Il Paese dei monumenti, il Paese della bellezza preservata, ma anche il Paese dei posti dove a volte il bisogno di bellezza uccide
Sia chiaro in esordio: sulla morte dell’operaio 66nne Octay Stoici e sul ferimento di un suo collega al netto di altri tre lavoratori recuperati quasi illesi dalla Torre dei Conti a Roma sarà la magistratura a fare chiarezza.
Dopo l’estrazione dell’uomo, avvenuta nella tarda serata di ieri, e la corsa vana in ospedale dopo 11 ore di lavoro frenetico degli efficientissimi soccorritori capitolini, Pizzale Clodio ha aperto un fascicolo penale per omicidio colposo.
E laddove nei prossimi mesi venissero individuati e corroborati da dibattimento a tre gradi profili penali sulla tragedia di questa ennesima morte sul lavoro, sapremmo che questa non è stata una tragedia, ma un crimine.
Una vita spenta mentre lavorava

Andava spiegato in preambolo etico assoluto, e non come lavacro di quella coscienza critica che ci deve pervadere sempre, ma semplicemente come doveroso riconoscimento di una realtà che nessuna opera pubblica potrà mai cancellare. Quella per cui una vita spenta mentre si cerca di portare il pane a casa non vale diecimila cattedrali rimesse a nuovo per preservare la bellezza di un Paese splendido, ma fragile.
Anzi, splendido proprio perché fragile. Ammantato cioè della fragilità sontuosa del suo imprinting storico. Della sua natura urbanistica ed architettonica legata alla preservazione di un passato che si genuflette all’usura del tempo. E da questo punto di vista Roma è l’archetipo planetario di questo dono che a volte è dono maledetto. La Città Eterna è praticamente un immenso coacervo di opere, strutture, monumenti e palazzi che il mondo ci invidia, ma che le regole strutturali dell’ingegneria ci hanno consegnato come si fa con quei vasi fragili e suscettibili alla rottura.
Le altre strutture “pericolose”

Per la Capitale infatti, e non solo, esiste come documento di riferimento vigente la Carta del Rischio. Di cosa si tratta? Di un censimento che monitora i monumenti considerati pericolosi in virtù dell’usura temporale a cui sono stati sottoposti. Contiene circa 672 beni, quella carta.
Lo standard è quello della “vulnerabilità classica”, cioè di una serie di parametri che, incrociando i dati fra tenuta strutturale, usura ed eventi terzi, mette la spunta sotto a quei patrimoni artistici che possono costituire pericolo per le attività umane e per l’incolumità di operatori e cittadini.
Non mancano esempi di grido, come Palazzo Barberini ed Arco di Druso. I fondi Pnrr avevano permesso all’amministrazione di Roberto Gualtieri di iniziare ad ovviare a questa situazione di pericolo. Situazione che, tuttavia – non è dato sapere se per fortuna, efficienza o se per crasi di entrambi i fattori – non aveva fatto registrare disastri o problemi da oltre mezzo secolo. Circa 60 anni fa ci fu infatti il crollo di parte della copertura in legno alle Terme di Diocleziano.
Il dato generale

E’ vero, nel 2018 ci fu anche il cedimento strutturale del tetto della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami al Campidoglio, ma allora non pianse nessuno. E non ci fu nessuna ambasciatrice della Romania costretta a dare notizie ferali in case affamate solo di pane quotidiano.
Quale è il dato generico dunque, quello che ovviamente non ha alcune presunzione di sovrapporsi e addirittura doppiare il dolore immenso di una tragedia? Quello e il dovere della magistratura di rilevare eventuale colpe ad essa connaturate in nesso eziologico?
Che vivere in una città che tra l’altro deve basare il 50% del suo Pil sul turismo. Che è un unico ed immenso museo a cielo aperto non è solo una benedizione. E’ anche un dramma potenziale, a a prescindere da responsabilità singole o collettive negli specifici momenti di dolore.
La Sicurezza del Patrimonio Culturale
Ed ovviamente mai a prescindere da come quel dolore si significa nelle case in cui si piangono i morti come il povero Octay. Da un punto di vista tecnico ed operativo la Carta del Rischio viene gestita dalla Direzione generale Sicurezza del Patrimonio Culturale.

Uno strumento, “creato e voluto dall’Istituto Centrale per il Restauro come parte della strategia nazionale di prevenzione del danno che consente di pianificare gli interventi”. E di farlo “in base alle priorità grazie a una classificazione dei rischi a cui è sottoposto il patrimonio culturale. Dal punto di vista sia delle cause esterne, quindi della pericolosità, sia della vulnerabilità, cioè della fragilità intrinseca del patrimonio”.
Quella fragilità che a volte si palesa in una manciata di minuti di crolli, polvere, detriti, urla, panico, sirene. E che a volte uccide. Perché al di là delle responsabilità eventuali degli uomini ci sono quelle dei posti dove la storia è rimasta a giganteggiare. E a volte, al netto di quel che Piazzale Clodio stabilirà su questa tragedia, la Storia è un gigante sanguinario.



