La crisi Stellantis ed il “pensiero corto” che secondo Spreafico l’ha generata

Il vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e di Anagni-Alatri sul "pensiero corto" della politica, sul sinodo e sul Natale che arriva

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Senza iperboli ma a cuore aperto. Senza mai perdere di vista quel legame sottile ma fortissimo che c’è fra la spiritualità ed i sistemi complessi in cui troppo spesso essa si fa gemma rara invece che concime fecondo. Con un Sinodo da cui trarre ulteriore entusiasmo di fede e con un Giubileo che diventa occasione per ribadire che non c’è servitù al denaro che tenga, specie in un Paese che ancora fonda per parte la sua forza lavoro sul caporalato.

Tutto questo con un occhio alla Pace attraverso i suoi costruttori, come quel Matteo Zuppi che in molti hanno “deriso” per aver tenuto aperto uno spiraglio di umanità nel carnaio assurdo della guerra di Mosca a Kiev.

Anatomia della fede militante

Come assurdo è parlare oggi della crisi di Stellantis senza mettere nell’equazione la scarsa lungimiranza dei decisori che quella crisi l’hanno o prodotta, o incentivata. E che di certo non l’hanno saputa evitare neanche in eziologia terza. Ambrogio Spreafico – che è vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e, “in persona Episcopi”, di Anagni-Alatri – ha voluto affidarci le sue considerazioni. In occasione di un Natale la cui convivialità il presule si augura diventi modo di vivere, pensare ed agire anche al di fuori della bellissima aura che incombe sul calendario.

Perché la solidarietà, con tutti – migranti inclusi – per Sua Eccellenza è la sola prevenzione dell’aridità che ci sta seccando l’anima. Da Buon Pastore, e da custode di un gregge che è molto di più delle sue piccinerie, pigrizie o pavidità morali.

Eccellenza, A conclusione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo Papa Francesco ha rivolto “agli uomini e donne di Chiesa l’invito a non essere mai ‘rigidi’ verso chiunque ma ad accogliere ‘tutti, tutti, tutti'”. Quanto è difficile perseguire l’ecumenicità del bene in un mondo che ha regole politiche che spesso sottomettono ciò che è bene a ciò che è opportuno?
Foto © DepositPhotos.com

“Il Sinodo è l’intuizione, antica e nuova, di rimettere al centro l’ascolto del prossimo, creando una comune fraternità tra persone diverse. Rigidità, arroganza e senso di sé, al contrario, vanno di pari passo. Quando una persona non sa dialogare e non ascolta, significa che non saprà vivere con gli altre e renderà il mondo peggiore, visto che per struttura umana siamo sociali”.

Una Chiesa che non accoglie tutti non è la Chiesa di Gesù. Accogliere non vuol dire condividere tutto, ma semplicemente è indicare una porta aperta all’ascolto e alla possibilità di aiutare chiunque. Devo dire che a volte si fa fatica ad accogliere e a includere, quando ad esempio persino persone che sono qui da anni ed hanno un sostentamento economico sufficiente devono aspettare mesi solo per rinnovare il permesso di soggiorno e anni per la cittadinanza“.

“Pensiamo a quanto bisogno ha il nostro Paese di giovani, di nuovi italiani che, dopo un lungo processo di integrazione nelle nostre scuole, possono contribuire a ravvivare il nostro tessuto sociale! Mi conforta però il gran numero di persone che nel nostro Paese, non solo nella Chiesa, aiutano e si prendono cura del bisogno degli altri”.

In quanto testimone del cammino Sinodale lei ritiene che forse l’uomo contemporaneo abbia ecceduto nei progetti e negli intenti ma si sia perso nella loro compiuta realizzazione? Non siamo forse troppo pieni di semi da piantare rispetto a quanto poco di essi poi germina nella società?

“Sono convinto che non dobbiamo mai smettere di piantare semi di bene. Come dice la parabola evangelica, non tutti i terreni producono lo stesso frutto, ma si deve avere la pazienza dell’agricoltore. Che anche nelle difficoltà, cerca sempre una soluzione. Se Gesù parlasse oggi, userebbe l’esempio concreto delle devastanti conseguenze dei cambiamenti climatici. Il problema è, spesso, che non abbiamo la fede e la pazienza di coltivare il seme“.

Ambrogio Spreafico

“Buttiamo lì una cosa, ma poco pensiamo al futuro. Siamo in un mondo con scarsa visione e con un pensiero corto, che vuole avere subito, non sa immaginare il futuro. Esso rimane quindi prigioniero dell’immediato. Vogliamo subito vedere il frutto. Penso al dramma della guerra, madre di ogni povertà. Facciamo poco per prevenire e non ci dedichiamo a costruire un terreno possibile per giungere alla pace. L’unico tema che occupa i dibattiti è vendere o dare armi. Ma, in quanto a cercare vie che, anche lentamente, portino a una soluzione pacifica, chi si assume la responsabilità?”.

