Mimma, Serena e Saman che, se accade Treviglio, non ci hanno insegnato nulla

La vicenda di Matilde Tura che si è vista dire no dal Consiglio sulle Assisi da remoto se incinte o malate

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Otto giorni all’Otto marzo, perciò siamo tutti pronti a sparare le nostre buone bordate. Quelle doverose, quelle importanti perché centellinate mentalmente il giorno prima. Sui social ci schiafferemo scarpiere intere rosse, meme sui lividi che i bruti infliggono alle donne e siccome siamo intellettualmente sottili non cadremo nel trappolone della sola violenza fisica. No, giammai: noi, noi tutti che siamo arguti, troveremo il tempo di darci e dare una botta benaltrista.

Lo faremo spiegando che esistono forme di violenza subdole, striscianti, pattume etologico di cui la società è ancora troppo permeata. E per carità tutti a tifare per il film della Coltellesi “ché io a quei mariti là proprio…”. Fatto quello aspetteremo i “like” che pioveranno da chi si aspetta che noi si metta “like” ai loro, di struscioni settati sul calendario, e “pure st’Otto Marzo se lo sèmo levato dai cojoni”, come dice quello nel film di Vanzina.

Piangersi persone a vuoto

La collega Mimma Panaccione

Da noi va così, non per tutti ma per parte sufficiente a far incazzare chi ne fosse ancora capace: ci piangiamo la collega Mimma Panaccione perché è totem locale di una fibra al titanio che non avremo mai e di cui speriamo non ci arrivi mai occasione per palesare che non ce l’abbiamo.

Poi ricordiamo immancabilmente Serena Mollicone la liceale 19enne di Arce scomparsa poco prima degli esami di maturità nel 2001 e trovata morta dopo tre giorni nel bosco di Anitrella. La piangiamo perché non le è stata ancora data Giustizia. E poi magari, un po’ per cavalcare il mainstream che spinge ed un po’ per ricordare al mondo che noi non staremo mai col brutalismo patriarcante di un certo Islam, ricorderemo Saman Abbas.

Roba su cui non allarmarsi troppo

Quella per cui è appena cominciato il processo d’Appello, tutta roba che Quarto Grado ci scorinerà fino a farcele come un ciaùscolo incappato in un batticarne. Poi, paghi di aver fatto il nostro dovere, lasceremo andare mogli, compagne, figlie mamme e cognate verso le cene freak dove tutto sa di rosa light o verso i convegni austeri dove tutto sa di rosa carico. Ma sempre rosa è, cioè una quota.

Foto: Massimo Percossi © Ansa

E, compiacendoci del “Towanda!” delle quote rosa nell’imprenditoria, sarà tutto finito senza che si parli di Treviglio e che su Treviglio si agisca. Perché Treviglio non è un posto, è il momento esatto in cui tutto quello che squaderniamo diligenti sulla violenza sulle donne se ne va in vacca. Ma ci va in gloria episodica, robetta che non fa sistema, ma che se ne sta nella nicchia delle aberrazioni da condannare ma sulle quali non allarmarsi troppo.

La storia di Matilde

Perché pare roba light. Oppure perché, a volerla considerare grave, ci sbrighiamo ad ammantarla di quella opinabilità cartesiana e cretina per cui “in certe cose bisogna contestualizzare o capire il fine politico”. E invece non c’è proprio nulla da contestualizzare sul claim emerso dalla vicenda di Matilde Tura. E quel claim è semplice, netto. E tremendo: “Sei incinta? Sei malata? Dimettiti dal consiglio comunale”.

Foto: Andrea Giannetti © Imagoeconomica

Qualcosa sui media è passato: la maggioranza del Consiglio comunale del piccolo centro nella Bergamasca ha detto no alla proposta della Tura, che è consigliera e capogruppo del Partito Democratico. Una proposta semplice nel protocollo tutto sommato, ma gigante nel merito di chi la volesse piantare di usare la violenza di genere come collutorio per esorcizzare testosterone ed indifferenza.

Assise da remoto sei incinta? No

Questa: consentire alle consigliere con gravidanza a rischio e ai consiglieri neogenitori nei primi mesi di vita del bambino di poter adempiere ai propri doveri collegandosi da remoto alle sedute. AdnKronos ci riporta le parole della bocciata. “Io ho partorito 16 mesi fa e sono intervenuta in Consiglio fino a 10 giorni prima del parto, con 35 chili in più. Ma ho avuto la fortuna di essere sempre stata bene in salute.

“Poi, dopo la nascita del mio bambino, ho saltato tre Consigli, seguendoli da remoto senza poter intervenire, non potendo essere presente. Cosa che, peraltro, avrei fatto molto volentieri”. E il merito di quel “no”? Sta tutto in pochi righi, roba che diserberebbe sette ettari piantati a mimosa.

Le “priorità della vita”

“Nella vita ci sono delle priorità, se uno ricopre la carica di consigliere comunale al primo posto deve metterci la partecipazione. Poi nella vita capitano cose belle, come la nascita di un figlio o cambiare lavoro, o cose brutte come la malattia. Allora forse bisogna riguardare le proprie priorità, a quel punto bisogna dimettersi e lasciare posto a chi ha la possibilità di dedicarsi pienamente”.

Ergo, o fai un figlio o fai politica, o spremi prole o vivi in società. Oggi. Nel 2025. Ed a otto giorni all’Otto Marzo. Quando in tema di violenza sulle donne diventeremo tutti poeti ammalati di sociologia prog.

E ricorderemo, ciascuno dalla sua latitudine, le nostre Mimma, Serena e Saman. Salvandoci solo perché le anime fatte di ricordi non possono sputarci in faccia. E perché noi siamo troppo vigliacchi per farlo da soli.