
Nessuno si azzardi ad appaltare una faccenda che non ha tessere. Perché sia chiaro che il 25 aprile è di tutti
In “Le storie di ieri” tratta dall’album “Rimmel” perché precedentemente scartata da un precedente Lp, “Francesco De Gregori“, lo stesso parla de “i cavalli a Salò” che “sono morti di noia. A giocare col nero perdi sempre”. E de “i nuovi capi” che “hanno facce serene e cravatte intonate alla camicia”. E’ roba antifascista proclamata in Arte Somma da uno che sul tema ha sempre avuto un certo senso della misura.
Una mancata e benefica pietas pop che lo spinse a constatare come ancora nell’Italia tardo fascista, gli antifascisti veri fossero molti, ma molti meno di quello che una certa agiografia posteriore declama. Poi ci mettemmo tutti la coccarda nuova.
Cosa disse Montanelli

D’altronde fu Indro Montanelli a dire, senza mezzi termini e con il consueto cinismo dei grandi, che negli armadi degli italiani “c’è un cappello pronto per ogni evenienza”.
Né bisogna dimenticare che Francesco De Gregori porta nome e cognome di un suo zio capitano dei partigiani bianchi.
Uno che comandava la brigata Osoppo trucidata a Porzus dagli omologhi titini nel ‘45. In quel gruppo c’era anche, come giovane militante, un tal Guido Pasolini, che aveva un fratello, un tizio di nome Pier Paolo. E che 23 anni dopo costui su Valle Giulia si sarebbe “schierato” con il proletariato genuino dei poliziotti e non con quello farlocco degli studenti borghesi ammalati di rivoluzione.
Ma qui il senso è un altro, e non tocca le corde amare del revisionismo, né quelle di una obiettività storiografica scomoda.
La libertà di dire tutto

Qui il senso del 25 aprile sta tutto nel Paradosso Massimo. Ed è il paradosso che ha come preambolo il gigantesco e bellissimo circuito di opinioni, idee e partigianerie ideologiche che dopo il 25 aprile e grazie ad esso, avrebbero riempito il Paese come un ronzio benefico. Un fottìo di singole libertà.
Perché non sta scritto da nessuna parte che la libertà di parola debba stare sempre a traino della facoltà di intelletto o della univocità di pensiero. Sta scritto invece che la libertà di parlare, agire, vivere secondo regole non aggiogate all’oppressione va a traino di eventi storici dirompenti. Snodi della Storia riconoscere il valore dei quali è dovere univoco, anche e soprattutto di chi esercita il diritto di critica su quegli snodi. Perché ha avuto un culo immenso e non lo sa, o finge di non saperlo.
Essere fascisti in democrazia è facile, perché hai la base costituzionale per criticare, specie se comandi te e nessuno che ti sbatta in gattabuia se critichi. Ma essere democratici durante il fascismo era tutta un’altra cosa. Sta tutto qui il Paradosso Massimo. Quello per cui nel 2020 e legittimamente, il cantautore De Gregori parlò dell’assassinio del partigiano De Gregori e disse cose su Repubblica.
Se divide ha fatto centro

Cose come questa: “Vanno definiti traditori coloro che l’hanno ucciso, alcuni dei quali, dopo essere stati condannati a varie pene nel dopoguerra, erano scappati in Jugoslavia”. Non ci interessa se abbia avuto ragione o meno a dirlo – fatti suoi e degli storiografi – a noi dovrebbe interessare che lo disse in piena libertà. Perché alla fine non è poi così difficile capire una cosa. Che se ogni maledetto anno sul 25 aprile ci si divide vuol dire che il 25 aprile ha fatto centro sul suo perno unico: la pluralità.
Poi però arrivano loro, i malati di logorrea, quelli che ogni anno che Dio manda puntano all’unanimità pelosa. Ed invece il 25 aprile non ebbe attori unici. Edgardo Sogno – presente Sogno? – costoro li avrebbe presi a calci nel didetro fino a Ventimiglia. Perché nessuno o pochi tra essi colgono il paradosso meraviglioso.
Quello per cui ciò che si celebra domani consente oggi ed a tutti di parlarne perfino con un minimo di amarezza. Ma di parlarne senza schiavettoni e randellate su reni. Magari coi toni slow del destra-centro che usa il lutto per la morte di Papa Francesco. Oppure con quelli ieratici della sinistra che passa il lapis sotto l’enfasi irrinunciabile di un momento sacro.
Nessuno appalti niente
E tuttavia con una libertà che forse, se le cose fossero andate diversamente, oggi potremmo anche non avere. Da chi fummo liberati, dal giogo nazifascista o dalla nostra capacità di averlo alimentato con 20 anni di consenso?
Dalle leggi razziali che ci fecero vergognare o dal fatto che, per un bel po’ di anni, ne fummo entusiasti o supini interpreti? Meschini delatori i cui nipoti magari (e in iperbole) oggi cazziano chi non vuole più il massacro a Gaza? Dalla tirannide nera o dal pericolo che, grazie ai “patrioti” filotitini della Garibaldi, essa semplicemente cambiasse colore? L’idea sarebbe un’altra, e sarebbe quella di augurarci vicendevolmente buon Tricolore, tutti.
Perché 80 anni fa ci è andata decisamente bene. E nessuno si azzardi ad appaltare una faccenda che non ha tessere. Perché noi oggi parliamo senza aver paura delle nostre parole. E perché il 25 aprile è di tutti: perfino ed ancor più di chi va in acidità di stomaco ogni volta che arriva. Nello snobbarlo o nel difenderlo ma solo per bottega sua.