarino ed arabo. Quello dei detenuti che hanno seguito tutti, in “oikumene” recluso, il rito per dire “ciao” ed assieme “grazie” al loro beniamino.
Carcerati connessi

Di un pianto sincero che ha schiuso la vastità del mondo, delle sue istanze, delle sue diversità. Ed al tempo stesso dell’univocità dei suoi bisogni cardinali.
Pace, tolleranza, amicizia tra diversi e pane per tutti, dal più opulento ed adiposo dei credenti al più scheletrico ed ammalato di orrore di essi, magari mettendo prima il secondo.
E’ passato forte, questo messaggio, ed è percolato anche dalle maglie di un cerimoniale che ha conservato tutta l’austera formalità delle faccende con cui si dice addio ai Re. Solo che questo era un re atipico, un sovrano con le mani pulite perché sporche del sale della terra che masticano i suoi figli più umili.
Gli umili prima dei Capi di Stato

Con 130 delegazioni straniere con Capi di Stato e di governo moltissimi dei quali in aperta conflittualità reciproca non era facile che lo spirito di Papa Francesco aleggiasse al punto da far scolorare quel mesto belletto di interessi. Non era facile pensare a quella bara senza baldacchino con dentro un corpo ossigenato dalla cordialità con Donald Trump a prendersi la scena su possibili colloqui sui dazi a sedersi in seggiola di fronte a Volodymyr Zelensky, ma è successo.
E’ successo con le parole del celebrante, il Decano del collegio dei cardinali, Giovanni Battista Re. E’ successo con quel feretro a terra davanti all’altare, quasi prostrato. Ed è successo con la prima lettura, quella degli Atti degli Apostoli in cui Pietro testimonia con stupore la Passione, morte e risurrezione di Cristo. E con il Vangelo, quello in cui Gesù dice a Pietro: “Pasci i miei agnelli”.
“Pasci i miei agnelli”

Ecco, “pasci i miei agnelli”. Cioè coltiva questo mio mondo secondo quel che vi ho insegnato, metti l’umile prima del ricco e metti il ricco in condizioni di vedere l’umile senza che il suo sguardo obeso lo attraversi, immune alle urla. Metti le costole esposte prima del colesterolo alto e non deviare mai da questa strada. La strada dell’uomo nella bara senza baldacchino la cui anima è stata raccomandata al Dio con la Commendatio ac valedictio.
E con le solenni suppliche della Chiesa Romana e delle Chiese orientali. Eppure, al di là del protocollo, al funerale di Papa Francesco ha prevalso un’altra bussola, più completa, ecumenica, appunto.
La bussola della solidarietà
Quella per la quale tutti e quattro i punti cardinali di questo strambo pianeta eugenetico e tutte le loro possibili declinazioni sono state rappresentate ed hanno sostanziato il loro dolore per la morte di questo sovrano scalzo, di questo Re davvero regale perché empatico. Uno che ha lasciato il mondo con le scarpe di un barbone.
Aspersione ed incensazione hanno dato la cifra di quello e di colui da cui ci siamo accomiatati. Un uomo talmente piccolo da risultare immenso. Un papa senza baldacchino che anche nel momento dell’addio ha messo i potenti nell’imbarazzo di contemplare le rovine su cui il loro potere è stato eretto.