Il caso Stellantis esploso in settimana mette in luce un'emergenza nuova. La parola chiave è delocalizzazione. Ma la politica locale sembra non saperne niente
L’allarme rosso è scattato dopo l’annuncio di mille esuberi alla Sevel, gioiello e modello di efficienza dei plant Fca. Perché le possibili ricadute su Cassino e sull’indotto sono fin troppo evidenti. Il sindaco Enzo Salera ha convocato la Consulta, ma il punto è che parliamo di un tema ampio, sul quale la politica è in ritardo. Sia a livello nazionale che provinciale. (Leggi qui Stellantis, l’inizio della fine del vecchio modello Fiat).
La locuzione chiave è “delocalizzazione industriale”. Si tratta di un argomento estremamente delicato, che è già sul tavolo del premier Mario Draghi. La tematica più complessa, quella che rischia davvero di innescare dinamiche da autunno caldo.
Lo ha ricordato il quotidiano La Repubblica: «Negli ultimi mesi hanno annunciato la chiusura e i licenziamenti la Gianetti Ruote, controllata dal fondo tedesco Quantum, con 152 addetti; la Gkn di Campi Bisenzio, di proprietà del fondo inglese Melrose, con 442 dipendenti; e poi la Timken di Villa Carcina con circa 110 lavoratori. Tutte imprese metalmeccaniche, tutte multinazionali, tutte fornitrici anche per l’assemblaggio di auto».
Delocalizzazione, la parola chiave
Quella delle “delocalizzazioni industriali” è una partita decisiva. Il ministro del lavoro Andrea Orlando ha steso una bozza di norme per rafforzare la responsabilità sociale delle imprese e per introdurre vincoli al trasferimento di produzioni dall’Italia in un altro Paese. Un argomento che tocca anche il concetto di libertà di impresa e di regole europee sulle attività economiche. Uno scenario che sta interessando soprattutto i fornitori dell’industria dell’automobile, con inevitabili ricadute (pesantissime) sull’occupazione. (Leggi qui L’allarme da Firenze, la lezione da Anagni e Roccasecca).
E la provincia di Frosinone non può restare a guardare, dal momento che l’automotive resta in ogni caso il settore con più addetti nel Lazio (35.000), l’unico dal quale può davvero partire il rilancio. Ma i segnali che arrivano sono tutt’altro che incoraggianti.
La politica locale si dia una svegliata Subito però
La Fiat e il suo indotto hanno rappresentato l’asse dello sviluppo economico della provincia di Frosinone. Adesso però il mondo è cambiato. Ci sono geografie, strategie e modelli diversi. La visione provinciale (intesa nel senso migliore del termine) non basta più.
L’Europa sta accelerando sul versante della transizione verso i motori elettrici e questa è una novità in grado di cambiare lo scenario in tempi rapidissimi. Perché la Commissione ha avanzato la proposta di bloccare la produzione di motori tradizionali dal 2035. E inoltre c’è l’obiettivo di tagliare del 55% (rispetto ai valori del 1990) le emissioni di anidride carbonica nel 2030. Date che equivalgono a… domani mattina per quelli che sono i tempi economici e produttivi.
Le multinazionali spostano le produzioni in Paesi che hanno regole fiscali più vantaggiose e costi inferiori a quelli italiani. Parliamo di settori dove il lavoro c’è, anche in Italia. Ma altrove costa di meno. Certamente il Governo deve intervenire per evitare catastrofi occupazionali e sociali. Ma è la politica nel suo complesso a doversi dare una svegliata. Perché la pandemia da Covid-19 ha accentuato una tendenza già chiara: non ci sono più i corpi intermedi e il Parlamento fatica a legiferare su ogni materia. E questo spiega anche l’impennata dei referendum. Tra il Governo Draghi e i lavoratori (che sono l’anello debole della catena) manca… tutto il resto. Manca la classe dirigente. Deputati, senatori e consiglieri regionali vengono eletti per legiferare.
E le antenne dritte sul territorio andrebbero tenute costantemente. Sull’economia soprattutto, visto che l’emorragia di posti di lavoro a tempo indeterminato non può certamente essere arrestata con il precariato diffuso. Inoltre perfino a livello locale oggi la differenza si fa su temi come l’economia, la sanità, la scuola.
La stangata d’autunno e il “benaltrismo”
Il ministro alla transizione ecologica Roberto Cingolani ha annunciato: «Lo scorso trimestre la bolletta elettrica è aumentata del 20%, il prossimo trimestre aumenta perché il prezzo del gas a livello internazionale aumenta». A parte il fatto che un Governo dovrebbe preoccuparsi di scongiurare l’aumento e non di annunciarlo, come al solito è partita l’affannosa ricerca a cercare di metterci una pezza… dopo.
Ma pure in questo caso emergono due fattori. Il primo è la necessità di ragionare a livello globale. Il secondo è che mancano gli enti intermedi. Tra il Governo e le famiglie non c’è nulla. È un problema di rappresentanza che si riflette sul piano sostanziale però. Una classe dirigente degna di questo nome dovrebbe legiferare, amministrare, programmare, trovare soluzioni. Da quando non succede in Ciociaria?
Perfino un’opportunità straordinaria come quella delle fermate della Tav è passata in secondo piano.
Le elezioni comunali diventano occasioni per rese dei conti ad ogni livello. Basta guardare quello che è successo nel centrodestra a Sora. Basta guardare alle lacerazioni sistematiche nel Pd. O basta osservare le grandi manovre già iniziate al Comune di Frosinone, dove si vota tra nove mesi. Ma dove già si sgomita per candidature a sindaco e posizionamenti delle liste.
Se poi si va a sollevare un problema reale, scatta la celebrazione del “benaltrismo”. Si tratta di un espediente retorico che consiste nel non affrontare un problema o nell’eludere un tema, rifugiandosi nell’affermazione apodittica dell’esistenza di altre problematiche più impellenti o più generali. Magari senza chiarirle specificamente. Con frasi tipo “il problema è un altro” o “in ballo c’è ben altro”. In realtà c’è solo il vuoto cosmico, il nullismo spinto all’ennesima potenza.
La delocalizzazione industriale è la priorità delle priorità. Si tratterebbe di rendere attrattivo e competitivo il territorio. Troppo per una classe dirigente già ampiamente… delocalizzata.
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