Dieci centimetri: le dimensioni sono importanti (di S. Pizzutelli)

Dieci centimetri appena di neve. E un Paese va in tilt. I paradossi di un'Italia che non funziona attraverso il viaggio di un professionista che deve semplicemente prendere un treno. Nel giorno sbagliato.

Diciamo che il titolo c’azzecca e non c’azzecca, ma vi avrà incuriosito di prurigine.

Lo confesso, non era il giorno giusto per viaggiare, ma a volte il lavoro chiama e chiama a poca distanza dai veri interessi per cui… Per cui per tutta stamattina mi sono messo a guardare i siti di Trenitalia e delle FS per vedere come riuscire ad arrivare a Roma.

Il treno delle 7.05 a un certo punto, a cinque ore di ritardo, è stato abbandonato a Colle Mattia e gli hanno sparato per non farlo soffrire. Alcuni treni non li hanno fatti nemmeno partire, perché col freddo, senza Benagol e senza Rinofluimucil andò vai.

Alle undici ancora fiocca e inizio a pensare che l’autostrada in fondo potrebbe essere praticabile. In fondo ho il treno a Tiburtina alle 18 e quindi basta partire verso le tre e, male che va, me ne sto due ore alla libreria in Stazione.

Pranzo ma non smette di nevicare. La strada pare libera; alcuni treni partono da Cassino, poi si impantanano a Roccasecca senza un perché. Alla fine alle due e mezza decido di partire in macchina, ma ho un ultimo scrupolo, il regionale delle 15 e 10. Ebbene, sta a Isoletta con solo 11 minuti di ritardo. Non mi sembra vero. Vado alla stazione. 15 minuti, manco male.

Ad Anagni si ferma: “Il treno ripartirà tra un tempo imprecisato”. Imprecisato, proprio così. Sembra Gesù quando diceva Non sapete né il giorno né l’ora

Venti minuti a Anagni. Poi riparte. Esce il sole.

Colleferro. Imprecisato. 20 minuti.

Valmontone. Imprecisato 15 minuti.

Zagarolo, ci sta un solo binario, gli altri sono ricoperti di neve. Ma si va.

Ciampino. Sono le cinque. 50 minuti di ritardo. I treni per i Castelli non vanno oltre Ciampino. Dopo, forse, c’è la fine del mondo. Da Ciampino inizia ad andare a passo d’uomo.

Fermata straordinaria a Capannelle. Salirà un cavallo, mi dico. Non sale nessuno.

Arriviamo a Roma con un’ora e dieci di ritardo. Scoprirò solo a tarda sera di essere stato un privilegiato.

Sono a Termini, devo prendere la Freccia 9446. Dovrei prenderla a Tiburtina ma tanto ci deve passare a Termini. A Termini c’è la folla, ogni tanto esce un annuncio e una mezza folla corre coi trolley, qualcuno sopra i trolley, a cavllo.

Tira una sdrina.

Il 9446 ha 7 minuti di ritardo all’altezza di Labico. Fantastico. Ma poi diventano 25 minuti.
Dopo mezz’ora di sdrina chiedo a dei ferrovieri. “Devo andare a Bologna”. “Porca troia, è partito mo’ er Borzano!”. “Er Venezia fa prima fermata Padova”.

Non capisco. “Guardi, il casino sta a Termini, le conviene andare a Tiburtina e prendere il primo treno che passa per Bologna”. “Qualunque?” “Qualunque”.

Un po’ di folla ha avuto la stessa informazione. Scendo nella metro B. Dopo Castro Pretorio si ferma pure la metro. Forse nevica pure qua sotto. Cinque minuti poi riparte. Arrivo a Tiburtina e cammino col passo di chi sta per perdere un treno.

Al binario 6 c’è un Torino.
Sento il fischio; a metà scala mobile le porte si chiudono. Perso. Delle ragazze urlano “Apra apra”. Riapre. Scendo di corsa. “Va a Bologna?” Il ferroviere con lo sguardo complice: “Sì, salti su. Se trova un posto tra la 5 e la 8 si sieda”.

E’ il 9580, ha solo 15 minuti di ritardo. Trovo posto. Il tizio vicino a me, tossisce, poi tira su col naso. Poi gli arriva un messaggio audio di un bambino. Lo sente a un volume da heavy metal, cerca di abbassare il volume e invece lo alza. Fortuna che non era una tizia che sussurrava “Porcone, fammi tua”.

Il tizio davanti a me, mangia un sacchetto di arachidi, poi un altro, poi un terzo. Da un momento all’altro mi aspetto che si trasformi in Superpippo. Il treno va alla velocità di una littorina, ma in fondo a Firenze arriviamo con 46 minuti di ritardo. Un lusso.

Ci fermiamo a Firenze. Il collega mi informa che la collega che dovevamo incontrare domattina a Bologna ha la febbre. Inutile essere partito il giorno prima.

Il treno è fermo. Ogni tanto arriva un’altra Freccia, si ferma e se ne va. Noi siamo fermi. Passano tre quarti d’ora. Arriva un treno sullo stesso marciapiede. Noto un tizio che si mette il giubbotto, attraversa il marciapiede e va all’altro treno.

E’ il 9544. Ha 215 minuti di ritardo.

Mi vesto anch’io e mi metto col bagaglio sulla porta aperta. Delle ragazze sono sul 9544. “Ma parte prima quello?

Boh, noi stiamo sulla porta. Se parte prima quello riattraversiamo”.

Passano due ferrovieri: “Quale parte prima?” “L’altro

Trasbordo. Ma, ovviamente chiedo conferma. Una ferroviera. “Quale parte prima?” “Questo. Sull’altro non c’è personale”.

Non c’è cosa?”. “Il personale”.

Parte. Non mi tolgo giubbotto, cappello, sciarpa, aguanti.

Arrivo a Bologna alle 10 e mezza. Il mio treno, il 9446, ha 180 minuti di ritardo; il 9580 ne ha, adesso solo 170. Il 9544 è arrivato a Milano con 225 minuti di ritardo. Il record ce l’ha un treno del mattino, una freccia, 5 ore e 34 minuti.

Dieci, miseri, insulsi, previstissimi centimetri di neve.

Un Paese senza speranza, dove puoi saltare da un treno all’altro senza biglietto tanto basta che vai da quella parte, oggi. La capitale dove i bus, semplicemente, non sono partiti. Un treno che non parte perché non c’è personale.

Dieci centimetri di neve. Due gradi sotto zero. Ma in Canada, in Svizzera, come fanno? Vanno in letargo per sei mesi, come i ghiri?

Domani, forse ho un Frecciabianca.

La ferroviera del 9544, a cui chiedo “Farà ritardo pure domani?” mi risponde, saggia, “Innanzitutto bisogna vedere se ci sta il treno”.