Perché non siamo grandi: puntiamo sulle case e non sul popolo

È il popolo che fa la storia. Invece qui si punta sulle case e sui palazzi. Riparano dal tempo, fanno da sfondo per i selfie. Ma non vivono. Ecco perché non cresciamo

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

Si è avviato in città un interessante confronto sul Centenario prossimo venturo con cui celebrare il primo secolo dalla nascita di Latina. È un bene che questo avvenga: Dio sa quanto Latina abbia bisogno di definire se stessa e non nella superficie ma nel profondo.

Per riuscire a leggere i fatti e c’è bisogno di andare alla radice delle cose (strutture); bisogna evitare di fermarsi alla loro evidenza (sovrastrutture). Ecco, a Latina leggiamo tutto un ragione delle sovrastrutture edilizie: dell’urbanistica. E tralasciamo che la nascita di una comunità è il suo Popolo. Cosa significa?

La lupa di Roma

Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica

Roma non ha nel suo simbolo il Colosseo, oppure il Campidoglio o un obelisco. Ma ha nel suo simbolo una lupa che allatta dei bambini. Non ha sotto, la scritta “Chiesa di San Pietro” oppure “Altare della Patria“, ma ha la sigla che indica Il Senato ed il Popolo di Roma. Senato e popolo, non sono architetture ma modalità di vita, riconoscimento dell’umano.

Latina ha per simbolo una torre e si definisce per quello che non è più “una palude“: ma non ci sono figure “umane”. Anche Milano ha in uno dei suoi simboli la croce di San Giorgio: l’umana fede; ma ci sono anche anche il biscione con un fanciullo. Esiste anche qui umana fede e l’umana figura.

Questo è il nodo: una città deve cercare la sua struttura, il suo Popolo e le sue libere istituzioni. I palazzi vengono “sopra”. Qui si parla solo di sopra.

Non i palazzi ma l’identità

Cosa intendo? Per il Centenario non si tratta di fare, rifare, abbattere palazzi. Ma di ricucire l’identità di un Popolo che in questi anni si è formato, segnandone le caratteristiche e il suo originale miscuglio.

A Latina non c’è un Santo che sia identitario come San Lidano o San Carlo a Sezze, San Rocco a Cisterna e Bassiano, San Tommaso a Priverno. E questo fa tanto. Per il centenario, la Chiesa ha un ruolo perché lo ha avuto e il suo ruolo nel fare il “Popolo” è stato oltre ogni possibile muro. E questo gli va riconosciuto come verità storica, incontestabile da cattolici e baciapile, da laici ed anticlericali.

Chi scrive ha avuto una nonna setina ed una di Piazzola sul Brenta. Due donne diverse in tutto. Ma proprio in tutto. Però vivevano in questa stessa Piscinara e si trovarono, ritrovarono, nel culto di Sant’Antonio da Padova. Radici, profonde dentro la coscienza. Poi mia nonna setina non sarebbe mai vissuta “co gli zampagni“, quella veneta con le salite e le discese e le troppe chiese.

Se qui esistiamo è perchè ci passava l’Appia e per quella strada San Paolo è arrivato a Roma a fare di un sentimento, di disgregate storie, la religione più importante al mondo.

I popoli e la lingua

I Popoli hanno la loro identità e così le città nella lingua. Roma è Trilussa, Belli. Milano Carlo Porta. Il mio Veneto è Goldoni. Vado a volo d’uccello: scriveva in friulano Pier Paolo Pasolini che per questo cercò di capire la neolingua delle borgate romane. Ecco qui da noi ci si scandalizza della scomparsa della scala rampante delle Poste, della “bruttezza” del Key ma nessuno solleva il problema della scomparsa delle lingue pontine: il veneto, il friulano, il romagnolo, il trentino e anche il lepino nelle sue varianti, senza dimenticare il francese parlato da molti italiani di Tunisia che qui hanno piantato l’uva.

Nessuno si sente offeso da parlate di periferia romana cancellatrici di identità tanto che Damiano Coletta usò come slogan elettorale “Daje“… che per un pontino sono sgradevoli fino al suono. Si doveva dire “tocca“, “n’demo“, ma non certo Daje come a Spinaceto.

A 100 anni il pericolo non è che vanno difesi gli edifici, ma compresa una identità.

Il centenario degli uomini e delle donne

La bonifica dell’Agro Pontino

Servono per il centenario: poeti, filosofi, linguisti, preti, sociologhi, cacciatori di leggende. Invece noi assoldiamo sempre architetti e ingegneri. Roma ha avuto i migliori ingegneri del mondo, ma al mondo ha lasciato il Diritto, la Res publica, il latino e il suo alfabeto. Queste sono strutture che fanno l’Occidente: il Colosseo è grande, bello e aiuta le fotografie, fa felici i turisti. Ma è il Diritto che ci fa civili in ogni angolo del pianeta.

Dobbiamo, in occasione del Centenario, parlare di uomini, di donne, delle loro storie. Raccontare dei disegni rupestri dell’uomo a phi dell’Arnalo del bufalo uno dei primi selfie del mondo che sta in una grotta a 10 minuti di auto da Piazza del Popolo. E di Leone XIII che portò la chiesa dall’altro mondo a questo mondo, aveva la mamma di Cori ed era nato sotto il Semprevisa.

Ma a noi piacciono le storie immobiliari con il rischio che a 100 anni festeggeremo il primo secolo di una Gabetti qualsiasi. Le città hanno case, chiese, grandi edifici se hanno un Popolo che le vive, che le fa vivere. Parliamo di Popolo, del nostro Popolo.