Un cardinale che ha mantenuto la pace

“Talvolta, hanno deriso il Cardinale Zuppi per i colloqui in Ucraina, Russia e altrove. Intanto le sue azioni hanno mantenuto aperta una relazione, che non è poco, e poi ha salvato vite, ricongiungendo bambini con le loro famiglie! Tuttavia, se non immagini la pace, neanche ti impegnerai a costruirla. Voglio sottolineare una componente essenziale del Cammino sinodale: camminare insieme, vivere nel noi, in una comunione di vita e di dialogo. Questo è il nodo: se continui a pensare che solo tu hai ragione e non accetti il dialogo, come si fa a progettare il futuro? Soddisferai solo il tuo tornaconto o quello del tuo gruppo, ma non il bene di tutti”.

Lei ha affrontato molte volte il tema della violenza sia nelle omelie che nei suoi interventi: quanto c’è di ‘cardinale’ nell’affermazione compiuta della solidarietà e della cura come antidoto alla sopraffazione? E cos’è la solidarietà, un medicamento ex post o una chiave spirituale di prevenzione?
Matteo Zuppi (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

“Come si può non parlare della violenza, in una terra che ha visto gente uccisa, che assiste a risse continue tra giovani e non solo, in cui droga, alcol e azzardo dilagano, creando quell’assuefazione, premessa ad un modo di vivere, che vuol riempire esistenze tristi con la soddisfazione di un momento? E come si fa a non parlare di violenza quando corre sui social come se fosse normale, aizzando passioni tristi, come l’odio verso lo straniero, il diverso, il rom o come l’antisemitismo? Come si fa a non parlare di violenza dopo tanti femminicidi o di fronte all’abuso di persone fragili e di minori, non solo nella Chiesa?”.

“La solidarietà sembra una risposta banale e troppo timida. Si crede a volte che l’unica risposta sia inasprire le pene. Recentemente, a Veroli, ho partecipato ad una bella conferenza per chiedere una moratoria globale della pena di morte, ingiusta ed inutile. C’è bisogno, al contrario, di una cultura di solidarietà, di accoglienza, che sappia proporre la cura necessaria, perché la violenza non diventi il modo istintivo di agire o di rispondere all’insoddisfazione, alla rabbia, alle difficoltà della vita, all’offesa o al male ricevuti”.

La solidarietà come modo di essere

Papa Francesco (Foto: Andrea Giannetti / Imagoeconomica)

“Per questo la solidarietà e la cura dell’altro possono essere una chiave spirituale e umana di prevenzione, ma non solo, direi, devono diventare il modo di essere con gli altri. Infatti, la cura fa crescere un clima di comprensione ed abitua ad abbassarsi verso l’altro, per ascoltare e dare una mano, per lenire il dolore di un uomo e una donna feriti dalla vita. La solidarietà è anche una via per vincere l’inimicizia”.

Papa Francesco, parlando dei corridoi umanitari, finora l’unica risposta realistica alla sfida epocale delle migrazioni, ha sottolineato che non basta accogliere, bisogna integrare! Dovrebbe essere il metodo della Chiesa e della società: accogliere ed integrare chi è ferito, chi non la pensa come te, perfino chi ha sbagliato“.

Il Giubileo 2025 incombe benevolo ed i sistemi complessi nazionali e della Ciociaria si stanno “attrezzando” per la circostanza. Tuttavia alla percezione di essa pare mancare, nelle azioni dei decisori, l’approccio spirituale. Il senso di un evento che dovrebbe essere un’apoteosi di fede, oltre che la summa delle capacità logistiche dei territori. E’ un’impressione oppure Mammona alla fine vince sempre le sue battaglie?

“Non so se vince sempre Mammona, ma ripartiamo dal Vangelo: ‘Non si può servire Dio e Mammona’, cioè il denaro. I servi del denaro sono ovunque, sono disposti a tutto, pur di vendere e compare, ingannando gli altri, e spesso si fanno arroganti, rubando, occupando terre, umiliando, esibendosi, eliminando quelli che non sono d’accordo con loro, trattando i lavoratori come schiavi (vedi il caporalato!). Sono però convinto che l’anima spirituale del giubileo prevarrà, almeno in chi crede nella forza debole della fede e del Vangelo e in chi conserva umanità nel suo cuore”.

“Ci sono forze spirituali da liberare, in tanti uomini e donne di buona volontà. Sempre forza è! Infatti, c’è proprio bisogno di questo: coltivare lo spirito, il cuore, i pensieri, i sentimenti. Le parole di papa Francesco di indizione del Giubileo parlano di speranza e pazienza. Quanto bisogno c’è di speranza in un mondo pessimista e impaurito, che si chiude nei propri confini umani e geografici”.

Liberare le forze spirituali

Foto: Stefano Carofei © Imagoeconomica

E poi pazienza. L’amore è paziente, come dice l’Apostolo Paolo. Chiedetelo a una mamma o a un papà che hanno figli da far crescere. Se non sono pazienti e si arrabbiano per ogni cosa, difficilmente trasmetteranno amore ai figli. Quindi spero che la forza spirituale di questo Giubileo impedisca a Mammona di vincere a scapito del bene di tutti. Se ripartiremo da speranza e pazienza, saremo più che vincitori!”.

Il pellegrinaggio interdiocesano del marzo 2025 sarà un’occasione non solo per partecipare all’udienza di Sua Santità, ma anche per mettere a test una macchina organizzativa che in questi mesi dovrà raccogliere le iscrizioni ed organizzare l’evento. Può darci silloge breve dello stato dell’arte?

“Mi sembra di cogliere entusiasmo, anche se c’è ancora qualche piccolo problema logistico, come, ad esempio, l’ingresso oneroso a Roma. Non c’è cammino senza qualche ostacolo da superare. Per noi, come per i tanti pellegrini che andranno a Roma, sarà un’occasione straordinaria per mostrare di essere popolo, di essere Chiesa davvero cattolica, cioè universale più grande del nostro ‘locale’, che a volte ci imprigiona, un popolo. Mostreremo la bellezza di un ‘noi’, fatto di donne e uomini che, nella loro differenza, cercano di costruire un mondo fraterno“.

Foto: Stefano Carofei © Imagoeconomica

“L’incontro con Francesco, il passaggio della Porta Santa di San Pietro, la celebrazione eucaristica, rafforzeranno questo senso di essere comunità in un mondo così diviso e poco amico“.

“Riscopriremo la gioia di essere perdonati e l’umanità di perdonare. Sono la nostra preghiera e la nostra speranza”.

Lo sconforto della vita in povertà, delle crisi sistemiche come quella di Stellantis, possono risvegliare in tutti un’attenzione più solidale al bene comune e meno agli interessi personali o di parte, percorrendo una visione solidale del mercato al centro delle loro azioni? Rivolgerebbe un augurio di Buon Natale a lettori e cittadini?

“La sua domanda richiederebbe un approfondimento più esteso, perché qui sono in gioco interessi di varia natura, che toccano la politica e la geopolitica. Il mondo è globale, ma spesso noi pensiamo come se fossimo solo l’Italia. “America first” non funziona, né per gli Stati Uniti, né per altri! Purtroppo, la Coop 30 non ha raggiunto gli scopi prefissati, soprattutto nell’aiuto verso i Paesi che subiscono maggiormente le conseguenze dei cambiamenti climatici, non certo provocati da loro. Le agenzie internazionali appaiono impotenti e incapaci di aiutare il mondo a vivere in pace”.

Poco lavoro al di là delle statistiche

Foto Riccardo Squillantini © Imagoeconomica

“I poveri sono sempre più poveri! Al di là delle statistiche nazionali, che parlano di aumento dell’occupazione, vedo solo gente che cerca lavoro e non lo trova o, se lo trova, dura tre mesi e poi via! Certo che così aumenta l’occupazione! Per tre mesi, ovviamente! La crisi di Stellantis è segno di un pensiero corto, senza previsione. Mi chiedo: è possibile pensare ‘insieme’ e pensarci proiettati in un mondo più grande dei piccoli interessi locali, per evitare di affondare tutti? E’ possibile fermare l’emorragia dei giovani dalla nostra Ciociaria, senza costringerli ad inseguire sogni e chimere lavorative altrove?”.

Le vengono in mente esempi diretti di persone o circostanze che hanno incarnato questa necessaria rettitudine etica, cristiana e sociale?

Don Milani aveva cambiato le sorti di giovani periferici, che non avevano mai visto il mare, mostrando loro che ‘la grandezza di una vita non si misura dal luogo in cui si è spesa’. Ho avuto la grazia di partecipare al processo di beatificazione di un giovane congolese, Floribert, di soli 26 anni, che ha donato la sua vita, opponendosi alla corruzione di chi, pur di guadagnare, avrebbe voluto far passare, alla frontiera di cui era responsabile a Goma, una partita di riso avariato, che avrebbe fatto morire molta gente”.

Foto Geralt / Pixabay

“Papa Francesco ci chiede di essere pellegrini di speranza: sono convinto che sia un invito che dovrebbe riguardare tutti, ognuno con le proprie responsabilità. Perché la vita dell’altro, qualsiasi ‘altro’, mi dovrebbe interessare e stare a cuore. Il Natale, festa di un bambino periferico, povero e respinto, eppure principe della pace, perché mite e umile, è l’invito più luminoso a costruire questa speranza, insieme”.

Un Natale come… modo di vivere

“Direi che questo mi sento di augurare a lettori e cittadini: che sia un Natale in cui vivere la convivialità di questi gironi come modo di essere nella vita. Amici, seduti attorno a una tavola che non esclude, rappresentata da quelle iniziative così frequenti in cui è invitato chi è solo, anziano, escluso, povero”.

“Ci sarò anche io nel giorno di Natale con chi si siederà a tavola nella Chiesa dell’Annunziata a Frosinone e di San Francesco a Ferentino nei pranzi di Natale organizzati in moltissime città di 70 Paesi del mondo dalla Comunità di Sant’Egidio assieme a tanti amici che vogliono dare una mano. Buon Natale a tutti, perché sia di pace per il mondo intero!“.